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Master MICA - Analisi di "District 9"
Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!

Matteo Malaisi - District 9 (2009) di Neill Blomkamp

District 9: emblema della contemporaneità cinematografica

Introduzione
Neill Blomkamp crea e dirige District 9, opera remake di un suo precedente cortometraggio, “Alive in Joburg”, nel quale aveva già raccontato la vicenda di una nave aliena bloccata sulla terra, approfondendo il processo di ghettizzazione nei confronti degli alieni, deportati nel cosiddetto distretto 9.
Gli elementi da prendere in considerazione per l’analisi di questa pellicola sono molteplici; alcuni espliciti, come la metafora del fenomeno migratorio e in particolare dell’apartheid, altri meno, per esempio la scelta del titolo, riferimento al “District six” (d’altronde il nove è un sei capovolto), un quartiere residenziale di Città del Capo, dove convivevano diverse etnie, successivamente deportate con l’apartheid che ha reso il luogo illegittimo. Sono inoltre presenti elementi che richiedono un impegno interpretativo maggiore da parte dello spettatore come vedremo nei paragrafi successivi.
Il regista costruisce, attraverso l’utilizzo del genere fantascientifico, una parabola sul razzismo e la xenofobia, scegliendo la figura aliena come strumento per porre di fronte allo spettatore soggetti differenti da quelli umani, nell’aspetto e nelle abitudini. Non è un caso che venga loro affidato un soprannome dispregiativo, “prawns”. L’equivalente del nostro “negro” o “scimmia” diventa quindi “gambero”, in relazione al loro aspetto fisico simile a quello del crostaceo; inoltre, nei sobborghi di Joannesburg, esiste realmente un insetto infestante, a metà tra una cavalletta e un gambero, chiamato dai residenti “Parktown Prawn”.
District 9 concretizza a pieno l’idea che la forma crei contenuto, rientrando così di diritto nella categoria di quei film adatti a formulare un discorso legato alla contemporaneità cinematografica. La forma nello specifico è caratterizzata da un utilizzo di immagini in stile documentaristico e da riprese cinematografiche tradizionali, arricchite talvolta da effetti speciali, realizzati dalla Imagine Engine e supervisionate dalla WETA, studio fondato da Peter Jackson. Inoltre, Neill Blomkamp venne scelto precedentemente per un adattamento cinematografico del videogioco “Halo”, ma l’operazione non andò in porto. Jackson decise di produrre, dalle ceneri di questo fallimento, il progetto di Discrit 9, affidandolo alle capacità del giovane Blomkamp.
Il film si fa metafora di problematiche etiche e sociali diversificandosi dagli Sci-fi movies classici, sia per quanto riguardo lo stile, sia per il costo produttivo che ammonta a 30 milioni di dollari. Infatti, considerando che il budget medio di un film di genere fantascientifico si aggira intorno ai 60 milioni, District 9 è sicuramente un’operazione a basso costo. Dal punto di vista industriale l’operazione è risultata vincente grazie ad un Box Office di ben 210 milioni di dollari.

Il mockumentary
L’utilizzo dello stile documentaristico è una delle caratteristiche fondamentali del film: sono presenti notiziari televisivi reali (traslati fuori dal loro contesto reale), false interviste e riprese da telecamere di sorveglianza. Questo garantisce indubbiamente un maggiore coinvolgimento da parte dello spettatore, catapultato all’interno di situazioni ultra-realistiche, ma sarebbe molto limitante soffermarsi esclusivamente su questa motivazione per giustificare la decisione stilistica di Blomkamp. La peculiarità infatti consiste nell’aver accostato questo stile ad un film di genere fantascientifico, siccome di per sé il documentario, sia dal punto di vista del contenuto, che della forma, ha come obbiettivo quello di mostrare la pura realtà (per esempio i documentari naturalistici) senza alterazioni delle immagini.
Questa non è soltanto una scelta che coinvolge la forma. Lo stile documentaristico, infatti, si concilia perfettamente con il contenuto del film e realizza al contempo una critica implicita alle “fake news” veicolate dai media. In District 9 i notiziari televisivi e le interviste ad esperti e familiari diffondo sempre immagini manipolate a scopi propagandistici, diffamatori o per alimentare il terrore cittadino. In questo senso è idiomatica la scena in cui i notiziari diffondono la falsa notizia dei ripetuti incontri sessuali che Wikus Van De Merwe ha avuto con esemplari alieni. L’impressione, quindi, è che Blomkamp voglia mettere in guardia lo spettatore: la verità è un aspetto della vita che prevede una ricerca meticolosa, in opposizione all’atteggiamento superficiale del cittadino medio credulone, che affida al mezzo televisivo la suprema detenzione della verità, abbandonandosi ad esclamazioni come “se lo dice la TV, ci credo!”.
Nel primo minuto del film viene inserita una perfetta intervista in stile mockumentary, escamotage per presentare il protagonista e il dipartimento per cui lavora, la MNU, il cui scopo dichiarato è quello di “entrare in contatto” con gli alieni. Questa scena offre al contempo la chiave di lettura per un’interpretazione più approfondita, efficace a tal punto da indirizzare il focus dello spettatore verso i temi fondamentali del film. Wikus interagisce con un intervistatore fuori campo mostrandosi leggermente insicuro, tanto da chiedere in quale direzione deve volgere il suo sguardo. Metaforicamente possiamo quindi dedurre che il protagonista sia guidato, o meglio dominato, da forze superiori che si impongono al suo agire, senza che lui ne sia in alcun modo consapevole. È evidente come le forze contrastanti della vicenda siano le Istituzioni, la MNU e i media, volte a condizionare lo sguardo e il pensiero di tutti gli individui. D’altronde, la descrizione politicamente corretta esposta dal protagonista riguardo le attività svolte dalla MNU è una falsità velata da un’apparente buona intenzione.

Il cambiamento
Uno dei temi centrali di tutta l’opera è rappresentato dal cambiamento, fisico, morale e psicologico del protagonista. Wilkus, destinato ad una progressiva ed inesorabile trasformazione fisica, si ritrova catapultato in un vortice di situazioni che lo porteranno ad un percorso di crescita interiore e ad un cambiamento caratteriale totale.
Le scene iniziali in cui Wilkus viene incaricato di prendere il comando diretto della spedizione sono rappresentative per mostrare la psicologia del personaggio: un uomo privo di polso, scelto proprio per le sue attitudini bigotte. Qualità dimostrate ampiamente nella scena in cui si lascia facilmente intimorire dal colonnello, dopo essersi permesso -giustamente- di far notare una quantità eccessiva di munizioni.
Eletto quindi per la sua plasmabilità, per la sua capacità di eseguire gli ordini senza soffermarsi troppo sulle evidenti ingiustizie: preferisce evitare di effettuare controlli alle attività illecite dei nigeriani, poiché la mafia “crea problemi” ed è meglio non contrastarla. Emblematica la scena in cui Wikus saluta il Boss e rivoltosi al cameraman dice esplicitamente: “Trent don’t film here now” lanciando un chiaro messaggio agli spettatori. Sembra però convivere bene con sé stesso, per niente scosso emotivamente nel comunicare agli alieni lo sgombero dal distretto 9, ma anzi si dimostra divertito del suo operato, persino nel momento in cui si appresta a bruciare uova aliene, e dopo una giornata di lavoro è pronto a tornare a casa dalla sua amata moglie, come se nulla fosse. La vita, però, nasconde sempre delle insidie e non è mai così splendente come sembra, anzi è buia e tenebrosa, tanto quanto il seminterrato dove è collocato il laboratorio delle cavie della MNU.
Wikus da persecutore, da responsabile della spedizione, diventa cavia, quindi oggetto del desiderio e perseguitato, sfruttato dalla MNU per giungere ai loro segreti scopi bellici: utilizzare armi aliene.
A questo punto inizierà un percorso di crescita morale, dato dalla presa di coscienza che gli esseri umani con cui finora ha collaborato sono in realtà aguzzini e torturatori. Vivere nell’ignoranza ci può far pensare di condurre una vita serena, senza preoccupazioni, ma quando realizziamo un’amara verità si fatica tantissimo ad essere felici e trovare la giusta direzione morale.
Una scena emblematica per comprendere il punto di partenza del cambiamento morale è quella della fuga dal laboratorio: Wikus risale le scale del seminterrato, come fuggendo dalle bassezze dell’inferno, per poi finalmente aprire la porta che dà sull’esterno e venire abbagliato dalla luce del sole, così come poco prima è stato acciecato dalla luce della verità. Si sente perso e alienato in una realtà che è come un purgatorio, cioè un luogo di mezzo, nel pieno di una crisi d’identità. Blomkamp sembra volerci comunicare l’idea di una realtà straniante per tutti gli esseri umani, una dimensione priva di certezze e di punti di riferimento.
Le dinamiche del film si sviluppano volutamente su “tre piani spaziali”: il seminterrato (inferno), il pianoterra (purgatorio) e il cielo (paradiso). In quest’ultimo è presente un primo strato pattugliato da elicotteri della MNU, l’ultimo ostacolo per giungere finalmente alla navicella: ideale di una libertà paradisiaca. In ogni dimensione spaziale è presente una fase di conflitto come simbolo del fatto che la vita è una lotta da cui è impossibile sfuggire, va affrontata in tutte le sue sfaccettature prima di approdare ad una dimensione di pace.
Wikus si sta trasformando, fisicamente e moralmente, e ciò comporta necessariamente una perdita e un allontanamento dai propri affetti. Però, è in questi momenti di emarginazione che si comprende chi ti ama realmente e chi è pronto a voltarti le spalle. Quest’ultima osservazione in riferimento diretto al suocero di Wikus, avido direttore della MNU, una delle incarnazioni del potere malvagio e disintegrante, insieme al colonello della MNU e al boss della mafia nigeriana. Gli adulti propongono una visione del mondo improntata sull’odio, sull’intolleranza e sull’egoismo, cosa che invece non appartiene all’universo infantile, che contribuirà notevolmente al cambiamento etico di Wikus. Il regista, infatti, rimarca l’idea di questa positività e purezza d’animo insita nel mondo fanciullesco, esplicitandola in una scena in particolare. Il figlio di Christopher cerca di vedere in Wikus ciò che li accomuna, piuttosto che evidenziare le diversità che intercorrono tra i due. Soltanto il braccio dell’uomo ha fattezze aliene, mentre il resto del corpo ha ancora le sembianze originarie. Nonostante ciò, il piccolo alieno ci tiene a dirgli: “Siamo uguali”, lanciando un messaggio di speranza allo spettatore che deve prostrarsi dinanzi alla chiara verità pronunciata da un bambino. Da questa in scena in poi, anche la posizione degli alieni subirà un cambiamento radicale. Nella prima parte del film Wikus e lo spettatore vedono soltanto “gamberoni” che rovistano nella spazzatura, violenti e senza morale; successivamente la percezione è quella di avere di fronte anime dotate di grandi abilità tecnologiche, con una notevole dimostrazione di umanità e con una visione di felicità improntata sull’amore e sulla famiglia: più umani degli umani stessi!
In conclusione, possiamo definire Wikus come un antieroe. Un personaggio intimorito, impacciato e moralmente carente. Queste attitudini non sono di certo conformi al disegno di un profilo eroico, anzi non ci fanno nemmeno considerare l’idea di un personaggio pronto all’azione. Eppure, osservare la crescita di questo personaggio è la linfa vitale del film. Non è un caso che proprio Peter Jackson, produttore del film, abbia supportato e sostenuto “District 9” dopo averci regalato, con “Il Signore degli anelli”, una delle avventure più affascinanti della storia del cinema che ha come protagonista Frodo: l’antieroe per eccellenza. Wikus, nel finale, riuscirà a redimersi e a capovolgere completamente la sua posizione iniziale. Da individuo intimorito dalla Mafia, buonista e pieno di pregiudizi verso gli alieni, diventa un paladino coraggioso, altruista e forte, pronto a contrastare la criminalità e la MNU. Dal punto di vista narrativo il viaggio dell’eroe, o meglio dell’antieroe, è lineare, ovvero non c’è un ritorno alla situazione di equilibrio iniziale. Il percorso di Wikus è dissimile dalla circolarità del viaggio di Ulisse, che parte e ritorna ad Itaca. Wikus in un drammatico finale si è completamente trasformato ed è evidente che non tornerà più a casa dalla moglie.
La visione di Neill Blomkamp è quella di una vita ricca di situazioni imprevedibili e cambiamenti irreversibili.

Forma e contenuto
District 9 può essere utilizzato come esempio per approfondire un discorso legato alla contemporaneità poiché forma e contenuto sono perfettamente equivalenti tra loro, o meglio la forma crea contenuto, conferendo un valore aggiunto alla narrazione. Il regista non si abbandona a virtuosismi stilistici, supportati anche dagli effetti speciali, ma è ben consapevole delle finalità e dell’utilizzo del mezzo cinematografico.
Il film cela una motivazione sensata legata alla scelta di alternare riprese appartenenti al linguaggio cinematografico tradizionale in opposizione a riprese di stampo documentaristico. Infatti, non è un caso che Blomkamp introduca con maggior frequenza le riprese cinematografiche tradizionali in un momento idiomatico del film. La scena in questione, posta circa a metà pellicola, può essere osservata solo dallo spettatore cinematografico. Wikus, costretto a scappare dal laboratorio, si rifugia nel distretto 9. Dopo essersi rintanato nella baracca di Cristopher, scoprirà i grandi segreti nascosti dagli alieni e soprattutto diventerà consapevole della loro intelligenza e della loro umanità, mentre i notiziari hanno sempre dipinto questi esseri come disperati e violenti, scegliendo sempre cosa e chi mandare in onda nelle interviste, creando così una falsa percezione.
Volendo azzardare si può dire che il cinema, seppur attraverso la finzione, sia un mezzo di comunicazione che rivela verità umane sulla vita, poiché aiuta a riflettere su noi stessi e ci pone di fronte ad un ragionamento etico, in contrasto con l’universo istituzionale che si serve della cronaca per diffondere falsità per i propri giochi di potere. La narrazione del film quindi, alimentata dalla sua forma, ci pone di fronte ad un chiaro conflitto d’immagini, caratterizzato da scene in cui lo spettatore subisce informazioni plagiate, trasmesse attraverso lo stile documentaristico, in opposizione a riprese cinematografiche tradizionali, attraverso le quali si viene a conoscenza di verità scottanti.

La soggettiva
È importante, ai fini di una corretta analisi filmica, porre sempre grande attenzione all’utilizzo del linguaggio cinematografico, soprattutto quando il regista sceglie di utilizzare una soggettiva. Questo è sempre un momento rilevante del film, poiché il nostro sguardo diventa il medesimo del personaggio.
La scena del compleanno di Wikus è idiomatica per mettere a nudo le intenzioni registiche che hanno come obbiettivo quello di amalgamare la forma ad un contenuto profondo. Blomkamp utilizza una semi- soggettiva (un’inquadratura alle spalle del personaggio), unita ad effetti visivi e sonori stranianti, per farci entrare progressivamente nei panni di Wikus, così come lui sta lentamente entrando nei panni di un alieno. Sentiamo le orecchie fischiare, rumori ovattati e la vista diventare sempre più annebbiata, percependo così le medesime sensazioni che sta provando il personaggio.
Nella scena successiva, dopo la scoperta dell’infezione, una soggettiva pura ci fa vivere in prima persona il trasporto su una barella, diretta al laboratorio delle cavie della MNU. Questo preoccupante momento, carico di tensione e suspense, in cui Wikus e lo spettatore subiscono le analisi volte alla verifica dello stato infettivo, culmina con la frase di un esperto rivolta a Piet Smith, il Managing Director della MNU, ricca di contenuto simbolico, “I nervi si sono fusi, significa che si è quasi completamento integrato”. La parola “integrato” è di estrema importanza e rivelatrice di un’argomentazione generatrice delle fondamenta su cui si erge il film. È evidente la presenza di una metafora dell’apartheid, e più in generale di tutte quelle situazioni nel mondo che coinvolgono il fenomeno migratorio. Per questo motivo il termine è di appartenenza sociopolitica. Gli alieni (gli immigrati) sono le vittime di un sistema che non permette loro di integrarsi. Persino Wikus (il cittadino medio) è plagiato dalle Istituzioni che diffondono ignoranza e falsità, e non è perciò in grado di capire che la conoscenza dell’altro sia la base per il proliferare di un mondo unito, quindi integrato.
Neill Blomkamp sembra nutrire grande sfiducia nei confronti dell’essere umano. La sua negatività arriva a tal punto da considerare l’uomo capace di giungere alla comprensione delle cose soltanto se determinate situazioni (l’infezione causata dal fluido) ti obbligano a diventare “l’immigrato” e “il diverso”. Sono pochi coloro che hanno il coraggio di porsi contro una maggioranza che ti emargina se esprimi idee anticonformiste. La visione pessimista è rappresentata da un’umanità che osserva inerme il tramonto di un’esistenza solidale e civile, destinata quindi a una totale dis-integrazione.

Il Karma
Blomkamp trasmette la percezione di aver voluto creare un mondo regolamentato da un concetto appartenente a molte religioni orientali: il karma. Conosciuto anche come la legge di causa-effetto, il karma si erge sulla credenza che ogni nostra azione porti a conseguenze che presto o tardi si ripercuotono su noi stessi. Questo concetto sembra corrispondere a molte dinamiche riscontrabili in District 9, in quanto l’essere umano si trova costretto a rispondere delle proprie azioni.
Il primo aspetto che potrebbe confermare questa teoria è il processo di transizione del protagonista: da persecutore, colui che impone lo sgombro agli alieni, a perseguitato, colui che diventa l’oggetto del desiderio, ricercato dalla MNU. In un’altra scena emblematica Wikus viene rapito dalla mafia nigeriana, mentre il figlio di Christopher attiva a distanza un esoscheletro alieno. I criminali sparano una pioggia di proiettili contro la possibile minaccia, ma la tecnologia avanzata dell’esoscheletro è in grado di bloccare tutti i proiettili e di ripercuoterli contro i mittenti. Il dipinto di Blomkamp è efficace per comprendere come la violenza e le cattive azioni prima o poi si riflettono su noi stessi.
Da questo momento in poi il regista mostrerà molte immagini, simbolo del ribaltamento delle carte in tavola: gli alieni sono esseri dominanti, in opposizione all’inferiorità della situazione iniziale.
Per esempio, Blomkamp sfrutta un campo lunghissimo per paragonare gli elicotteri della MNU all’enormità della navicella spaziale aliena, producendo concretamente la sensazione di supremazia di questi esseri ultratecnologici ed estremamente intelligenti. La scena ricorda, nella sua concezione, l’incipit di “Jurassick Park” in cui un elicottero (metafora dell’essere umano) è comparato, sempre grazie ad un campo lunghissimo, all’immensità della natura, evidenziando di conseguenza l’inferiorità dell’uomo rispetto a quest’ultima.
Proseguendo nella composizione del quadro concettuale riguardante il karma, non è da sottovalutare la micro-scena che mostra un alieno nutrirsi della carcassa di uno dei suoi aguzzini. Questo dettaglio ha senso ai fini del discorso poiché, in precedenza, i nigeriani sono stati rappresentati mentre costringevano questi esseri a combattere atrocemente tra loro, alimentando il business delle scommesse clandestine.
Blomkamp dimostra di considerare fondamentali anche le scene più brevi, che contribuiscono ad arricchire la produzione di senso all’interno del testo filmico.

Conclusioni
Il film, da come si è potuto evincere, presenta molti aspetti interpretabili e soggetti ad una profonda analisi utile a scavare nella mente del suo autore. Il progetto si presta perfettamente per discutere riguardo la contemporaneità del cinema, in quanto la forma adottata da Blomkamp arricchisce le finalità contenutistiche, raggiungendo un livello paragonabile ad altre pellicole di genere fantascientifico di successo. Il desiderio di Christopher e suo figlio di tornare a casa non può non ricordare il medesimo intento dell’alieno in “ET l’extraterrestre”. La pellicola evoca anche le scene d’azione robotiche di “Transformers” e il Distretto 9 può essere paragonato ad una discarica come quella che appare in “Wall-E”. Altri progetti di Blomkamp si avvalgono in modo consistente del digitale e di effetti speciali per creare delle metafore della società odierna, sempre attraverso una presenza aliena o robotica. Per esempio, nel 2006 esce il cortometraggio “Tempbot”, storia di un robot prodotto per lavorare con più efficienza ed efficacia degli uomini, che rivelerà però presto le sfumature dei suoi sentimenti molto umani. Questo aspetto non è per nulla estraneo in District 9, dove la scoperta dell’umanità insita negli alieni si dimostra uno dei temi centrali. Oppure il corto “Rakka” prodotto dalla Oats Studios, la sua casa di produzione indipendente, un esperimento che mostra un universo distopico, controllato dagli alieni dopo che hanno annientato quasi l’intera umanità. Il regista sembra voler sottolineare come ci possa essere in serbo una vendetta di coloro che in precedenza sono stati condannati ed emarginati dalla società. Blomkamp rimarca nuovamente l’idea di una vita regolata dal karma che ci costringe ad un ribaltamento continuo causato delle conseguenze delle nostre azioni.
Questi cortometraggi, come i progetti di “Elysium” e “Chappie”, sono un esempio utile per comprendere come il regista rispetti una continuità contenutistica e formale.
Il finale struggente di District 9, in cui Wikus totalmente trasformato costruisce un fiore con materiale riciclato, destinato alla moglie, mostra allo spettatore la sua grande manifestazione d’amore: vero motore nella vita di un uomo. La scena funge anche da messaggio di speranza che implica la volontà di ricostruire, partendo dalle ceneri di un passato burrascoso, un futuro migliore.
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