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Master MICA - Analisi di "Facciamola finita"

Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!

Alice Catucci – Facciamola finita (This is the End, 2013) di Seth Rogen, Evan Goldberg

Questi siamo noi
All'aeroporto di Los Angeles Seth Rogen aspetta qualcuno al gate d'uscita. A compiere l'azione è proprio Seth Rogen l'attore, e non un personaggio da lui interpretato. Lo scopriamo subito, un passante fuori campo lo chiama per nome: “Hey Seth Rogen!”. Poco dopo si aprono le porte del gate, l'attore Jay Baruchel corre incontro all'amico. I due non si vedono da più di un anno e sono decisi a passare un po' di tempo insieme.Ormai è chiaro che in This Is the End, film del 2013 scritto e diretto da Evan Goldberg e Seth Rogen, gli attori interpreteranno loro stessi incappati in una folle storia apocalittica.
Palesare l'uso delle vere identità è fin da subito un'urgenza primaria per gli autori e una decisione narrativa tutt'altro che marginale. È necessario fare un passo indietro e collocare Seth Rogen e il suo amico d'infanzia Evan Goldberg in un quadro più ampio. Entrambi canadesi, Evan Goldberg dopo la laurea lavora da subito come sceneggiatore, diventando presto anche produttore e regista cinematografico. Seth Rogen partecipa a vari spot pubblicitari in Canada e nel 1999 debutta nella serie tv Freaks and Geeks. Ci recita anche il suo futuro compagno di buddy movie James Franco, nei panni del bello e maledetto del McKinley High School. La serie dalla vita breve è una creazione di Paul Feig ed è prodotta da Judd Apatow, personaggio poliedrico del panorama hollywoodiano, regista, sceneggiatore e produttore. Nel 2005 Apatow chiama Rogen a recitare nel suo debutto cinematografico da regista, The 40 Year-Old Virgin (40 anni vergine). La collaborazione fra i due continua, nel 2007 Rogen è protagonista insieme a Katherine Heigl di Knocked Up (Molto incinta), oltre a esserne produttore con Goldberg. Nei panni della sorella e delle nipotine della Heigl, ci sono la moglie di Judd Apatow Leslie Mann e le due figlie, Iris e Maude. Quattro anni dopo Apatow estrapola da Knocked Up lo spin off This is 40 (Questi sono i 40), dove la famiglia del regista è questa volta protagonista e anche se le reali identità non sono palesate (Leslie Mann interpreta un personaggio di nome Debbie), la “componente autobiografica” è un elemento essenziale, che ci trasporta fuori dal film dentro la vita privata di Apatow. Questa affacciarsi del reale nella finzione cinematografica assume la funzione di terapia catartica, di analisi di coppia. Nel mondo apatowiano l'autobiografico è essenziale ai fini della riuscita comica, perché è la realtà stessa ad essere demenziale e tramite la comicità viene tratta in inganno e alleggerita del suo peso. D'altronde Apatow proviene dal contesto della stand up comedy, dove bastano un palco spoglio e un microfono per svestirsi dei propri dolori e delle brutture del mondo, trascinando anche il pubblico nell'euforia della liberazione.
Nel 2007 succedono due eventi fondamentali: Evan Goldberg e Seth Rogen scrivono un film che viene diretto da Greg Mottola e di cui Judd Apatow è produttore. Protagonisti Jonah Hill, Michael Cera e Christopher Mintz-Plasse nel ruolo di tre adolescenti che cercano a tutti i costi di perdere la verginità prima di andare al college. Teen movie sguaiatissimo, Superbad esplicita fin da subito un bisogno che in This Is the End prenderà il sopravvento: abbattere il medium personaggio e porre se stessi come protagonisti. I personaggi interpretati da Jonah Hill e Michael Cera, due migliori amici sfigati che pensano solo al sesso, si chiamano infatti Seth e Evan, come gli sceneggiatori che li hanno creati. Lo stesso anno Goldberg e Rogen scrivono un corto diretto da Jason Stone, dal titolo Jay and Seth Versus The Apocalipse. Ecco quindi che nel 2013, anno post-profezia dei Maya, il corto viene sviluppato in una storia più complessa, quella di sei attori che si rinchiudono in una villa durante la fine del mondo. Viene alla luce This Is the End (distribuito in Italia col titolo Facciamola Finita), opera unica nel suo genere che racconta l'apocalisse dalle colline di una Hollywood in fiamme. D'altronde è il titolo stesso a suggerirci la fine di quest'ultima e dei suoi miraggi alla Mago di Oz, utilizzando quelle due parole che un tempo ribadivano solenni il termine della visione di un film.

This is the End e la sottile linea di confine fra realtà e finzione
Viviamo in tempi in cui il confine fra vita pubblica e privata è sempre più labile, al punto che realtà e finzione tendono a confondersi. Fioccano gli influencer che riprendono ogni minuto della loro intimità, filtrata dall'occhio dello smartphone. Nel cinema gli attori lavorano sui social quanto sui set, trascinando spesso i loro personaggi nel mondo reale. Basti pensare a uno dei tanti video promozionali di Avengers Infinity War e EndGame: a pranzare seduti intorno al tavolo sono gli attori o gli Avengers in riunione?
In questo cortocircuito del contemporaneo la questione dell'identità si fa sempre più complessa e a pensarci bene nella Fabbrica dei Sogni lo è sempre stata. Se ai tempi della Hollywood classica le star vivevano un gap profondissimo fra privato e pubblico, oggi questo divario non si è affatto colmato e i due piani lungi dall'essersi allineati equivalendosi, si sono piuttosto accavallati, mescolandosi in una dimensione tutta nuova che rappresenta in toto anche il nostro quotidiano.
Viene da sé che l'utilizzo delle reali identità in This Is the End costituisce un'essenziale scelta narrativa e un sopraffino impiego del genere comico, qui mezzo di critica della vita patinata hollywoodiana e quindi anche di confessione e autoanalisi. Così nello smascherare quelle illusioni che da sempre ci incantano, gli attori di This Is the End mettono a nudo anche se stessi, confessando vizi e difetti. Durante l'apocalisse, mentre i più meritevoli vengono portati in cielo da fasci di luce, gli attori vengono lasciati a terra e si rivelano per quello che sono: pieni di sé e incapaci di stare al mondo, convinti di non essere così diversi dal Mahatma Gandhi, solo perché recitano in maglietta a maniche corte anche d'inverno. Per questi ragazzi raccontarsi attraverso il cinema è la vera urgenza artistica, e cioè operare dall'interno per dissacrare l'ambiente che gli ha formati. Demitizzando se stessi e trasgredendo alle regole di una Hollywood che si pretende perfetta e senza peccati, ecco che i ragazzi creano una sorta di crash nella finzione, esibendola agli spettatori e compiendo un'operazione oggi più necessaria che mai.
In questo senso diventa chiaro il lavoro fatto da James Franco nel film del 2017 da lui diretto e interpretato, The Disaster Artist, prodotto ancora una volta da Evan Goldberg e Seth Rogen. La storia di Tommy Wiseau, antidivo per eccellenza, altro non è che un intoppo nella perfezione hollywoodiana. Quello stesso Tommy Wiseau che con il suo amore disperato per la Mecca del cinema, non fa che smascherarne costantemente l'inganno, costruendo ad esempio un vicolo in un teatro di posa pur avendolo reale a disposizione fuori dalla porta. Il punto è sempre lo stesso: palesare il confine che separa la finzione dalla realtà attraverso il mezzo cinema. Per il gruppo Rogen&Co, cresciuto a pane e film in piena era home video, è questa la questione primaria e lo scenario metacinematografico è terreno fertile per affrontarla.
Dopo l'aeroporto Seth accoglie Jay a casa con videogiochi, cibo spazzatura, televisore 3D e un oggetto importante, che esplicita ancor di più lo strano territorio narrativo in cui stiamo per entrare. Oltre alla scritta “Jay” fatta con gli spinelli, Seth ha preparato per l'amico la pipa che Gandalf fuma in The Lord of the Rings (Il Signore degli Anelli), caricata qui con della marijuana. Imitando la voce di Ian Mckellen, Seth esclama: “Hey piccolo Hobbit fuma la mia erba...sono un noto sostenitore degli omosessuali”. Se sbalziamo veloci in avanti a quaranta minuti circa dalla fine del film, assistiamo al momento di espiazione dei peccati, quando James Franco confessa di aver approfittato di Lindsay Lohan ubriaca facendosi chiamare “Prince of Persia”, avendolo lei scambiato per Jake Gyllenhaal. Tutti i protagonisti del mondo cinema vengono chiamati a raccolta. This Is the End sconfina costantemente dritto dritto nel contemporaneo, in quello spazio al limite fra realtà e finzione di cui gli Stati Uniti sembrano sempre essere protagonisti. E lo fa usando Hollywood, luogo della confusione per eccellenza, metafora perfetta. L'operazione comica messa in atto è elegantissima, degna dei migliori sketch di Andy Kaufman, dove gli spettatori frastornati non sono completamente sicuri di poter riconoscere cosa sia reale e cosa no.
Mentre Seth e Jay si divertono a casa, vengono seminati come da perfetto manuale di sceneggiatura diversi indizi di quello che succederà durante lo svolgimento del film: in televisione scorrono immagini di strani fenomeni atmosferici verificatesi in Guatemala. Ecco che ci arrivano i primi suggerimenti di quello che dovrebbe essere il genere del film. This Is the End è certamente un film comico ma non è assolutamente una parodia del genere catastrofico, come la saga degli Scary Movie con l'horror, per fare un esempio. Gli scarsi effetti speciali ci riportano subito ai disaster movie televisivi dei primi '90 e gli ingredienti principali ci sono tutti: la terra si spacca in burroni di fuoco, le provviste finiscono, l'umanità si estingue. Ma in quanto a “identità di genere” This Is the End è una creatura strana. Durante la festa iniziale sembra di essere in un reality show più che in un film. Sul muro c'è un quadro con la scritta Freaks and Geeks, che ci riporta là dove tutto è iniziato. Gli attori ballano e si divertono, ognuno parla di se stesso riferendosi a contesti reali: Jason Segel si lamenta di una scena che ha dovuto girare in una sitcom, Emma Watson e Craig Robinson si complimentano con Jay Baruchel per la sua interpretazione in Million Dollar Baby. Fuori in giardino il trio di Superbad è riunito e sembra recitare una scena di un ipotetico sequel del film. In uno stacco Franco e Rogen sono seduti in disparte e parlano della possibilità di girare Pineapple Express 2 (Strafumati). Improvvisamente ci sembra di essere in un documentario vero e proprio, posto che nell'immaginare il sequel i due stanno svelando la fine di This Is the End stesso, quando James Franco si sacrifica per Rogen permettendogli di salire in Paradiso. Poco prima della salita di Rogen e Baruchel nell'alto dei cieli, gli attori finiscono nelle mani della gang di cannibali comandata da Daniel McBride, vero antagonista del film. Le atmosfere di This Is the End si fanno improvvisamente horror, richiamando scenari carpenteriani o alla The warriors (I guerrieri della notte).
Quello che dopo il comico dovrebbe essere il carattere principale, il catastrofico, viene costantemente tradito e messo da parte, e per buona parte del film chiuso fuori dalla villa di Franco. Subito dopo la scomparsa di metà della nuova generazione di Hollywood, in casa rimangono Jonah Hill, Jay Baruchel, Franco e Rogen, Craig Robinson e l'invadente McBride. Il film rallenta decisamente il suo ritmo, seguendo i ragazzi nella casa. Le citazioni non si tengono, la storia principale sembra sospendersi, persa nel palleggio insistente fra il mondo dei film e la realtà. Per aver invocato il demonio chiedendogli di uccidere Jay Baruchel, di cui è gelosissimo, Jonah Hill viene posseduto carnalmente mentre urla “Non è un sogno, sta succedendo davvero”, citando Mia Farrow in Rosemary's Baby. E sempre il nostro Jonah, appena scoppiata l'apocalisse, sostiene che a essere salvati saranno sicuramente i “veri attori” come lui, Clooney e la Bullok. L'anno di uscita del film è infatti il 2013, lo stesso di Gravity e The Wolf of Wall Street.
Il cinema è il loro reale, la loro personale fortezza. Un grande amore, finanche un'ossessione. Pensiamo a quello che diventa un piccolo film nel film, ossia The Exorcism of Jonah Hill. Per salvare Jonah, Jay si arma delle parole di Padre Karras in The Exorcist (L'esorcista) e Hill posseduto gliele ripete facendogli il verso. Ma il film di Friedkin proprio in quanto film, è una sicurezza. Ce lo dice Baruchel armato di croce: “È un film, un manuale di formazione!”

Papà Tropic Thunder
C'è un momento in cui, mentre sono chiusi nella loro fortezza, un uomo sfonda la porta e prega i ragazzi di lasciarlo entrare. Gli attori, codardi ed egoisti, gli negano protezione e un demone fuori decapita il mal capitato. La testa rotola in casa, i ragazzi la scacciano, calciandola come fosse un pallone. Danny McBride urla: “Ma non è finto, è reale!”. 
Il sospetto fil rouge che lega This Is the End a Tropic Thunder è adesso una certezza. Nel film del 2008, diretto da Ben Stiller e scritto con Justin Theroux e Etan Cohen, gli attori protagonisti vengono portati di peso nella giungla dal regista Damian Cockburn. Una mina nascosta dai tempi della guerra in Vietnam esplode e il povero Cockburn ci rimane secco. Tugg Speedman, interpretato da Stiller, si rifiuta di credere che l'evento sia reale e abbeverandosi del sangue gocciolante dalla testa del regista, cerca di convincere gli altri attori che è tutto finto e che quello è ovviamente sciroppo di glucosio.
Tropic Thunder si apre con un'introduzione: quattro trailer fake che sembrano veri a tutti gli effetti, con tanto di loghi delle majors e voci piene di pathos che promuovono i film in uscita degli attori protagonisti. Siamo in pieno territorio metacinematografico. Tropic Thunder è un film su Hollywood e su chi la abita. È un film su degli attori che girano un film e che poi finiscono per girare un altro film nel film. Altro non è che un ragionamento sulla realtà e sulla finzione. E oltre a esserci Danny McBride nei panni di un attrezzista piromane che ha perso un dito lavorando in Driving Miss Daisy (A spasso con Daisy), c'è un altro personaggio che ci conduce direttamente a This Is the End. Nei panni di Kevin Sandusky, l'attore novellino e pieno di speranze, c'è Jay Baruchel che vede infrangersi l’illusione di una Hollywood magica e impeccabile: Tugg Speedman è solo uno stupido, Jeff “Fats” Portnoy un eroinomane, Kirk Lazarus uno sbruffone pieno di insicurezze e il super macho black Alpa Chino un omosessuale in incognito. Tutto è finzione. Tenendoci larghi, di quello che ci arriva da L.A. a malapena l'1% dei fatti corrisponde a verità.
Jay Baruchel si pone quindi come collegamento perfetto fra i Frat Pack, nome dato al gruppo comico di Ben Stiller&Co, e la nuova generazione di comici del film qui preso in analisi. Anche in Tropic Thunder non mancano le citazioni dei film (Apocalypse Now nel bel finale, per dirne una) e i richiami al mondo del cinema. Pensiamo al dialogo fra Tugg Speedman e Kirk Lazarus a proposito di Simple Jack, film girato da Speedman. Perché Simple Jack è stato un flop? Perché, spiega Lazarus a Speedman, quando si interpreta un handicappato non bisogna mai farlo handicappato al 100%. Lo insegnano Tom Hanks e Dustin Hoffman, handicappati sì, ma che ricevono medaglie dal Presidente o fanno vincere milioni al casinò. Andrebbe chiesto a Sean Penn se gli è giovato interpretare un handicappato al 100% in I am Sam (Mi chiamo Sam). Ecco che anche in Tropic Thunder si fuoriesce nella realtà e si arriva dritti dritti sulla Walk of Fame.
Ma la sostanziale differenza fra i due film risiede proprio nell'utilizzo delle vere identità degli attori, che esplicita questo passaggio generazionale dello “scettro” comico. Usare il medium del personaggio nell'era social non ha più senso. Piuttosto, nell'epoca dell'esplosa narrazione di se stessi, eliminarlo è un dovere, visto che “essere un personaggio” fa ormai parte della quotidianità. Tropic Thunder e This Is the End viaggiano in parallelo ma al contempo non potrebbero essere più diversi. I film si passano cinque anni, sembrano pochi, ma nella “vita del cinema” e soprattutto in piena rivoluzione tecnologica sono moltissimi. Pensiamo anche alle diverse strutture narrative. Tropic Thunder procede passo passo senza intoppi: vengono presentati dei personaggi, c'è una situazione di equilibrio, una crisi, l'evolversi dei personaggi e una risoluzione. This Is the End parte dritto ma poi rallenta, si perde e si dilata, affronta un genere e poi sprofonda in un altro, è un film ibrido che non rispetta delimitazioni e confini, che esce costantemente fuori da se stesso per acciuffare la realtà e metterla in mezzo, come un bulletto fa col compagno di classe. E come potrebbe essere altrimenti, oggi che confini e delimitazioni sono scoppiati, abbattuti e sfondati dal cyberspazio? Ma anche continuamente riedificati dalla paura, che si nutre famelica delle follie che affliggono il mondo. Di conseguenza lo scarto generazionale porta con sé nuove urgenze da affrontare e relative differenze, assolutamente non qualitative, ma certamente centrali.
Per la sua struttura ibrida e per il suo corpo espanso This Is the End è un film incredibilmente ricettivo su ciò che succede nel mondo esterno e ci dimostra come la comicità sia qualcosa non di serio bensì di serissimo, perché in grado rispondere a suon di risate a questa realtà che ci sconcerta. Nel 2014 Goldberg e Rogen scrivono e dirigono un altro film, The Interview, molto più canonico nella struttura e sotto questo punto di vista, più assimilabile a Tropic Thunder. Il film ha suscitato molte controversie: l'uscita in sala inizialmente bloccata, i computer delle majors hackerati dai coreani, il film considerato “una dichiarazione di guerra” e Rogen che viene definito da Kim Jong-un un “regista gangster”. Ma nonostante i suoi straordinari effetti sul mondo reale, The Interview ci sembra un'opera meno sovversiva di This Is the End, che lo è in primis nelle sue scelte formali e di conseguenza nel contenuto. Pensiamo al momento in cui il film diventa confessionale. Gli attori si sfogano davanti alla videocamera di 127 ore, dicono tutto quello che gli passa per la testa. L'era del protagonismo viene chiamata definitivamente in ballo trasformando la regia in quella di un qualsiasi Grande Fratello. E in una sola battuta ecco che sono ancora i nostri protagonisti gli psicotici per eccellenza, ma portatori sani e combattenti dalle linee interne di questo pastrocchio di realtà e finzione: dopo che Emma Watson lascia la casa imbestialita, Danny McBride che voleva farle domande su Harry Potter, dice tristemente alla videocamera: “Hermione Granger se n'è andata”.

Toga! Toga!
Gli attori affrontano a loro modo la fine del mondo. Litigano, si uniscono contro McBride, razionano le provviste, si contendono l'unica Milky Way presente in casa. Ma ballano anche, si drogano. Girano un trailer raffazzonato del possibile sequel di Pineapple Express, quello immaginato a inizio film. In sottofondo, Paper Planes di M.I.A. Il carattere “bambino” del film si esplicita tutto in questo momento, quando i protagonisti giocano come tredicenni in casa nei pomeriggi dopo la scuola. Gli ingredienti dello stile Goldberg-Rogen ci sono tutti, conditi con volgarità illimitate e musica pop sparata al massimo. E come sempre l'elemento principale è l'amicizia, unico valore degno di rispetto nelle storie del duo canadese. Quando si sofferma dentro la casa di Franco a “perder tempo”, This Is the End mostra tutto il suo essere. Nel suo sospeso nucleo centrale, il film dimentica l'azione e non va più da nessuna parte, girando e rigirando intorno alle proprie gag. Sprigiona demenza da ogni fotogramma e lo fa prendendosi estremamente sul serio, per esempio concedendo a Franco e McBride più di un minuto di film per sfidarsi mimando battaglie eiaculatorie. Questa perdita nel senso dell'economia della narrazione, oggi nell'epoca dell'ottimizzazione del tempo e dell'iperproduttività, è di sacrosanta importanza e dimostra come il buon cinema comico sia sempre anche politico, proprio per il suo carattere inoperoso. E nel farsi cavalieri di questa crociata, i nuovi monelli di Hollywood si guadagnano con This Is the End il primo posto come discendenti del film che più di tutti ha diffuso il gioioso verbo della nullafacenza e cioè Animal House, capolavoro di John Landis del 1978. Nella famosa scena della mensa seguiamo il ritmo dell'ingurgitare bulimico di Bluto che non apporta nessun contributo in termini di efficienza, e conclude la sua gag con una semplice battuta: “I'm a zit”, “Sono un brufolo”. Fiero di esser scarto, rigettato dal processo produttivo del corpo.
Certo, nell'universo Goldberg-Rogen c'è Neighbors (Cattivi Vicini), ma pur essendo più esplicito nei riferimenti e nel genere, non è in sintonia con Animal House quanto This Is the End, che conta fra le sue molteplici personalità anche quella del college movie, con la fortezza di Franco come il covo di una confraternita, all'interno della quale la condotta è disastrosa e ogni sano principio viene distrutto. Sembra così ovvio che questi due film fannulloni siano spiriti affini. Entrambi si prendono tutto il tempo di godere delle proprie scemenze, rendendoci partecipi di questo lusso. Entrambi insistono sulla musica, coprotagonista fondamentale. Ma soprattutto fanno della comicità un affare importante. Una questione seria quanto l'accurata lezione di Otter su come lanciare una pallina da golf, per colpire colui che incarna tutto il male d'America, l'insopportabile Neidermeyer. Entrambi i film sono sovversivi e ridicolizzano valori imposti come fondamentali dalla dittatura dell'impeccabile. Quando è il perfetto eroe americano ad essere folle e immeritevole di un lieto fine. Così mentre un personaggio come Bluto diventerà Senatore, Neidermeyer verrà ucciso in Vietnam dalle sue stesse truppe. This is The End e Animal House vincono per la loro ribelle insensatezza, superbamente omaggiata da quest'ultimo nel processo ai Delta, dove Otter, in nome degli Stati Uniti d'America, conduce la gloriosa arringa principale pur studiando medicina e non legge. Ma tanto “Che differenza fa?”.
Oggi come oggi, tutto ciò che è ininfluente ci viene venduto come indispensabile, partendo dall'ennesimo paio di scarpe fino ad arrivare all'accumulo multidirezionale di informazioni superflue. Inoltre bisogna apparire sempre al 100%, dare il massimo ogni giorno.
Il cinema comico, così poetico nella sua inutilità, ha il potere di ridimensionare il reale, ora più oppressivo che mai. E tramite il suo carattere immorale, di ricondurci paradossalmente verso ciò che davvero ha valore. Ecco quindi che la trasgressione della risata di contro all'utilità effimera di questo mondo vetrina, è al tempo stesso un'arma da impugnare e un balsamo curativo. Occorre quindi insistere su un genere sfaccendato come quello comico, da sempre fin troppo sottovalutato. Pensiamo anche solo a due autori come Adam McKay con la maschera Ferrell e Todd Phillips con Galifianakis, riconosciuti dalla critica solo nel momento in cui si distanziano dalle loro origini. Quando oggi più che mai c'è bisogno di godere del mondo come fosse un Toga Party, dove si necessita solo di un lenzuolo per agitarsi a suon di musica...O come il ballo, non a caso ugualmente bianco, nel finale di This Is the End, dove ogni cosa che viene chiesta in Paradiso magicamente si materializza. E nella liberazione dall'utile, nella gioia dell'inconcludenza, cos'altro chiedere se non il ritorno dei Backstreet Boys?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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