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Master MICA - Analisi di "Mr. Nobody"

Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!

Simona Mantovani - Mr. Nobody (2009) di Jaco Van Dormael

Introduzione
Mr. Nobody è una pellicola belga, scritta e diretta dal regista Jaco Van Dormael. Si tratta del suo terzo lungometraggio nonché del primo progetto col quale salta nel nuovo millennio e inizia, in tutto e per tutto, un viaggio più globale e cosmopolita attraverso l’inserimento di una scelta stilistica nuova, la lingua inglese.
Come più volte lo stesso Dormael ha dichiarato, la scelta è stata principalmente dettata da necessità legate all’ambientazione della storia e dal cast col quale aveva deciso fin da subito di lavorare. Non è però strano supporre che tale decisione possa essere dipesa dalla volontà di risucchiare e coinvolgere un pubblico più ampio e diversificato, data anche la mole di tematiche da lui affrontate. La pellicola ha conosciuto inoltre una gestazione lunga quasi dieci anni, dal momento che il progetto ha visto muovere i primi passi (dalla penna del regista) nel lontano 2001 ed è giunto per la prima volta in sala nel 2009, anno della sua presentazione alla sessantaseiesima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Tuttavia in Italia non verrà distribuito prima del 2016. Per quanto riguarda la sua produzione, dai titoli di testa si può immediatamente constatare come il film abbia richiesto la partecipazione di una lunga serie di società produttive e distributive belghe, canadesi, francesi e tedesche, trainate innanzitutto dalla Pan- Européenne di Philippe Godeau, il quale aveva precedentemente collaborato con Dormael per la distribuzione del suo primo lungometraggio, Toto le héros.
 
Analisi sequenziale
Il film di Dormael è costruito in maniera tale per cui ogni singola sequenza è in grado di comunicare qualcosa, ogni immagine racchiude un universo pressoché infinito di significati ed interpretazioni. Dal momento che sarebbe impossibile soffermarsi su ogni particolare mi concentrerò sui primi 30 minuti del film, concettualmente e stilisticamente esaustivi.
Partendo dai titoli di testa, ci rendiamo subito conto della dualità intrinseca della pellicola, aspetto questo che ci guiderà per tutto l’arco della storia. I nomi delle case produttive e distributive vengono proiettati e fatti dissolvere su uno sfondo nero, accompagnate dalle note di un pianoforte in grado di trasportarci all’interno di una dimensione apparentemente malinconica. Nel giro di un istante però ci ritroviamo catapultati in un contesto sonoro completamente diverso, più allegro e spensierato, mentre lo schermo si divide a metà. La destra viene riempita dall’elenco dell’intero cast, in questo caso però i nomi degli attori, del produttore e dello stesso Dormael vengano fatti dissolvere in maniera diversa rispetto ai nomi delle società cinematografiche poiché si trasformano in fumo. Il regista ci sta avvertendo ancora prima di iniziare la visione del film, che ad attenderci ci sarà una realtà prepotentemente onirica. La parte sinistra dello schermo invece viene impreziosita dalla presenza accuratamente studiata di un breve filmato a colori di un piccione alle prese con un premio. La scelta di inserire il volatile viene contestualizzata nei minuti iniziali del film attraverso la presenza di una voice over, che poi scopriremo essere quella del protagonista, la quale ci spiega una delle teorie comportamentiste più significative del ventesimo secolo, la ‘superstizione del piccione’.
Stilisticamente parlando la sequenza viene girata come se si trattasse di un film d’inizio `900, con un bianco e nero che fa da padrone, un’inquadratura fissa e il rumore della cinepresa in sottofondo. Tale teoria costituisce la summa del comportamento del protagonista, Nemo Nobody, ma soprattutto mette in chiaro il sottotesto filosofico-scientifico che caratterizza la pellicola. Il titolo del film viene infatti inserito attraverso una nube grigia che, nella frazione di un secondo, disegna una farfalla di fumo, la quale disperdendosi nel vuoto finisce per trasformarsi nella scritta Mr. Nobody. Si tratta del famoso ‘effetto farfalla’, teoria secondo la quale ogni più piccolo dettaglio, come lo sbattere di ali di una farfalla dall’altra parte del mondo, sia in grado di influenzare i percorsi di vita delle persone.
Ancor prima di iniziare la visione, Dormael mette i puntini sulle “i” e ci sottolinea come questi concetti siano centrali. Da qui entriamo a tutti gli effetti nel film e, in poco più di un minuto, ci vengono mostrare quatto brevi sequenze nelle quali, colui che supponiamo essere il protagonista viene inserito in contesti differenti, segnati però dal medesimo epilogo, la morte. Uno scenario fortemente kirkegardiano, nel quale vengono introdotti alcuni elementi costitutivi del film:
·         Il tema dello sguardo, enfatizzato dalle continue riprese in dettaglio degli occhi del protagonista, organi che simboleggiano la conoscenza. Scopriremo infatti che Nemo, ancor prima di nascere, riceverà un dono unico nel suo genere, sarà in grado di vedere tutto quello che gli accadrà nel futuro. Gli occhi sono anche uno strumento di lettura, questo fa capire come Dormael voglia porci nella posizione di andare oltre il significato apparente delle cose e di aprirci piuttosto ad un’infinità di interpretazioni e ipotesi. Sono lo specchio dell’animo umano, hanno una natura fortemente identitaria e ci spingono a guardare ciò che si racchiude nel profondo del protagonista, motivo per cui le stesse telecamere che riprendono l’anziano Nemo hanno la struttura di occhi umani, se non bastasse, di occhi blu, come quelli di Nemo.
·         L’ uso della voice over, attraverso la quale ci sentiamo coinvolti attivamente nella storia. I pensieri di questo misterioso Mr. Nobody vengono condivisi a 360 gradi col pubblico. Le sue domande finiscono per diventare le stesse che si pone lo spettatore.
·         L’importanza delle proprie scelte e delle relative conseguenze. “Che cosa ho fatto per meritarlo?” sono le prime parole che sentiamo pronunciare e sono anche le medesime parole utilizzate per spiegare la teoria della ‘superstizione del piccione’. Diventa inevitabile trovare un punto di contatto tra il modo di agire di Nemo e quello del piccione, entrambi alla ricerca di risposte inerenti alle conseguenze del proprio operato, entrambi influenzati nel loro agire da forze maggiori.
·         Il tema de ll’ a c qua che qui viene rappresentata negativamente in quanto causa di una delle sue morti. Tuttavia nel corso della pellicola, questo elemento assumerà connotazioni differenti, ad esempio verrà intesa come il simbolo della vita, dal momento che è proprio nell’acqua che Nemo viene immerso dagli angeli dell’oblio poco prima di venire alla luce, come mezzo di rigenerazione se pensiamo all’ibernazione (acqua in stato solido) vissuta da Nemo nel suo viaggio verso Marte o anche come metafora stessa del protagonista. In quest’ultimo caso, l’attinenza dipende dal fatto che, così come l’acqua si può trovare sotto forme e stadi diversi, allo stesso modo Nemo, in ognuna delle sue esistenze, non è mai la medesima persona.
·         Il tema de ll’ ignoto, sottilmente evidenziato dalla scritta ‘unidentified’ sulla targhetta dell’obitorio. Questo Mr.Nobody rappresenterà un grosso punto di domanda fino alla fine della pellicola. Tra i tanti Nemo Nobody, quale sarebbe quello autentico? Perché non si ha idea di chi sia questo Mr. Nessuno? Il nome ed il cognome, oltre a costituire un evidente ridondanza semantica, vogliono suggerirci qualcosa? Lui stesso, in versione ultracentenario, parlando ad un giornalista che lo intervista, si definisce come “Io sono Nemo Nobody, un uomo che non esiste” o ancora, nelle fasi iniziali della sua vita, tra le innumerevoli domande, poste a se stesso ma anche allo spettatore, ecco giungere l’interrogativo cruciale, “Io esisto davvero?”. Dopo aver fruito la pellicola nella sua interezza, si può affermare che Nemo è tutto ma allo stesso tempo niente di ciò che vediamo.
·         Il tema del sogno dato che ogni qualvolta il giovane muore e si sveglia, in un diverso contesto, sembra si tratti di un sogno nel sogno. Anche in questo caso, come per il tema dell’ignoto, tutto il film è costellato da una serie di espedienti narrativi e stilistici che rimandano alla dimensione onirica. Tra i più incisivi abbiamo l’elemento sonoro con una canzone che più volte, e addirittura in più versione, viene riproposta: “Mr. Sandman” letteralmente “omino del sonno”.
·         Il tema della morte. In poco più di un minuto vengono mostrati diversi scenari all’interno dei quali il protagonista finisce per morire. La morte è una parte inevitabile dell’esistenza umana e Nemo la esperisce in modalità differenti. Tuttavia l’apertura della pellicola, nonostante il forte gusto esistenzialista, il quale fa supporre un epilogo tragico, lascia poi spazio ad una vera e propria celebrazione della vita e delle infinite possibilità che essa racchiude. Guardando l’opera belga, diventiamo spettatori della vita stessa (proprio come il piccolo Nemo seduto nel cinema, intento ad osservare le immagini di realtà che saranno o che sarebbero potute essere) che trova senso solo in prospettiva del suo contrario, la morte. Ogni possibile vita presuppone l’esclusione, la morte dell’altra e viceversa. Infatti nel finale, quando il Nemo anziano che ci racconta la storia muore, non solo esemplifica la teoria del Big Crunch (l’universo collassa su se stesso e torna a scorrere al contrario) descritta nel film, ma costituisce anche il riavvolgimento di tutte le vite possibili, che inevitabilmente si spengono per ritornare al punto di partenza. Dalla morte si genera vita.
Riprendendo la pellicola, cambiamo nuovamente scenario, questa volta però viene dato il tempo di contestualizzare il tutto. Siamo nel futuro, un futuro tanto fantascientifico quanto visivamente freddo ed astratto. La tecnologia fa da padrona, addirittura il quotidiano è digitale, e l’ambiente è fastidiosamente bianco. Tramite delle abili inquadrature in soggettiva ci immedesimiamo nello straniamento del protagonista stesso, il quale scopre di avere 117 anni anzi 34, come invece credeva. Quest’ultimo appare visibilmente invecchiato e riconoscibile esclusivamente dagli occhi, due elementi rivelatori ed identificativi. Ma siamo certi si tratti della realtà? Sicuramente il fatto di trovarsi in presenza di un uomo che si chiama Nemo (in latino nessuno) Nobody (in inglese nessuno) e che inizia a gridare “io devo svegliarmi”, spinge a pensare il contrario. Ecco che il tema del sogno si ripresenta, più forte di prima poiché questa volta non viene solo supposto ma addirittura palesato attraverso le parole del personaggio principale.
Non ci vuole molto perché l’anziano Nemo venga accontentato in quanto, nella sequenza che segue, si sveglia. A questo punto, ha di nuovo 34 anni e sul volto l’espressione di chi si è appena svegliato da un incubo. Sembrerebbe di essere finalmente approdati in un contesto ‘reale’ all’interno del quale il blu avvolge ogni cosa, anche l’animo della donna che gli dorme accanto. L’elemento cromatico del blu è sicuramente un aspetto sul quale soffermarsi a riflettere in quanto non costituisce una semplice scelta estetica ma la forma astratta di una delle sue vite possibili, in questo caso la vita con Elise. Così come il blu è uno dei tre colori primari, la vita con Elise sarà una delle tre linee centrali della sua esistenza (il giallo sarà la rappresentazione metaforica della vita con un’altra donna, di nome Jean ed infine il rosso rappresenterà la vita con Anna).
Ognuno dei tre colori racchiude un proprio significato, in base al quale Dormael crea un’associazione con le tre mogli di Nemo:
·         Elise è la personificazione del colore blu, il colore metafora della depressione e della sofferenza. Elise è infatti più volte mostrata come una donna emotivamente interrotta, malinconica e sull’orlo dell’apatia. Insoddisfatta della vita e con la mente rivolta al passato. Il blu è un colore freddo così come fredda si mostra la vita coniugale della coppia.
·         Jean, è la personificazione del giallo, il colore del lusso e dalla realizzazione personale, qui legata però all’aspetto economico. La vita con Jean è infatti segnata da un evidente benessere finanziario ma, al contempo, da una totale passività emotiva che porta Neno ad affidarsi ad una moneta per prendere ogni tipo di decisione.
·         Anna, è la personificazione del rosso, il colore della passione fisica e dell’amore romantico. Anna rappresenta il grande amore di Nemo. Si tratta di un personaggio che occupa buona parte della pellicola e che ritorna, in maniera centrale o anche solo marginalmente, in molte delle vite possibili di Nemo. Anna è l’unico personaggio, oltre al protagonista, del quale riusciamo a percepire, seppur per un breve istante, i pensieri. Il suo nome è palindromo e ciò rimanda ad una struttura narrativa che si sposta avanti e indietro, senza sosta, conducendoci verso un finale, il quale non è altro che il principio stesso della storia. In più, è possibile che la scelta di attribuire proprio ad Anna un nome palindromo si poggi sul fatto che quest’ultima sia l’unica delle tre donne che Nemo, indipendentemente dalla direzione presa, incontrerà nelle diverse vite possibili.
Tralasciando l’aspetto cromatico e proseguendo l’analisi, interessante è la costruzione scenica di Nemo allo specchio: la telecamera lo segue in bagno, Nemo si posiziona davanti allo specchio, vengono a formarsi due immagini dell’uomo, le quali esemplificano perfettamente il tema del doppio legato alla sua esistenza, l’uso dello zoom sul riflesso crea ancora una volta un’inquadratura ravvicinata dei suoi occhi. Ecco inserirsi qui lo scarto, la telecamera entra nello specchio (e noi con lei) per seguirlo dall’altra parte, come se si stesse entrando in un universo parallelo. Visivamente viene espresso il tema della molteplicità di vite nonché delle identità possibili. Del resto, a seconda del contesto socioculturale di riferimento siamo portati a sviluppare lati del nostro essere che probabilmente in contesti differenti non svilupperemmo mai, motivo per cui Nemo ci appare sempre diverso, non solo per la vita che conduce ma addirittura per il suo modo di presentarsi esteticamente (in modo anche da aiutare lo spettatore a riconoscere subito quale vita sta osservando).
L’immagine dello specchio però potrebbe essere letta anche come metafora dell’ingresso in un più profondo stadio del sonno del protagonista o anche nel suo subconscio. È come se il regista facesse uso di specifiche inquadrature, elementi e tecniche di montaggio con l’obiettivo di avvalorare le tematiche da lui affrontate. C’è continuità tra forma e contenuto.
Le sequenze del Nemo ‘mai nato’ sottolineano perfettamente questa correlazione stilistico-tematica (propria dell’intera pellicola). Qui, le persone sono vestite allo stesso modo, le macchine sono tutte rosse, i vari elementi scenici (dai tappeti alle pareti) presentano la medesima fantasia e le medesime sfumature, la luce è intensa, il ritmo accelerato, la città diventa un interlocutore di primo livello, parla a Nemo e lo fa tramite una serie di indizi sparsi sui grattacieli, sul giornale, sopra le colline. La realtà assume forme particolarmente astratte ed oniriche poiché siamo nel suo subconscio. A darci la conferma di tutto questo, sono sicuramente gli enormi blocchi di acqua trasportati, per mezzo di elicotteri, fin dentro ad un immenso mare in fase di costruzione. Il mare non sarebbe altro che la rappresentazione metaforica del Nemo bambino il quale, attraverso la sua capacità di prevedere il futuro, sta elaborando mentalmente tutte le diverse possibilità che gli si aprono davanti in quello che sarà il momento cruciale della sua esistenza nonché il mid point della narrazione: scegliere se rimanere in America col padre o se partite per il Canada con la madre. E dove fare questa scelta-non scelta se non in una stazione ferroviaria che si chiama “Chance”?
Ancora una volta il regista da prova dell’attenzione che rivolge ai dettagli, mai scontati quanto piuttosto accuratamente studiati, basti pensare per esempio al nome della via che vede protagonista il primo e casuale incontro dei genitori di Nemo, “Butterfly Street”.
Mr. Nobody è un film tanto fantascientifico quanto paradossalmente realistico. Un film che respira possibilità infinite, a volte anche impercettibili poiché connaturali allo scorrere dell’esistenza umana. Ecco, un film sull’uomo, sulla vita, su tutti e nessuno allo stesso tempo. Che poi Nemo Nobody, ricordiamolo, non esiste ma è ogni cosa. La moltitudine esperienziale di Nemo porta lo spettatore a chiedersi quale sia, tra tutte quelle vite, quella giusta. Ed ecco qui il concetto sul quale Dormael vuole far rivolgere la nostra attenzione: non esiste una vita migliore delle altre, ognuna di esse ha valore in quanto tale. Ogni vita è frutto di scelte ed ogni scelta merita di essere rispettata, anche quando l’unica cosa che sembra possibile è non muoversi. Del resto, anche rifiutarsi di fare una scelta, è essa stessa una scelta.


Contemporaneità
Mr. Nobody può dirsi a tutti gli effetti un film contemporaneo in quanto presenta alcune caratteristiche che lo identificano come tale: pastiche, narrazione asincrona, intensità emotiva, commistione tra cultura alta e cultura bassa, citazionismo, digitale.
La pratica del pastiche è visibile fin dai minuti iniziali in quanto la pellicola raccoglie in sé elementi di generi differenti. Ci sono momenti che rimandano alla commedia, al fantascientifico, ai film drammatici e addirittura ai film di formazione, anche se in questo caso non si può parlare di un vero e proprio genere. Volendo si può far riferimento al pastiche in termini di moltitudini di vite rappresentate all’interno di un singolo prodotto cinematografico.
La narrazione asincrona presuppone invece che la fabula e l’intreccio si separino, determinando così l’abbandono di un ordine logico degli eventi. Il film si sposta avanti e indietro nel tempo e nello spazio, vivendo di una totale autonomia a 360 gradi. La narrazione sta a Mr Nobody come il Big Crunch sta all’universo.
L’intensità emotiva viene costruita attraverso un intelligente uso di inquadrature in soggettiva e della voice over del protagonista, le quali creano una connessione col personaggio tale per cui ci allineiamo al suo stesso punto di vista e raggiungiamo una focalizzazione interna. Non da meno sono i primissimi piani dei personaggi e le riprese in particolare (occhi, mani) e in dettaglio (orologio, sigaretta). L’intensità emotiva viene costruita anche attraverso una colonna sonora essenziale ma incisiva, che accompagna lo spettatore per tutto l’arco della vicenda. Sembra di fare sempre più parte di quello che vediamo.
Mr. Nobody è anche un film all’interno del quale si assiste alla cancellazione dei confini tra cultura alta e cultura bassa. Più è più volte il personaggio centrale viene proiettato in realtà che sotto ogni punto di vista si trovano agli antipodi, sia sotto il profilo socioeconomico (in quanto Nemo Nobody passa dall’essere un vagabondo a vivere in una villa di lusso), sia sotto il profilo architettonico (ci sono realtà futuristiche così tecnologicamente avanzate opposte invece a contesti più pittoreschi e abbandonati). Nel film elementi eterogenei convivono all’unisono.
Per quel che concerne il citazionismo, la pellicola mostra collegamenti con molti altri film. Da un punto di vista stilistico per esempio l’uso dei colori pastello, predominante nelle sequenze dedicate all’infanzia di Nemo, unita alla tendenza di creare continuità cromatica tra ambiente e personaggi, richiama lo stile di Wes Anderson. Mentre la dimensione onirica, l’attenzione per l’interiorità e i pensieri del soggetto, la cura per la scenografia, il montaggio rapido e le soggettive sono un omaggio, in tutto e per tutto, al cinema surrealista ed impressionata di inizio ‘900. Dal punto di vista tematico invece, la questione relativa ai percorsi di vita possibili era già stata precedentemente affrontata da diverse opere, ad esempio in Sliding Doors, anche se qui Dormael fa un passo in più, non parla unicamente di due sole opzioni legate ad una singola scelta ma arriva a parlare di un numero di universi alternativi così elevato da far perdere il conto allo spettatore. Altri riferimenti ben evidenti sono sicuramente quelli a The Truman show (il Nemo ultracentenario è protagonista di un serie televisiva che tiene incollata la gente allo schermo proprio come Truman Burbank) e Inception (quando nel finale i grattacieli si dissolvono e ci rendiamo conto che si tratta solo di un costrutto mentale) per citarne alcuni. Non manca poi l’autocitazione. Dormael costruisce la sceneggiatura di Mr.Nobody proprio a partire da un suo cortometraggio del 1984, E pericoloso sporgersi. Si potrebbe quasi parlare di “autoremake” dal momento che il nodo nevralgico della storia, nonché la costruzione di due itinerari di vita paralleli legati ad una scelta impossibile che un bambino si ritrova a dover compiere (scegliere se vivere con la madre o il padre) prende forma qui. Il corto è costellato di una serie di elementi costitutivi della pellicola del 2009, tra cui: la voice over del protagonista, l’elemento dell’acqua, la ridondanza dei tre colori primari, il tema del doppio che si ripropone in ogni modo (da sottolineare come particolarmente incisiva sia la sequenza nello studio dello psichiatra, con una scenografia a specchio), i binari e la metafora della scelta che può portare a vivere vite completamente diverse e segnate da un epilogo tragico, l’elemento fisico del treno nonché la questione spaziale ed anche l’elemento fisico dell’orologio con annessa la questione temporale. La costruzione narrativa è pressoché identica ma il lungometraggio mette a disposizione più di due binari da poter percorrere.
L’ultimo elemento sopracitato è il digitale. Il film fa largo uso degli effetti speciali, i quali non sono da considerarsi esclusivamente come puro fattore estetico, ma si dimostrano più e più volte funzionali all’andamento narrativo e alla definizione di alcune delle teorie scientifiche affrontate dalla pellicola, si pensi alla costruzione digitale della farfalla e della foglia che ci accompagnano nel cuore concettuale del film.

Riflessioni
La storia che ci viene mostrata diventa il mezzo attraverso il quale il regista pone lo spettatore nella condizione di riflettere su una serie di tematiche proprie dell’esistenza umana, senza dare necessariamente risposta ad ogni questione affrontata. Dormael preferisce lasciarci liberi di navigare nelle nostre interpretazioni personali. Sulla base di ciò, per esempio, possiamo spingerci a considerare il protagonista come metafora dell’uomo contemporaneo.
Attraverso il racconto di un bambino di otto anni, incapace di scegliere tra sua madre e suo padre, viene data voce alla frustrazione che opprime l’uomo di oggi, alle prese con una società prepotentemente asfissiante. Il fatto è che siamo inseriti in un contesto all’interno del quale, veniamo quotidianamente bombardati da una quantità infinita di informazioni e, di certo, le costanti scelte che siamo chiamati a fare non rendono più semplice sopportare il peso del ruolo impostoci dalla società. Questa oppressione spesso finisce per sfociare nella necessità fisiologica di evadere dalla realtà, che si rivela più grande di noi. L’uomo vive un forte senso di straniamento (nella pellicola rappresentato dai continui salti da una dimensione onirica all’altra) che lo destabilizza e lo spinge a rifiutare le opzioni postegli dinnanzi. Finisce per evadere da un contesto così claustrofobico che sembra corrispondere alla gabbia all’interno della quale troviamo il famoso piccione sopracitato. È interessante, per esempio, notare come i genitori del protagonista, non abbiano un nome, vengono indicati come “la mamma” e “il papà”. Anche lo stesso Nemo (letteralmente “nessuno”, quindi nel nome si nasconde una sorta di negazione identitaria) quando, nei minuti iniziali del film, parla di sé stesso in terza persona si definisce come “il piccolo bambino”. Si tratta di una semplice ma efficace dimostrazione di come la società ci incaselli tutti all’interno di ruoli prestabiliti, come se fossimo i sei personaggi in cerca d’autore tanto cari a Pirandello. Dunque il parallelismo tra la frustrazione decisionale di Nemo e dell’individuo contemporaneo, risulta sempre più forte. Del resto, proprio come il nostro piccolo protagonista decide di non scegliere nessuna delle due imposizioni portate al vaglio della sua coscienza, poiché effettivamente incapace di compiere una scelta, e fugge verso una terza via che sembra costituire uno spiraglio di libertà, allo stesso modo l’individuo della società odierna scappa (non fisicamente quanto piuttosto psicologicamente parlando) dal groviglio di angosce e frustrazioni che lo pervadono, per cercare rifugio altrove ed approdare in un universo salvifico costruito tramite la propria immaginazione ma anche, e soprattutto, grazie alla forza connaturale dell’opera filmica. Ed ecco che il film si può leggere anche come una forma di celebrazione del cinema, il quale attraverso la costruzione di mondi infiniti e possibili (qui esemplificato dalle vite di Nemo) diventa la via di fuga e lo spiraglio d’aria al quale possiamo aggrapparci per alleggerire lo spessore delle realtà.
 

 

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