News
Master MICA - Analisi di "Okja"
Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!

Victoria Quill - Okja (2017) di Bong Joon-ho

Okja emblema della contemporaneità
Okja (2017), scritto e diretto dal celebre cineasta asiatico Bong Joon-ho, è, sotto molti aspetti, una pellicola rappresentativa della contemporaneità. Ambientata sulle montagne sudcoreane, inizia temporalmente nel 2007; tuttavia le vicende narrate sono da collocarsi esattamente dieci anni dopo, nel 2017. Il regista inizia subito col dirci che la storia che intende mostrarci è una storia attuale, una realtà che riguarda tutti. Il tema affrontato è, infatti, una chiara critica all’ odierna industria alimentare sviluppatasi all’interno di un sistema capitalistico colpevole di averla resa fallace nel fornire una reale risposta al problema dell’emergenza alimentare; nonché totalmente indifferente verso gli animali, visti semplicemente come un prodotto da cui trarre il massimo profitto al minor costo. Temi decisamente sociali e politici perfettamente in linea con la cinematografia del piccolo paese asiatico; la quale, a sua volta, si inserisce in quel movimento di rinascita artistica e culturale, conosciuto come nouvelle vague coreana o hallyu, divenuto sempre più rilevante con l’inizio del nuovo millennio e che, a cavallo dei due millenni, dalla penisola coreana ha irradiato verso il resto del mondo usi, costumi e consumi. Ed è proprio in questo contesto che Okja trova collocazione. Una contemporaneità cruda e reale che ci viene mostrata anche grazie a tecniche cinematografiche innovative basate sull’impiego estensivo di computer grafica e di videocamere digitali. Nello specifico, sono proprio gli effetti speciali adoperati ad aver permesso di dare vita a Okja,  il  super  maiale,  con  definizioni  fino a vent’anni fa inimmaginabili. Detto ciò, è possibile percepire l’elevato grado di contemporaneità anche a livello industriale. Basti pensare al ruolo di primaria importanza svolto da Netflix, il gigante americano dell’intrattenimento. In qualità di produttore e distributore il colosso dello streaming ha infatti raggiunto per la prima volta, non senza polemiche, il palco della 70° edizione del festival di Cannes (2017). Le critiche rivoltegli dagli esercenti francesi e dal presidente della giuria, il regista Pedro Almódovar, hanno riguardato per l’appunto il se, e in che misura, un film non destinato alle sale potesse essere considerato per una premiazione. Come lo stesso Almódovar ha puntualizzato: “Le piattaforme digitali in sé sono principio giusto e positivo ma questo non dovrebbe sostituire la forma esistente come la sala cinematografica e non dovrebbe alterare le abitudini degli spettatori”. D’altra parte, senza Netflix, Okja, difficilmente avrebbe visto la luce. Come dichiarato dallo stesso Bong Joon-ho, dal punto di vista puramente creativo per lui, come per Noah, o Todd Haynes con Amazon, e per tutti quei registi che hanno una visione del cinema diversa da quella che ha grande successo in sala, Netflix rappresenta un canale importantissimo. In quanto, nessun grande studio o produzione indipendente si è sentita di rischiare investendo sul progetto. Il regista riconosce, quindi, a Netflix il merito di avergli finanziato il progetto, lasciandogli il pieno controllo creativo; concludendo, che questa è l’unica vera cosa di cui si preoccupano gli autori. Una polemica, questa, che si inserisce perfettamente nel quadro contemporaneo dell’intrattenimento.

1.  Da favola ecologista a vera e propria critica al capitalismo
Okja, coerentemente a quanto detto in precedenza, si presenta esternamente come una chiara critica all’industria alimentare e a quello che in molti hanno definito una “favola ecologista”. In realtà, la pellicola, non si limita a questo, ma va ben oltre, come in Snowpiercer o nel più recente Parasite, rivelandosi come una vera e propria accusa nei confronti dell’economia capitalista e dei suoi risvolti catastrofici. Primo fra tutti l’intensificazione dello sfruttamento ambientale e animale; seguito dalla creazione di disuguaglianze economiche e sociali; dalla graduale emarginazione dei paesi meno sviluppati e, infine, dall’annientamento delle eterogeneità culturali per mezzo di una lenta ma efficacie procedura di omologazione imposta dall’America e veicolata dall’inglese, lingua globale e globalizzante. Ricorrente in questo film, come nei già citati Snowpiercer e Parasite, è l’idea secondo cui affinché alcuni sopravvivano altri devono soffrire. D’altra parte, per mantenere vivo lo status quo generato dal capitalismo, è essenziale conservare quel fondamentale equilibrio senza il quale verrebbero sicuramente meno i privilegi delle classi più agiate. Gli sfruttati devono quindi accettare il loro destino senza mai oltrepassare il limite. Un limite guarda caso imposto dai detentori del potere economico: in Snowpiercer, il creatore del treno, in Parasite, la famiglia Park, e in Okja, la Mirando Corporation, emblema delle attuali multinazionali come l’azienda statunitense di biotecnologie agrarie Monsanto. In questo contesto, è interessante approfondire le figure delle due sorelle gemelle, interpretate da Tilda Swinton, Lucy e Nancy Mirando; rispettivamente CEO ed ex-CEO della multinazionale, entrambe volti differenti di uno stesso sistema neocapitalista caratterizzato da corporazioni che perseguono un doppio obiettivo, quello comunicativo delle campagne pubblicitarie e quello industriale dei target produttivi. Esteriormente ci appaiono molto diverse. Nel vestire, Lucy indossa abiti e gonne dai colori molto chiari, come l’onnipresente “piggy pink”, porta una pettinatura perfettamente dritta, femminile e moderna; sfoggiando, al contempo, un sorriso esageratamente perfetto, simbolo anch’esso del capitalismo americano. Nancy, all’opposto, si veste in maniera strettamente maschile, indossando pantaloni e abiti dai colori più sobri e scuri; il tutto contornato da una
cotonatura datata. In un film in cui niente è lasciato al caso, tutto ciò è un chiaro riferimento alle differenze di genere imposte dal capitalismo di stampo americano. Il colore rosa è infatti inteso come sinonimo di femminilità, ma anche e soprattutto di infantilità e debolezza. Al contrario, i colori più scuri ricalcano lo stereotipo capitalista del maschio bianco, simbolo di forza e mascolinità. Questa
distinzione viene anche ripresa a livello caratteriale. Lucy ci appare subito come un personaggio fragile e insicuro che necessita sempre di una guida, interpretata nel film da Frank Dawson (Giancarlo Esposito). Nancy è, invece, una persona estremamente risoluta e sicura di sé, sia nelle vita sia, soprattutto, negli affari; esattamente come il padre e il nonno prima di lei. Tant'è vero che lo stesso Frank continua ad essere informalmente il braccio destro della ex-CEO, trattando invece con una sorta di accondiscendenza Lucy, definita “piccola lady” dal Dott. Johnny Wilcox (Jake Gyllenhaal); a dimostrazione di come i personaggi maschili non la rispettino. Nel complesso, ambedue le sorelle, nonostante si facciano portavoce di approcci differenti, perseguono uno stesso fine; ovvero la massimizzazione del profitto per mezzo della vendita di un prodotto scadente, ma gustoso, economicamente accessibile a tutti. Un’ultima distinzione riguarda la collocazione geografica delle due sorelle nel film. Mentre Lucy vive a New York, Nancy risiede a Londra. Se, come detto, entrambe rappresentano le due facce di una stesso sistema politico ed economico; questo particolare potrebbe alludere ai due paesi stessi, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, legati da sempre da una “relazione speciale”; i quali negli anni ’80 videro, rispettivamente, l’allora presidente americano Ronald Reagan e il primo ministro britannico Margaret Thatcher come i fautori politici della rivoluzione neoliberista; orientamento di politica economica che ha posto le basi dell’attuale sistema capitalistico.

1.1   L’industria alimentare e il rapporto di Bong Joon-ho con il cibo
L’industria alimentare odierna è figlia di questa economia capitalista basata sul concetto piramidale di sfruttamento del più debole, in questo caso gli animali, i “super maiali”, a beneficio dei più forti, la Mirando Corporation; che si arricchiscono a discapito di un consumatore ingenuo e poco informato, facilmente abbindolabile da un prezzo allettante. Concetto che viene ben riassunto in una frase della stessa Nancy Mirando: “Se costa poco, la mangeranno”. Nancy incarna pienamente questo sistema economico in cui per avere successo bisogna necessariamente essere cinici, opportunisti e privi di qualsiasi morale; perché questi, come dice, “sono affari”. La sequenza nel mattatoio è in tal senso esplicativa. Alla domanda diretta di Mija del perché vogliano uccidere Okja, risponde: “Possiamo vendere solo quelli morti”. Ancora una volta, quindi, ritorna quella logica di mercato governata dalla domanda e dall’offerta. Un’industria, come si è visto, fondata, per sopravvivere, sulla sofferenza animale, “è tutto edibile a parte le urla”, e sull’inquinamento e sfruttamento della natura e delle sue risorse. Animali a cui non è riconosciuto il diritto di condurre una vita in libertà, ma che, al contrario, sono costretti ad un’esistenza da schiavi; in cui l’uomo si erge a padrone e, proprio come un Dio che li ha creati, decide del loro destino.
Bong Joon-ho ha voluto ricreare un mattatoio vero e proprio, ispirandosi ad uno visitato negli Stati Uniti durante le sue ricerche per l’elaborazione del film. Quello che si vede, dunque, non è frutto dell’immaginazione del regista, ma bensì una fedele rappresentazione di come è fatto e di come funziona un qualsiasi stabilimento per la lavorazione della carne; in cui addetti alienati sono alle prese ogni giorno con urla, sangue e carcasse. È, infatti, solo quando Mija mostra la fotografia di lei e Okja da piccole, che l’addetto sembra accorgersi realmente di quello che sta facendo.
Il cibo è per Bong un elemento estremamente importante perché, come ha dichiarato lui stesso in un’intervista, “mangiare e liberarsi sono i due elementi più importanti della quotidianità umana”. Da The Host, Parasite a Okja, il cibo è sempre rappresentato; sia come indicatore del benessere sociale sia come momento di ricongiungimento familiare. Da ciò si intuisce il motivo per cui il regista abbia volutamente scelto di focalizzarsi sull’ odierna industria alimentare per muovere una critica all’odierno sistema capitalista; industria caratterizzata dalla presenza di multinazionali come la fittizia Mirando, definita nel film come “la più odiata azienda agrochimica al mondo”. Fittizia solo nel nome, in quanto sembra ispirarsi in tutto alla reale multinazionale agrochimica americana Monsanto; produttrice di pesticidi ed erbicidi, nel 1960 ha prodotto il napalm e il famigerato “agente arancio”, uno dei più temibili defolianti, usato dagli Stati Uniti durante la Guerra del Vietnam. Da qualche anno, inoltre, si dedica alla manipolazione genetica di sementi, utilizzate anche per il mangime degli animali negli allevamenti intensivi; anche loro frutto di manipolazioni genetiche come mostrato nel film. Quest’azienda, esattamente come la Mirando di Bong, è colpevole di violazioni che vanno dalla contaminazione ambientale, tramite tonnellate di sostanze inquinanti scaricate nell’aria, nei fiumi e nei suoli, alla pubblicità ingannevole; subito mostrataci nella sequenza di apertura del film in cui il CEO Lucy Mirando presenta il “super maiale” come un prodotto assolutamente GMO free, eco- friendly e naturale. Gli unici che tentano di contrastare, anche se in maniera maldestra, l’agire di queste multinazionali in difesa degli animali; sono gruppi di attivisti, nel film rappresentati dall’AFL (Animal Liberation Front), organizzazione, nata in Inghilterra nel 1976, che si autodefinisce animalista.   Classificata   dall’USDA (United States Department of Agriculture), insieme alla PETA (People for Ethical Treatment of Animals), come sospettate di avere al loro interno infiltrazioni di matrice terroristica. In definitiva, il quadro che viene presentato è quello di un mondo governato   dall’interesse   di   pochi,  i quali, privi di ogni umanità, se non apparente, non interessa minimamente di mentire, danneggiando l’uomo, gli animali e l’ambiente; ma che, al contrario, ha a cuore solo il proprio profitto e comprende una sola lingua, il denaro. È proprio questo, il maialino d’oro, donatole a Mija dal nonno (Hee-Bong Byun), a risparmiare Okja da una morte certa. Destino preannunciato, ancora prima dell’inizio del film, da delle campane che suonano a morto; suono riecheggiato, alla fine della penultima sequenza, dagli spari in lontananza provenienti dal mattatoio.

1.2   Contaminazione americana
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, iniziò quella che è nota come Guerra di Corea, una delle fasi più acute della Guerra Fredda; che si concluse nel 1953 lasciando il paese diviso, tra Nord e Sud, lungo il 38° parallelo. In seguito ad un’alleanza nata al termine del conflitto, gli Stati Uniti aiutarono la Corea del Sud nella ricostruzione del paese; tuttavia l’inevitabile prezzo da pagare fu quello di accettare le ingerenze del potente stato occidentale. In questa pellicola, come in The Host e Parasite, emerge chiaramente il tema della contaminazione americana; soprattutto per quanto riguarda il ruolo degli Stati Uniti nell’influenzare il modello economico e sociopolitico del piccolo paese asiatico. Se in The Host si esplica sotto forma di un mostro fuori controllo, frutto di esperimenti scientifici; in Parasite si traduce in una società dalle sempre più polarizzate disuguaglianze di classe. Tema, quest’ultimo, ben rappresentato anche in Snowpiercer, dove in un futuro distopico un treno diventa simbolo del capitalismo e della lotta di classe. In Okja, invece, fin dalla prima sequenza, l’America si presenta al mondo come il “Salvatore”; “Dio” che ha compiuto il “miracolo” trovando una risposta all’emergenza alimentare: il “super maiale”, che viene spacciato come un prodotto assolutamente senza OGM e sostenibile. Un’ America bugiarda, fondata sulle apparenze più che sulla sostanza, con i suoi show televisivi e le sue star; come il Dott. Wilcox, un veterinario e zoologo che dovrebbe essere un amante degli animali, ma che invece non è altro che un personaggio televisivo che finge le emozioni davanti alle telecamere. Un uomo che, dopo esser stato umiliato da Lucy Mirando, una donna, davanti ai colleghi; ubriaco si vendica su Okja maltrattandola. Giustificandosi con la seguente affermazione: “quando una donna umilia un uomo davanti ai colleghi, un uomo tende a voler prendere le sue decisioni”. Non un ritratto sicuramente lusinghiero quello dipinto dal regista, che nuovamente coglie l’occasione per sottolineare la presenza scomoda di un paese bugiardo e orgoglioso di incarnare quell’ideale di “sogno americano” fatto di valori quali la libertà, la democrazia e l’uguaglianza. Un’ America che, in realtà, a telecamere spente, dietro ad un sorriso perlaceo e ad una campagna marketing ben studiata, nasconde una verità amara, ovvero quella di un paese che non smette mai di cogliere l’occasione per sfruttare il prossimo. Coloro che tentano di ribellarsi, andando contro corrente, finiscono o per essere strumentalizzati, come durante l’alquanto ridicola “Piggy Parade”, in cui Mija e Okja si trovano costrette a fare il gioco della Mirando; o soppressi, come gli animalisti facenti parte dell’ALF; che tentano di mostrare al mondo le atrocità della multinazionale e liberare il “super maiale”. È interessante constatare come, nel film, questa contaminazione non si sviluppi solo a livello economico e sociopolitico, ma anche e soprattutto a livello culturale. “Cerca di imparare l’inglese ti aprirà molte porte!” così esordisce K (Steven Yeun), attivista che fa da interprete tra il resto dell’ALF e Mija, prima di lanciarsi dal camion per sfuggire alla polizia. Questa frase è emblematica in quanto mira ad identificare quel sottile e subdolo intento imperializzante volto alla realizzazione di una cultura monolingue, che parla e pensa in inglese. Ci ritroviamo, così, come Mija, in un mondo in cui il non conoscere l’inglese è pari all’avere un grave handicap. L’ignoranza della lingua viene spesso usata come un’arma nei confronti della bambina; sia dalla Mirando, per confonderla e mentirle, sia da K che, col fine di portare a termine la missione, traduce erroneamente le parole di Mija. Da ciò, si ricollega un’altra tematica che sta particolarmente a cuore al regista sudcoreano; ovvero, l’importanza di una corretta ed esatta traduzione. Menzogna rivelata da K stesso nella sequenza in cui il gruppo di animalisti, riunitosi in una stanza d’albergo, alla vista e all’udire delle urla strazianti di Okja violentata, confessa di aver mentito sul consenso alla missione da parte di Mija. Questa confessione scatena l’ira del capo del movimento J (Paul Dano), che inizia a picchiarlo violentemente proferendo queste parole: “Mai sbagliare una traduzione! La traduzione è sacra!”. Bong si è espresso più volte in merito, sollevando la questione dei film in lingua originale, ed invitando il pubblico, specialmente americano, a superare la barriera dei sottotitoli per scoprire capolavori non in lingua inglese. Ciò si denota anche dalla decisione del regista di parlare in coreano ad ogni evento ufficiale servendosi di un interprete.

2.  Una storia di amicizia e amore
Nonostante le dure critiche messe in scena da Bong nel film, non bisogna dimenticare come questa sia anche una storia su un rapporto d’amicizia, d’amore, che vede come protagoniste una bambina,
Mija, e un animale, Okja. Entrambe orfane sono legate fin da piccole da un legame profondo che le permette di riconoscere nell’altra un’amica, una sorella, una madre e una figlia da accudire e proteggere. In un mondo complesso, egoista e alle volte spietato, dove i rapporti puri e sinceri e la fiducia nel prossimo scarseggiano, perfino all’interno della propria famiglia, come nel caso delle sorelle Mirando. Il loro unico desiderio è quello di poter continuare a vivere insieme, in armonia con la natura, indisturbate da eventi e da individui esterni, il nonno, le sorelle Mirando, l’AFL stesso; che possano in qualsiasi modo interferire nel loro rapporto separandole e costringendole a immergersi in quella realtà brutale e cinica, che guarda ad Okja solo come a un pezzo di carne e a Mija come una ragazzina insolente e seccante. Un rapporto che si delinea fin da subito come unico e indissolubile; in cui entrambe, senza indugio, sacrificherebbero la loro vita al fine di proteggere quella dell’altra, come Okja che salva Mija dal precipitare in un dirupo o Mija che compie un viaggio da Seoul a New York pur di riportarla a casa. Una vera e propria dichiarazione questa, simbolo assoluto di un amore incondizionato e altruista; elementi, oramai, sempre più assenti in una società caratterizzata da un crescente individualismo. Il tutto viene raccontato dal regista assumendo il punto di vista di Mija, rappresentato formalmente tramite  l’impiego  di  una  serie  di  soggettive  che  hanno  l’obiettivo  di  indurre  lo  spettatore  ad identificarsi con la protagonista, creando in questo modo un legame più profondo tra i due. Come, ad esempio, nei mercati sotterranei di Seoul durante lo scontro tra i dipendenti della Mirando e l’AFL o come quando la protagonista irrompe nel mattatoio alla ricerca di Okja. Inquadrature che vengono anche utilizzate dal regista per creare un maggior coinvolgimento emotivo da parte del pubblico; il quale, così facendo, riesce ad immedesimarsi e a comprendere quali che siano le sensazioni e i pensieri di una creatura dolce ed indifesa come Okja, impotente di fronte all’agire dell’uomo. È quindi possibile dedurre chiaramente la sofferenza, la paura e la profonda solitudine provata da Okja, quando viene strappata dalla sua casa, dalla sua famiglia e da Mija stessa; o quando, trasportata dall’aeroporto al laboratorio della Mirando, guardando tra i fori della gabbia in cui è rinchiusa, vede un enorme cimitero, il Calvary Cemetery nel Queens, con alle spalle una veduta su New York e i suoi grattacieli. Quasi a dire che in questa città, simbolo dell’America, non può che trovare la morte.
Bong Joon-ho riesce, ancora una volta, a disorientare lo spettatore stravolgendo la narrazione attraverso un rimescolamento di generi differenti. “Dieci anni più tardi…lontano da New York”, inizia così la seconda sequenza, mostrandoci una bambina in compagnia di una creatura quasi fantastica, viste le dimensioni; per poi proseguire incontrando personaggi caricaturali e maldestri, da Lucy Mirando, al Dott. Wilcox agli animalisti stessi. Il tutto condito di un umorismo infantile, di cui sono un chiaro esempio le scene in cui Okja peta e, in seguito, defeca addosso a Mundo (Je-mun Yun) il referente della Mirando a Seoul. Tutti elementi che, nel loro insieme, danno la sensazione che sia quasi <<un prodotto Disney>> per poi, invece, ribaltare ogni cosa, trasformandosi in <<un film decisamente coreano e molto esplicito>>. Aspetto, quest’ultimo, che, assieme alle già analizzate tematiche politico sociali, ad elementi di estrema violenza e ad alte competenze tecniche, è caratteristico di tutti i suoi film; perfino di quelli girati in lingua inglese. Un cinema coreano, che rifiuta gli standard di narrazione hollywoodiani e <<osa andare dove i film occidentali a volte hanno paura di avventurarsi>>. Ai fini della realizzazione della pellicola, sono stati di forte ispirazione i film di animazione del regista giapponese Hayao Miyazaki. Nello specifico, gli elementi di continuità con quest’ultimo sono rappresentati sia nella scelta di affrontare tematiche ambientaliste, come il rapporto uomo e natura; sia nel prediligere una protagonista femminile, precisamente nel periodo della formazione, poiché dotata di una mente più aperta e, soprattutto, di una forza e sensibilità maggiori. Una protagonista spesso orfana e con un rapporto con gli adulti di natura solitamente conflittuale. Nel corso del film, Mija, si ritrova più volte ingannata, derisa e ignorata. In primo luogo dal nonno, che le mente dicendole di aver comprato Okja; in seguito dal Dott. Wilcox, Lucy e dalla Mirando stessa sul loro amore ed interesse per gli animali e l’ambiente; e, infine, anche dall’ ALF, al fine di portare a termine la loro missione. Gli adulti, esattamente con in Miyazaki, sono contaminati dal mondo e dal suo essere corrotto, finendo, in questo modo, in situazioni da cui non riescono a scappare. Il nonno che, invece di comprendere e proteggere Mija, la porta a scappare di casa andando incontro a vari pericoli; il Dott.Wilcox che da veterinario, zoologo amante degli animali finisce per torturarli; e Lucy che dal voler ricostruire l’azienda di famiglia su valori fondati sul rispetto della natura, finisce col ricalcare le orme del nonno, del padre e della sorella. In risposta ad una generazione corrotta, Bong, come Miyazaki prima di lui, identifica nei giovani, nelle nuove generazioni, rappresentate da Mija e in parte anche dagli animalisti stessi, nonostante le loro contraddizioni, come i soli in grado di migliorare la società rinnovandola. In quanto, come si vede anche in Snowpiercer, <<solo qualcuno che rifugge al sistema e vive al di sopra dei suoi meccanismi può portare una nuova ventata per la civiltà, in modo da far ripartire il mondo da zero verso un diverso e più prosperoso inizio>>.
In conclusione, il film invita lo spettatore a rendersi più consapevole della realtà che lo circonda, esortandolo a riflettere su ciò che è realmente importante, ovvero gli affetti e i rapporti in genere; suggerendogli di rispettare ed ascoltare, senza pregiudizi, i giovani, la natura, gli animali e, in generale, chiunque sia sprovvisto di una voce reale o simbolica che sia. Concetto perfettamente espresso dal rapporto tra Mija e Okja e dal loro particolare modo di comunicare. Un momento di condivisione e d’amore in cui, come ci mostra il regista, non è importante comprendere esattamente le parole che si bisbigliano l’un l’altra all’orecchio, ma fermarsi ad ascoltare.
Maximal Interjector
Browser non supportato.