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Master MICA -Analisi di "TEKKONKINKREET"

Gli studenti del Master in Management dell'Immagine, del Cinema e dell'Audiovisivo dell'Università Cattolica di Milano, hanno svolto delle interessanti analisi per il corso di Storia e scenari dell'immagine e dell'audiovisivo: le pubblichiamo con piacere sul nostro portale! Complimenti!

Marta Cappelletto - TEKKONKINKREET (2006) di Michael Arias


«La Città Tesoro ha sempre un certo non so che, è un po' come l'isola che non c'è, in un certo senso»

 
Città Tesoro è il regno di Bianco e Nero, due orfani che vivono per la strada — questi sono i tre protagonisti di Tekkonkinkreet. Film d'animazione prodotto dallo Studio 4° C, diretto da Michael Arias e uscito il 23 dicembre 2006 in Giappone, è l'adattamento cinematografico del manga omonimo, pubblicato per la prima volta tra il 1993 e il 1994, opera di Taiyô Matsumoto.
Benché sia nato da un fumetto degli anni Novanta, il film si inserisce pienamente nella contemporaneità; anzi, forse proprio questo suo essere una traduzione animata permette di apprezzarne i tratti più attuali. È contemporaneo, innanzitutto, lo stile di disegno. Quello adottato per i personaggi risalta per la sua diversità rispetto ai film d'animazione giapponesi, ma anche occidentali. Esiste, infatti, uno standard del disegno manga e anime, che implica delle determinate proporzioni della figura umana, così come un certo tipo di colorazione. In Tekkonkinkreet vengono alterate le proporzioni standard di occhi e corpi e queste modifiche, percepite dallo spettatore, concorrono a creare un senso di inquietudine: gli occhi sono piccoli, i sorrisi accentuati e con molti denti, sono disegnate anche le labbra (una particolarità, nell'animazione giapponese, ancor più se di personaggi maschili), le gambe sono corte e le braccia lunghe. Il tratto è spigoloso, incisivo e più dinamico dello standard, fa apparire le figure come abbozzate (esempi sono le mani e i piedi, formati da rettangoli) e contrasta concettualmente con l'attenzione data ad altre parti del disegno e dei caratteri: è necessario notare la scelta, non comune in animazione, di creare per i personaggi diversi outfit. I colori sono dati in campiture poco chiaroscurate; inoltre, non vengono usati i colpi di luce tipici degli anime.
Non è attuale solo lo stile, ma anche l'animazione. Il film è stato realizzato in quella che viene chiamata “tradigital art”: i disegni di fondali e personaggi sono creati a mano per poi essere digitalizzati e animati al computer. L'animazione digitale permette di realizzare movimenti di macchina tipici dei film d'azione in live-action, che spaziano in un mondo diegetico creato realisticamente (anche grazie ad una mappa di Città Tesoro generata al computer a partire dai disegni a mano).
Un aspetto contemporaneo del film è anche la commistione di culture. La multiculturalità è presente, innanzitutto, nella crew creativa: la produzione e la troupe d'animazione sono giapponesi, mentre il regista è americano. Il cast non giapponese è formato dai tecnici del suono Axel Ericson e Matt Naiman, dal sound designer Mitch Osias e dal duo inglese di musica elettronica che si è occupato della colonna sonora originale (Ed Handley e Andy Turner, che insieme sono i Plaid). Ma la multiculturalità è anche un tratto interno al film: Arias ha raccolto stimoli, tradizioni e immagini dall'Asia intera, e li ha restituiti in modo originale sia durante lo svolgimento della trama sia nella creazione di Città Tesoro. Ad esempio, sono inseriti cartelli scritti in giapponese e in hindi, statue di Buddha e di divinità Indù (si riconoscono almeno Ganesha e Hanuman) o riferimenti ad altre parti dell'Asia, come il teatro indonesiano di silhouette Wayang Kulit, mostrato nella sequenza in cui Kimura uccide Topo.
La contemporaneità tocca anche alcune tematiche interne: prima tra tutte, quella dell'identità. Non si tratta, qui, della perdita o della ricerca di un'identità, ma piuttosto dell'avere un'identità non definita o instabile. I due protagonisti si chiamano Bianco e Nero, due aggettivi, non-nomi che vengono dati per reali. Altri due bimbi sono Alba e Crepuscolo. Un altro personaggio cardine è il Signor Serpente, mentre un caso particolare è il Signor Suzuki, che si fa chiamare Topo. Sono tutti nomi parlanti, generali, soprannomi di cui non si conosce la radice. Si può pensare di approcciare Tekkonkinkreet come se si trattasse di una favola: si cercherebbe disperatamente la morale accorgendosi poi che questa non è univoca, che la psicologia dei personaggi non è descritta chiaramente, che questi non sono schierati in un scontro manicheo.
Si può notare, poi, il tema del cambiamento inevitabile e che viene dall'esterno. È, in questo caso, una minaccia violenta a cui si risponde con altra violenza: la yakuza locale viene spodestata da un'organizzazione più professionale e meccanica. La complessità però è maggiore di così: la yakuza estera rompe gli equilibri della città, odiata dai suoi abitanti ma comunque un vero tesoro per coloro che se la contendono, e seppellisce tutto nel cemento armato. Questo è, quindi, distruzione di un passato migliore ma anche significato dell'intera opera: Tekkonkinkreet è una pronuncia errata e infantile di tekkin konkurito, che significa “cemento armato” in giapponese.
Un altro tema affrontato tipico della contemporaneità è quella della povertà e del vivere ai margini della società: i protagonisti sono due ragazzini orfani che vivono per strada, il loro nonno è un reduce della guerra abbandonato a sé stesso e soprattutto apertamente schifato da chi lo incontra per strada.
Il rilievo, la singolarità e la contemporaneità di Tekkonkinkreet sono dimostrati anche dai premi ottenuti negli anni: ha ricevuto l'Ōfuji Noburō Award ai Mainichi Film Awards nel 2007, è stato miglior film d'animazione al Catalonian International Film Festival del 2007 e ai Japan Academy Awards nel 2008, ai Tokyo Anime Award sono stati premiati Shin'ichi Kimura per la migliore direzione artistica e Taiyô Matsumoto per la migliore storia originale sempre nel 2008; infine, è stato nominato per il Golden Reel Award del Motion Picture Sound Editors negli Stati Uniti nel 2008. Il film è stato proiettato anche al Festival del cinema di Berlino.

I TEMI
In Tekkonkinkreet possono essere individuati diversi livelli di simboli e significati, complessamente avviluppati tra loro. Durante lo svolgimento del film, facilmente si percepisce la presenza quasi fantasmatica di qualcosa a cui i personaggi si riferiscono, una sensazione, qualcosa che sembrano conoscere tutti, fuorché lo spettatore.
Ci sono molti indizi che permetto di leggere la storia di Bianco e di Nero come una grande metafora della scelta dell'essere umano di fronte alla propria vita. Arias riflette su questo argomento dal punto di vista orientale, come comprovano i numerosi rimandi culturali e religiosi all'Asia intera. Non è quindi improprio considerare Città Tesoro come metafora della vita e l'avventura di Bianco e Nero come simbolo delle scelte nella vita. Questa lettura si può convalidare, notando in primo luogo come i temi dell'interezza del tutto e dell'opposizione dei contrari (argomenti su cui riflettono molte delle filosofie asiatiche) siano tenacemente riproposti nel corso della narrazione.
Anzitutto è utile sottolineare i nomi dei due protagonisti: Bianco e Nero. Sono nomi che parlano di loro. Bianco è il minore, ingenuo e onesto. Nero è il maggiore, violento e scaltro. Non possono, e non devono, vivere l'uno senza l'altro — gli opposti necessari nell'intero. La conferma arriva direttamente da Bianco: mentre è con Sawada al tempio, gli confessa che i cuori dei due ragazzini sono rotti, e che solo Bianco può riparare il cuore di Nero, avendone tutte le viti.
Il bianco e il nero sono i due colori che formano il Tao (simbolo cinese dell'Uno, degli opposti, del positivo e del negativo che si completano a vicenda e che da soli non esistono) e infatti l'unione dei due opposti è resa anche visivamente dagli indumenti di Bianco e di Nero. Entrambi hanno spesso il loro nome (White, Black, Shiro, Kuro, S, K) trascritto su magliette e collane, Bianco è spesso vestito di chiaro, mentre Nero di scuro. Un ulteriore passo nel ragionamento è notare che Nero in due occasioni indossa abiti con simboli che rappresentano l'unione di due parti diverse: una giacca con un Tao e una maglia con un simbolo che dà l'idea incastro tra due parti. Questo fatto è indicativo di uno squilibrio che perdura nella narrazione: è Nero che desidera la stabilità, è una richiesta che porta con sé. Bianco, al contrario, ha un contatto diretto con l'equilibrio, e quindi ne può far oggetto di dono. Fin dalla prima sequenza, infatti, l'ingenuità pura del fratello minore è legata alla sfera del metafisico. Dal blackscreen iniziale, con il voice-over di Bianco, si passa alla luce di un fiammifero passando attraverso l'occhio del bambino. È quindi possibile immaginare da subito che l'intera narrazione abbia a che fare con l'inconscio, o che lì si svolga, che si indaghi quella parte irrazionale della vita degli uomini che alcuni fanno occupare dalla religione, altri dall'amore, altri ancora dalla violenza. E a riguardo di tutti questi temi Arias si esprime. I riferimenti religiosi nel film sono numerosi e precisi (dalla statua indù di Ganesha, a quella di Buddha, alle invocazioni a Dio fino a Topo che cita la Bibbia mentre sta per essere ucciso da Kimura: «le colpe dei padri...conosci il detto vero?»); l'amore è ciò per cui si vive, secondo un consiglio di Topo a Kimura, e infatti egli per amore tenta di fuggire, non riuscendoci; la violenza pervade i comportamenti di Bianco e Nero, ma anche della yakuza e, ovviamente, di Serpente. Ancora nella sequenza iniziale viene introdotto il terzo protagonista della storia, che resta sempre in scena attraverso le parole dei personaggi ma si mostra solo alla fine: si tratta del Minotauro che, al pari della tradizione occidentale, è una figura mitica anche in Tekkinkonkreet. Archetipo della violenza, è considerato da tutti i ragazzi di strada insuperabilmente forte. Il Minotauro, nel mito greco, è una punizione di dei vendicativi: che sia Afrodite o Posidone a lanciare la condanna contro Parsifae o Minosse, in entrambi i casi il Minotauro è il risultato disumano dell'unione tra razionalità e istinto. È un mostro che unisce due parti inconciliabili dell'uomo e che per questo è chiuso in un labirinto, è solo, è un abominio. In esso si uniscono due parti che però vengono mescolate dall'odio e dal rancore di un dio arrabbiato: niente di più lontano dall'equilibrio. E ancora, il Minotauro di Tekkonkinkreet non è un uomo forte ma un ragazzino dalla pelle malata e verde, magro e con le unghie troppo lunghe, indossa una maschera, un bucranio, il che lo rende ancora più vicino ad una figura archetipica di morte, violenza e solitudine. Sono Bianco e il Minotauro che vengono mostrati per primi, durante l'onirico inizio del film, e sono già i due opposti tra cui Nero dovrà scegliere: l'oscurità o la luce. Il Minotauro è il futuro di Nero, se dovesse evitare di fare una scelta quotidiana, ma si lasciasse trasportare dagli eventi. È la possibilità costante di ricadere in uno stato di animalità violenta, di oscurità, che è il rischio dell'uomo che non comprende la sua natura e non doma l'istinto con la ragione. Nero deve scegliere, e lo fa solamente quando viene obbligato dal Minotauro, il quale trasporta il ragazzo negli anfratti di un iperuranico inconscio: può essere la mente di Nero, ma anche quella del Minotauro, ma pure quella di Bianco, e probabilmente è l'inconscio di tutti e tre. Un viaggio violento e difficile che crea del dolore fisico al piccolo Bianco, perché lui con quel mondo delle idee ha un contatto diretto. E, difatti, Bianco è un miracolo. Un angelo mandato dal dio e che al dio è rimasto legato (ricorda molto una Gelsomina di felliniana memoria), parlandogli e venendo da lui protetto. Il nonno arriva ad esplicitarlo: «Bianco è un miracolo, non è stato scalfito dalla città». Bianco, con cadenza regolare durante il film, parla a Dio, gli dice di essere l'agente Bianco e svolge il resoconto della sua giornata, passata a mantenere la pace sulla Terra; quello che sembra un gioco di bambini in questo modo assume un significato superiore. Lo stesso per il ricorrente simbolo della mela. Il fratello minore mangia una mela dopo essersi lavato vantandosi di essere un uomo-mela, per poi piantare un semino del frutto, aspettando germogli. Nero, dopo aver distrutto la sede della yakuza, lascia intatto solamente un cestino di mele. Kimura offre a Choco una mela, ma lui la rifiuta. La mela è tradizionalmente vista come tentazione, nel mondo occidentale: questa lettura non regge, perché non riesce a spiegare la fissazione di Bianco per il suo seme di mela né, tantomeno, il rifiuto del frutto da parte di Choco. Se invece si considera la mela come un dono divino, tutto si fa più sensato. È il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male nel giardino dell'Eden, è pure il frutto dell'albero di Era nel giardino delle Esperidi: il dio dona a Bianco la capacità di scegliere e far scegliere. Il bambino può mangiare la mela perché lui una scelta la compie tutti i giorni (spesso convinto ripete: «Sii felice, sii felice»), riconosce il bene dal male; pianta il seme perché nasca un albero della conoscenza e perché Nero, e Città Tesoro, possano averne accesso. Ecco che quindi Choco la mela è costretto a rifiutarla, ecco l'importanza della yakuza nel film. Choco non può mangiare la mela perché non riconosce davvero il bene dal male. I criminali hanno fatto una scelta, una sola, che condizionerà tutte le altre della loro vita, che resterà in balia degli eventi e sulla quale non avranno più facoltà di modifica. Solo uno scapperà, un membro degli Apache, e lo farà con la madre, confessandole che Città Tesoro non faceva per lui. È probabile che questo membro sia lo stesso a cui Kimura ha tagliato le orecchie: il trauma derivato da qualcosa di straordinario porta a un cambio altrettanto straordinario. Ma non si scappa davvero; i tatuaggi dei membri della yakuza sono emblema dell'irreversibilità della loro scelta e infatti non c'è reale scelta: non si sa cosa accada al membro che fugge, ma la sua fuga si compie in treno, un mezzo che non si controlla in prima persona; anche Kimura uccidendo Serpente compie qualcosa di straordinario che lo spinge a fuggire, prende la sua automobile e prova a scegliere davvero, ma non riesce, viene ucciso prima. «Tutti finiamo cosi, non siamo noi che scegliamo la vita ma la vita che sceglie noi» dice Topo, in punto di morte, a Nero — è esattamente l'opposto del messaggio che l'angelo Bianco porta. Kimura, Topo, la yakuza, sono marionette guidate da altri, ormai intrappolati nella loro vita (nella sequenza dell'omicidio di Topo, i due hanno un teatro Wayang Kulit alle loro spalle e dei pesci chiusi in sacchetti sul soffitto sopra le loro teste). Però alla yakuza non viene dato rilievo solamente narrativo, ma anche a livello di simbologia. Il Capo mangia una pesca, un momento che è particolarmente evidente soprattutto ad un pubblico occidentale, in quanto il frutto è molto grande e viene mangiato pelandolo, alla maniera giapponese. In questo caso Arias assume quindi un'ottica orientale. La pesca in Giappone è un frutto sacro: farla mangiare al Capo della yakuza è una scelta forte, che valida anche il loro modo di vivere. È proprio della filosofia genericamente asiatica il considerare l'importanza dell'interezza, della scelta personale ma del rispetto della scelta altrui. La yakuza non è mai una possibilità per Nero, quindi la sua importanza per la creazione di un'impalcatura di simboli è quella di considerare valida e possibile anche una vita passiva, come quella dei membri dell'organizzazione criminale.
Bianco e Nero vivono in un piccolo quartiere, un'isola che non c'è. Città Tesoro è odiata da tutti i personaggi del film (è odiata la città odierna, o quella passata, è odiato lo squallore, la criminalità) ma è al contempo da tutti rivendicata come propria e da tutti vuole essere posseduta: esattamente come la vita. La vita è caotica, un intricarsi di percorsi. Viene osservata dall'interno (le soggettive all'interno dell'automobile della polizia), dall'alto (Bianco e Nero sono due "gatti", saltano con agilità fin sopra i palazzi), dall'esterno (proprio la minaccia di Serpente viene da una torre che è sulla sponda opposta di una parte del fiume che circonda Città Tesoro). La vita può essere anche piena di oggetti, di vie, di confusione, di lingue, di fedi e di simboli. Città Tesoro è fortemente kitsch, e questa è un'aggiunta di Arias rispetto al manga di Matsumoto. Il kitsch è una categoria estetica estremamente contemporanea: è la falsità che porta familiarità e conforto. La copia malfatta e l'accostamento apparentemente casuale di colori e oggetti sono parti del kitsch che le persone cercano e creano, non sempre consapevoli di quanto queste possano essere scelte false e pleonastiche obbligate da un pensiero sociale contemporaneo che cerca di evitare all'individuo di pensare per poter consumare. La consapevolezza toglie parte della negatività, rende il kitsch scelta e non subdolo obbligo. Rendere Città Tesoro così sovrabbondante di oggetti è un modo forte di ricreare la confusione della mente e della vita e proprio nella confusione rendere la Città viva.
Quando viene inquadrata dall'alto, si nota che l'isola è a forma di occhio. Quest'ultimo è un simbolo che ricorre spesso durante il film. I personaggi si collegano tra loro attraverso gli occhi. Durante l'introduzione al film, un primo piano del Minotauro e dei suoi occhi rossi ricorre come immagine iniziale per poi passare, con una dissolvenza al nero, all'interno dell'occhio di Bianco. Si può pensare come una specie di mise en abyme che incastra il Minotauro, Bianco e Nero e i loro pensieri. Ma ancora, Serpente osserva la città dall'alto di una torre esterna all'isola-occhio, la cui pupilla è la giostra distrutta dal Minotauro verso la fine del film. Nero indossa una collana a forma di occhio mentre è lontano da Bianco: un amuleto, ma forse una possibilità per Bianco di vedere ciò che vede Nero, motivo per cui impazzisce quando il fratello viene portato dal Minotauro all'interno dell'incubo. Mentre Nero si trova in questa surrealtà, si sentono le voci di Bianco e dello stesso Minotauro che lo incitano a capire cosa vede, cosa dicono i suoi occhi, in cosa crede e allora si apre un altro occhio da cui escono dei pesci volanti. Ancora, durante il finale alla spiaggia, Bianco costruisce un occhio fatto di conchiglie e inserisce un cavatappi nella pupilla. Ma ci sono anche i movimenti di macchina, l'occhio del regista e dello spettatore, che avvicinano Tekkinkonkreet ai film in live-action: panoramiche a volo d'uccello, long-take in soggettiva, associazioni particolari (Nero è visto spesso da una finta macchina a mano, l'effetto è di incertezza e instabilità).
Tenendo conto di tutto, l'occhio può essere visto come collegamento con l'irrazionalità, quella parte di mente occupata dalla divinità e dalle credenze. Il collegamento tra Bianco e Dio rende il bambino superiore rispetto agli altri personaggi, ma anche un tramite tra Dio e la città, Dio e la vita (dato il legame tra la città, l'occhio, Dio e Bianco). La città è la vita, così come il mare è la non-vita, è il luogo anelato da chi fugge: Bianco ricostruisce un occhio, ricostruisce la vita, e ci inserisce il kitsch, il superfluo, grazie a quel cavatappi, rendendo la non-vita nuovamente vita.
Per concludere, è interessante notare da che parte della scelta tra Bianco e Minotauro si pone Arias. Il regista ha inserito all'interno del film degli elefanti, in un numero davvero troppo alto per essere solamente un fatto curioso. Il primo viene mostrato nella sequenza del combattimento tra Bianco, Nero, Alba e Crepuscolo. L'elefante è una statua che esce da un orologio: Matsumoto nel manga aveva immaginato la scena con l'uscita di un grande uomo in preghiera, mentre Arias lo trasforma in un macchinario in movimento raffigurante Ganesha. Questo è una fondamentale divinità induista, ed è proprio Ganesha che spaventa Alba e Crepuscolo, non la temuta violenza di Nero. Questo dio dalla testa di elefante è il protettore degli inizi e dei percorsi, colui che rimuove gli ostacoli: dal momento in cui viene fatto uscire dalla torre, rimane fuori per tutta la durata del film, guardando i due fratelli grazie agli occhi di altri elefanti. Questo è un modo per Arias di dare maggiore potere al messaggio di cui Bianco è simbolo e alla quotidiana scelta tra bene e male, al percorso (ecco Ganesha) dell'uomo, fatto di continue decisioni. Il regista stesso porta con sé le conseguenze di una scelta importante cioè il suo trasferimento dagli Stati Uniti al Giappone.
Ma dall'India il potere di Ganesha si trasferisce in Giappone e dà vita a Kangiten, divinità buddhista simbolo dell'unità degli opposti che si presenta nella forma di due elefanti abbracciati. Questo permette di fare alcune annotazioni: intanto che l'iconografia usata per rappresentare gli elefanti nel film non è mai giapponese (gli elefanti disegnati in Giappone sono particolarmente riconoscibili) ed è un ulteriore aspetto della multiculturalità presentata nel film; il significato di Kangiten è poi una nuova conferma del tema degli opposti che si ritrova nella narrazione. È fondamentale anche l'elefante bianco, che in Thailandia è un animale sacro e fortunato, e che nella tradizione buddhista è tramite divino che permette a Maya di diventare la madre del futuro Buddha. Che Bianco sia legato agli elefanti è evidente: mentre è alle terme col fratello e il nonno ne cavalca addirittura uno, che compare in una sua fantasia (mentre il dio gli fa immaginare che il suo albero cresca) e compare nella realtà di Bianco, poiché nessuno lo vede se non lui, che ha accesso alla conoscenza divina. La statua di un elefante, poi, lo protegge mentre è in ospedale. La conferma finale arriva con la sequenza del lunapark: si collegano, anche visivamente, il Tao, il bianco, il nero, gli opposti, agli elefanti, attraverso le file di statue bianche e nere. Se l'elefante è tramite della divinità, il tentato omicidio del sicario di Serpente operato da Bianco assume una certa rilevanza: i due ragazzini, in un'inquadratura precedente, vengono mostrati davanti ad un enorme cartellone di una marca di fiammiferi (modificato da uno esistente nella realtà), raffigurante un elefante. Legata la divinità al fuoco, l'atto di Bianco appare come un atto di Dio, a maggior ragione che il ragazzino sembra slegato dalla realtà, mentre getta il fiammifero. Questo è un dio vendicativo, che protegge i due fratelli ma non la città: «Lascialo bruciare, Nero» dice Bianco «Tutta questa città brucerà». Rappresentare l'intero e accettare la presenza dell'opposto non significa che si possa essere risparmiati dal compiere una scelta, e Città Tesoro si sta lasciando andare alla criminalità e al cemento di Serpente.
Il film, comunque, si conclude lietamente: Bianco e Nero sono al mare, di Città Tesoro non si conoscono le sorti. I due fratelli sono riusciti a fuggire, Nero ha scelto Bianco. Il mare è l'opposto della città, ed è, come si diceva, non-vita a cui Bianco dona protezione e energia vitale con la sua presenza.
                                                                                          

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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