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Misery non deve morire: 30 anni dopo il sorriso di Annie Wilkes incute ancora timore

Il 29 novembre di 30 anni fa faceva il suo esordio alla première di Westwood, California, un film destinato a diventare un vero e proprio cult del genere thriller/horror: stiamo parlando di Misery non deve morire diretto da Rob Reiner

Il film, tratto dal celebre romanzo di Stephen King, narra le sventure di Paul Sheldon (James Caan), celebre scrittore e creatore di una fortunata serie che ha come protagonista Misery Chastain. In seguito a un incidente stradale, che lo renderà temporaneamente incapace di muoversi, la sua vita si tramuterà in un vero e proprio incubo, impersonificato dagli inquietanti lineamenti di Annie Wilkes, interpretata da una straordinaria Kathy Bates.



La performance dell’attrice è stata tale da scolpire nella memoria degli spettatori un personaggio incredibilmente iconico, la cui follia è capace ancora di suscitare profondi turbamenti. Interpretazione maestosa della Bates che arrivò a conquistare sia il premio Oscar sia il Golden Globe come miglior attrice. Rimasta celebre anche la battuta che la Bates rivolse al suo collega James Caan durante il suo discorso alla serata degli Oscar: “Voglio scusarmi pubblicamente per le caviglie, e vorrei dirti che sono la tua fan numero uno Jimmy”.

Durante un’intervista, Stephen King ha dichiarato che il libro affrontava il tema della dipendenza dalle droghe; lo scrittore, infatti, è stato dipendente dalla cocaina per un lungo periodo della sua vita. Seguendo l'interpretazione che lo stesso autore dà della sua opera, Misery è un film sulla cocaina e la stessa Annie Wilkes, la fan numero uno, altro non rappresenta che il mellifluo e letale abbraccio della dipendenza.



Interessante notare come il film sia stato in un certo senso precursore di quello che sarebbe poi diventato il leitmotiv di un certo tipo di serialità televisiva. Annie Wilkes, infatti, rappresenta a pieno il fandom tossico, i fan talmente accaniti e ciecamente devoti al loro modo di immaginare l’opera da rivoltarsi contro lo stesso creatore dell’oggetto di cotanta devozione. L’artista,quindi, non è più libero di reinventare la propria creazione ma ne diventa prigioniero, proprio come lo era Paul Sheldon.

Nella produzione seriale contemporanea, con il diffondersi esponenziale dei mezzi di comunicazione, la voce dei fan è diventata sempre più ingombrante,tanto da incidere, spesso e volentieri, sul proseguimento dell’opera. Non possiamo quindi che sposare il guizzo folle e geniale dell’artista che, con un gesto iconoclasta, uccide la sua stessa creazione liberandosi così da questa morbosa prigionia.


Simone Manciulli

Maximal Interjector
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