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"Narcos: Messico 2": il regno di Félix Gallardo

Anni '80, capelli cotonati, musica pop e fiumi di cocaina: questo è lo scenario a cui ci ha abituato Netflix in uno dei suoi prodotti di punta e cavallo di battaglia, Narcos.
Ebbene questo stile vincente e accattivante ritorna ancora una volta con la seconda stagione di Narcos: Messico, sorella dell’originale colombiana uscita su Netflix il 14 febbraio.

La storia riprende direttamente da dove si era conclusa nel 2018, con l’assassinio dell’agente della DEA Enrique "Kiki" Camarena da parte del narcotraffico messicano, dominato dal padrino Miguel Ángel Félix Gallardo, e l’inarrestabile ascesa al potere di quest’ultimo.
Ci troviamo di fronte al regno criminale assoluto di Gallardo, il boss “gentiluomo” che si è saputo muovere agilmente dallo spaccio di marijuana a quello su larga scala di cocaina, stringendo affari con gli intoccabili colombiani.



I suoi prossimi obiettivi sono il controllo totale delle rotte del narcotraffico in Messico e, soprattutto, la politica di stato. Ma le forze dell’ordine americane non restano in panchina, specie dopo il brutale assassinio di uno dei loro. La DEA, infatti, organizza una nuova squadra dai metodi non proprio ortodossi per mettere in atto la missione “Leyenda”: catturare Félix Gallardo e mettere così fine al suo impero. La squadra è capeggiata dall’agente Walt Breslin - voce narrante sin della prima stagione ma conosciuto effettivamente solo alla conclusione di quest’ultima - che, motivato più che mai dall’esecuzione di Camarena, farà di tutto per abbattere i suoi nemici giurati.


Concludere la missione non sarà cosa facile però perché, nonostante “il padrino” abbia molti più nemici proprio ora che la corona si è appesantita, si dimostrerà ancora un ottimo stratega e giocatore d’azzardo, pronto a rischiare sempre con molta lucidità e calcolo. La battaglia senza regole e quartiere non risparmierà nessuno e sangue e proiettili tempesteranno ancora una volta le strade da Sinaloa a Guadalajara



Se la formula ormai è rodata, lo show questa volta fa molta fatica a ingranare con le prime tre puntate sottotono e prive di eventi veramente significanti. Nella seconda metà la storia finalmente si fa interessante, trovando il suo punto più alto negli episodi 8 e 9, i migliori qualitativamente, grazie anche a una regia che sa rischiare e sperimentare in alcune inquadrature. In queste due puntate le trame intrecciate nel corso del tempo finalmente esplodono creando tensione e situazioni molto avvincenti e drammatiche.


Il problema principale dello show però rimane: pochi personaggi veramente carismatici e caratterizzati e molti, invece, poco interessanti e piatti. Il contraltare del male viene affidato, in questa stagione, a un personaggio meno pregnante e convincente del Kiki Camarena della prima stagione, che aveva anche rivelato Michael Peña come un ottimo attore drammatico. Walt Breslin, infatti, non riesce ad attirare i favori del pubblico come può fare il fascino maligno di un boss carismatico, anzi riesce addirittura a risultare antipatico a volte. Questo aspetto ovviamente accresce il rischio di mitizzazione di efferati criminali per i quali si finisce per parteggiare.


Il vero protagonista assoluto rimane l’unico capace di reggere sulle sue spalle l’intero show: Félix Gallardo, il minuto padrino dallo sguardo malinconico, principe del male, più umano, se possibile, del bestiale Pablo Escobar, ma non meno brutale, accorcia le distanze con il pubblico, accaparrandosi simpatie e affetti degli spettatori.




Il magnetismo di Félix è dovuto principalmente alla prova magistrale del suo interprete, Diego Luna, capace di renderlo l’unico personaggio veramente memorabile dello show, degno di illustri paragoni nell’universo delle serie gangster con pesi massimi come Tommy Shelby di Peaky Blinders. Anche il resto del cast fa un ottimo lavoro ma degno di menzione risulta soprattutto Scoot McNairy che veste i panni dell’agente Breslin: l'attore molto espressivo, già visto nell’ultima stagione di True Detective e nella più recente fatica di Tarantino, è però penalizzato da una scrittura che non rende giustizia al suo personaggio. Peccato anche per le occasioni sprecate di dare più rilievo a figure potenzialmente molto accattivanti ispirate ai celebri narcotrafficanti messicani, come Chapo Guzmán o Amado Carrillo Fuentes.


In conclusione, questa seconda stagione si rivela inferiore alla prima, perdendosi più di una volta in tempi estenuanti, privi di eventi rilevanti o stupefacenti. Lo show recupera solo nella seconda metà dove decolla definitivamente, forse non troppo tardi.
Narcos: Mexico riesce comunque a rimanere un dramma sul potere avvincente, da poter apprezzare solo nella sua interezza, che non manca di prendere posizioni scomode anche nei confronti degli stessi Stai Uniti.


Cesare Bisantis

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