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C’è ancora domani: come Delia di Paola Cortellesi ha superato la Barbie di Greta Gerwig
Paola Cortellesi non smette di stupire: il suo C’è ancora domani è ancora in programmazione nelle sale, dopo aver esordito il 26 ottobre. Il film, presentato in apertura della Festa del Cinema di Roma, secondo i dati più recenti ha registrato un incasso (ancora in aggiornamento) di 33.719.763 euro, un risultato straordinario frutto soprattutto del passaparola giustificato dai meriti artistici della regista, capace di superare anche Greta Gerwig, che con Barbie si ferma (in Italia) a 32.122.05 euro. Non solo, limitandosi alle cifre si può notare come il film della Cortellesi abbia portato nelle sale anche un numero maggiore di spettatori: 4.944.123 contro i 4.390.410 di Barbie, che tra marchio Mattel, una regista affermata e due protagonisti come Margot Robbie e Ryan Gosling partiva nettamente avvantaggiata e sicuramente non necessitava di eccessiva pubblicità o passaparola di alcun genere. Cosa ha permesso, quindi, a Paola Cortellesi di arrivare a un risultato tanto importante?



Partiamo dalla forma: l’idea di raccontare una vicenda nell’Italia post-bellica utilizzando il bianco e nero è sicuramente vincente, un richiamo evidente al neorealismo, che si incontra con il neorealismo rosa, pur con alcune concessioni di natura più moderna come le sequenze drammatiche della violenza domestica, girate come fossero una danza con sottofondo musicale ad hoc. In contrasto, il pop sgargiante di Barbie, postmoderno nel suo essere spesso citazionista (2001: Odissea nello spazio e Matrix, su tutti) è coloratissimo e a tratti psichedelico, è solo parzialmente convincente: pensando a film tratti dal mondo dei giocattoli, The Lego Movie fu di gran lunga più incisivo, per forma e contenuti. Da Greta Gerwig era lecito aspettarsi qualcosa in più a livello di contenuti, mentre sembra che ci si fermi a una patina superficiale in cui solo la bravura e la bellezza dei due protagonisti riescono a reggere un intreccio altrimenti poco solido e a tratti banale, che affronta la questione di genere in maniera abbastanza manichea, senza un vero tentativo di dialogo, confronto o possibilità di contraddittorio.



Nello specifico: Barbieworld è un mondo straordinario, perfetto e meraviglioso finché a governare sono le Barbie, ma quando il potere viene preso da Ken, allora viene meno ogni equilibrio e forma di benessere, come del resto viene mostrato quando i due protagonisti si spostano nel mondo reale: è come se il messaggio della regista si riducesse al fatto che se fossero le donne a governare il mondo tutto funzionerebbe bene. Vero è anche che il punto di vista dell’intera vicenda è quello di Barbie ma, come già detto, da una regista come Greta Gerwig era lecito aspettarsi un maggiore equilibrio o quantomeno una maggior profondità. Che è esattamente quel che si trova in C’è ancora domani: il film si apre con uno schiaffo, come a mettere in chiaro che sarà la violenza sulla donna il fil rouge dell’intera opera: violenza fisica, ma non solo, perché Ivano (interpretato meravigliosamente da Valerio Mastandrea) umilia letteralmente sua moglie, trattandola come una schiava, se non addirittura un animale, distruggendola verbalmente e fisicamente. Eppure la Cortellesi mostra anche un risvolto della medaglia, in quanto l’amica di Delia, che lavora al mercato, non solo non si fa sottomettere dal marito, anzi, gli dà ordini, oltre a incoraggiare Delia a fuggire dalla situazione tossica che sta vivendo in casa sua. Le vicende raccontate sono specchio di una quotidianità cui nel secondo dopoguerra si era abituati al punto da considerare normale il comportamento di Ivano: purtroppo la cronaca delle ultime settimane ha mostrato che questo tipo di situazioni drammatiche esiste ancora benché non più (fortunatamente) socialmente accettate come un tempo.



Tuttavia fermarsi a questo avrebbe reso il film della Cortellesi un’opera interessante, ma come tante altre. La vera scintilla scocca con il finale, sorprendente ed emozionante:  Delia, dopo aver lasciato credere (agli spettatori) di voler fuggire con l’amore di una vita, lasciando intendere di rischiare letteralmente la vita se andrà in fondo alle sue intenzioni (i soldi lasciati alla figlia per andare a scuola sono un indizio evidente dei timori per quello che potrebbe fare il marito se la scoprisse), non prende alcun treno. Non fugge. Rimane. Ed è in questo momento che Paola cortellesi eleva ulteriormente il suo film ad opera di spessore civico e artistico: non è solo il 1946. È il 2 giugno 1946. Il primo voto feminile alle elezioni, dove tante donne hanno anche rischiato la vita (a causa dell'uomo di casa) per far sentire la propria voce nelle urne, per combattere per i propri diritti utilizzando l’arma della democrazia, senza fuggire, affrontando la situazione di petto, capendo che il problema di una era il problema di tante e che solo così avrebbero avuto una possibilità di cambiare la situazione. A distanza di quasi 80 anni di passi ne sono stati fatti molti, anche se le urne sono spesso sempre più vuote. Le si dà per scontate, ma Paola Cortellesi ci ricorda che non è così. Il suo non è solamente un film di denuncia sulla violenza sulle donna, è un film sulla vittoria della democrazia e senso civico. Un film che auspica una rinascita. Ed è forse per questo che ha ottenuto un successo così grande. 

Lorenzo Bianchi
Maximal Interjector
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