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Raised by Wolves: la nuova umanità di Ridley Scott, tra fantascienza e religione
In genere, quando si analizza un’opera audiovisiva (che sia film, serial o fiction) è sempre bene partire dal titolo, che nella maggior parte delle volte racchiude il senso dello show.

Scelta perfetta per questo Raised By Wolves, prodotto da Ridley Scott, che ha anche diretto i primi due episodi. Perché quel sottotitolo così evocativo, Una Nuova Umanità, è quanto mai appropriato a trasmettere il panorama emotivo ed esistenziale della serie, disponibile sull’on demand di Sky, e a mostrare quanto l’immaginario del geniale regista di Alien e Blade Runner abbia influito sul progetto.

Perché, innanzitutto, Raised By Wolves è il racconto straziato e straziante di una madre, anzi, di un’idea di maternità che nel cinema di Scott si è sempre fatta largo, declinando la fantascienza in maniera particolarmente, sentitamente, intimista.
Dalla fecondazione mostruosa di Alien, alle matrici dei cloni di Blade Runner, passando per Thelma & Louise e Prometheus, Scott ha sempre affrontato il tema della maternità cortocircuitandolo, negandolo e sostituendolo con la riproduzione meccanica, processo grazie a cui viene realizzata la rivoluzione dello sviluppo delle tecnologie di riproduzione (inseminazione artificiale, madre surrogato, controllo delle nascite..): la maternità intesa in senso lato viene quindi slegata dalla prerogativa femminile e smette di essere un inno alla vita, avvicinandosi a un atto mortale che segna il destino di un’esistenza, celebrando la morte come prima e ultima espressione di vita.

Ogni deviazione di trama, ogni rivolo del soggetto di Raised By Wolves passa, quindi, per concetti e temi etici e profondamente morali nascosti, o meglio, insinuati dentro immagini livide, patinate, lucide e apparentemente finzionali. Perché, in fondo, quella di Mother e Father è un’epopea che mescola sci-fi e fede, con i due protagonisti che, arrivati su un nuovo pianeta con degli embrioni concepiti fuori dall’utero materno, li fanno nascere, crescere e li educano per dare vita a una nuova società.

È quindi particolarmente interessante vedere come la serie prosegue la sua narrazione con un'insieme di deviazioni temporali ma tenendo sempre fisso il doppio binario tra fantascienza e religione: il rapporto tra una creatura e il suo creatore, l’instancabile tenacia femminile che si tramuta in resistenza fisica, la conquista dell’umanità attraverso la sua stessa ricerca, sono tutti temi altissimi che, con l’apporto di Guizowski (autore già del bellissimo e vischioso Prisoners di Denis Villeneuve), prendono vita anche grazie ai numerosi richiami alla mitologia classica. Da Lamia – il nome della madre sintetica che, nell’antica Grecia, era una donna bellissima, dotata del potere di togliere gli occhi dalle orbite, ridottasi a divorare i figli degli altri dopo aver perso i suoi – al culto di Mitra – dio dell’amicizia e dell’alleanza –, Raised By Wolves si interroga continuamente sul bisogno fisico che l’essere umano ha dell’immanenza religiosa come supporto esistenziale necessario. E, mentre rievoca lo scontro tra Scienza e Fede, lo trasforma in uno slittamento, in un’osmosi filosofica, confondendo lo spettatore quando mostra che i confini tra le due cose sono sfumati e labili, liquidi e fluidi come la materia di cui è composto il serial.

È per questo, e per la presenza magnetica e inquietante di Mother, che Raised By Wolves riesce a rivitalizzare il panorama della fantascienza televisiva (e anche cinematografica) in un momento di stasi: proprio come Lamia, il telefilm è complesso e sfaccettato, emozionante e spaventoso, di uno struggimento palpabile fino a diventare un disagio reale.
A dare man forte in questo senso ci pensa anche la fotografia di Darius Wolski, Ross Emery ed Erik Messerschmidt che, infarcita di campi di grano circolari, abitazioni in pietra e stanze di plastica, riecheggia il racconto biblico, anche perché le sacre scritture incidono pesantemente sul nucleo della narrazione tra la ricerca del prescelto e l’anelito della Creazione. Insomma, un vortice di rimandi, riferimenti e metafore, rafforzate da un’idea di trama solenne e altissima.
Fino alla fine che prosciuga la sua drammaturgia nei simboli e nella violenza, lasciando dietro di sé indizi e suggestioni che inevitabilmente saranno ripresi nella seconda stagione già annunciata.

GianLorenzo Franzì

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