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SanPa: la docu-serie sull’umano e violento racconto della comunità di San Patrignano

Sanpa è la prima docu-serie italiana prodotta da Netflix: è composta da 5 episodi in cui si ripercorrono le tappe della comunità di recupero per tossicodipendenti di San Patrignano, situata nel riminese e gestita dal suo padre fondatore Vincenzo Muccioli, una delle figure più interessanti e controverse della storia italiana degli anni ’80 e ’90.

La regista Cosima Spender realizza un’opera di godibile intrattenimento, per ambire al successo di pubblico senza assolutamente peccare dal punto di vista della qualità, eguagliando numerosi documentari storici e crime di tendenza.
Il documentario si avvale di interviste a ex-tossicodipendenti ospiti della comunità, giudici, giornalisti, psichiatri e figure centrali della realtà di San Patrignano, alternate a materiali d’archivio di una potenza narrativa ed emotiva davvero impressionante, frutto di un lavoro di due anni di ricerca da parte degli autori, maniacale e raffinato, in grado di restituire autenticità, rimanendo astutamente imparziale nell’esposizione dei fatti ed elevando a giudice lo spettatore, che si ritrova spaesato e sorpreso dai numerosi colpi di scena che rivelano le luci e le tenebre della comunità di San Patrignano.

"Il miracolo non è quando spunta un fiore, ma quando un fiore spunta da una pianta morta"

La perfetta ricostruzione iniziale del contesto storico nostrano, riguardante le contestazioni giovanili, gli anni di piombo e il boom dell’eroina in Italia, è utile per meglio calarsi da un macrocosmo a un microcosmo, rappresentato dalla comunità, che vuole mostrare alla società come si dovrebbe risolvere l’atroce problema della droga.
È per questo motivo che Vincenzo Muccioli fonda il suo piccolo mondo: una società parallela, un’utopia che diventa reale, in cui può diffondere la sua messianica ideologia affinché si possa ridare vita e speranza alla “feccia della società”, persone emarginate, denigrate e mal curate da una sanità che tenta di risolvere la tossicodipendenza somministrando metadone, un’altra droga che dà assuefazione.

Nascita è il titolo d’apertura del primo episodio, che non riguarda solo gli step della fondazione di San Patrignano, bensì la nascita delle problematiche che hanno afflitto la nostra società in quegli anni, ricordati come parecchio tumultuosi e carichi di tensione a causa degli scontri accesi tra idee politiche agli estremi. Fabio Mini, ex-tossicodipendente, sostiene che non sia un caso che l’eroina sia “arrivata per addormentare i sogni di ognuno” in un periodo storico ben determinato: una prima dichiarazione che insinua delle considerazioni per nulla banali su un fanatismo politico e ideologico, destinato a finire in qualche modo.

Vincenzo Muccioli comincia a ottenere consensi e fama, è ormai l’ancora di salvezza di molti genitori (anche piuttosto famosi, come Paolo Villaggio) distrutti dalle dipendenze di droga dei propri figli, e riesce, anche grazie ai finanziamenti dell’amico Gian Marco Moratti, ad ampliare gli spazi per accogliere sempre più ospiti.
Cominciano a sorgere, però, i primi dubbi sui metodi terapeutici adottati da Muccioli, considerati piuttosto estremi e controproducenti dal Tribunale di Rimini che lo condanna in primo grado (poi assolto dalla Corte d’Appello) nel famoso “processo delle catene”: l'accusa era quella di aver messo alcuni ospiti in isolamento e averli legati con delle catene per evitarne la fuga, causata dal richiamo delle droghe.

“Le catene invisibili dell’eroina sono più difficili da spezzare”

L'incredibile lavoro di Valerio Bonelli al montaggio conferisce all’opera un ulteriore salto di qualità, garantito anche da una collaborazione corale, dalla regia alla sceneggiatura, che funziona piuttosto bene. È la conferma che il documentario è un format sempre più efficace, stimolante, coinvolgente e in grado di produrre una certa risonanza mediatica, tra critiche e giudizi positivi, come sta avvenendo in questo caso.
La struttura narrativa è davvero ben congeniata, già a partire dalla suddivisone degli episodi, introdotti da un titolo informativo e al contempo fortemente evocativo ed emozionale (Nascita, Crescita, Fama, Declino e Caduta), in grado di alimentare sempre più curiosità e tensione.

La megalomania di Vincenzo Muccioli, un omone di grande statura, tanto affettuoso quanto severo, fa sì che la comunità si espanda molto rapidamente con la costruzione di strutture interne parecchio complesse, come un ospedale, una falegnameria, una macelleria e persino un maneggio ricco di cavalli di razza.
Tutto ciò lo pone al centro di un’enorme attenzione mediatica, tanto da essere invitato in moltissimi programmi tv e da attirare alcuni noti politici interessati a sostenere San Patrignano, probabilmente per ottenere nuovi consensi. 

Però, gli spiacevoli eventi legati al suicidio di due ospiti e all’omicidio di Roberto Maranzano sono la conferma del ragionevole dubbio, insinuato con il “processo delle catene” dalla Magistratura, sui metodi coercitivi di Muccioli. Sarà, quindi, il principio di un declino della credibilità del fondatore e dell’efficacia della comunità stessa, tanto nell’opinione pubblica, quanto agli occhi di alcuni ex-tossicodipendenti che rivelano, nelle interviste, quanto i lati oscuri cominciassero a farli dubitare.

Affascinante il contributo di Fabio Cantelli, ex-tossicodipendente laureatosi in Filosofia e successivamente assunto come responsabile della comunicazione di San Patrignano, che ha ribadito: “SanPa ha pensato che la sua immagine pubblica fosse più importante della sua verità interiore. L’immagine pubblica faceva più colpo, faceva più impressione, creava più consensi. Ma quella è una strada di perdizione. Perdi la tua anima, la tua verità, che è sì una verità sfuggente, molteplice, contradditoria, però è la vita che è così. Se tu chiudi la porta a quella verità chiudi la porta alla vita, smetti di evolverti”.
Affiora, attraverso le sue lucide dichiarazioni, un rapporto di amore e odio nei confronti del suo padre “salvatore” e si manifesta la sua inquietudine, legata alla percezione di essere diventato il “manichino” perfetto: dall’aspetto impeccabile e dal discreto background culturale, era una figura da esporre nella vetrina delle tv per mostrare i miracoli di Vincenzo Muccioli.
La conferma dell’autenticità del documentario deriva proprio dalla condivisione di un punto di vista intimo di coloro che hanno vissuto in prima persona la nascita, la crescita, la fama, il declino e la caduta di San Patrignano e di Vincenzo Muccioli.

Lo spettatore si trova di fronte a un documentario che innalza, puntata dopo puntata, il grado di difficoltà per quanto riguarda le riflessioni etiche sulla figura di Muccioli e sui fatti ambigui e sconvolgenti avvenuti all’interno della comunità. Un documentario che diventa una visione fortemente attiva e partecipativa, in quanto il pubblico cerca di sforzarsi per emettere un proprio giudizio e riflettere sulle questioni morali che producono una serie di domande ridondanti e confusionarie: "Il fine giustifica i mezzi?", "È giusto punirne uno per educarne cento?".

Domande non casuali, figlie di un palpabile sospetto che qualcosa stia sfuggendo di mano a Vincenzo Muccioli: un pendolo che oscilla continuamente, passando da una figura messianica, altruista, salvifica e benevola (molto evidente soprattutto nell’emozionante scena in cui convince una ragazza tossicodipendente, fuggita, a ritornare in comunità), all’opposta visione autarchica e totalitaria di questo “padre”, come gli piace spesso definirsi.


La figura di Muccioli è stata letta in modi anche diametralmente opposti durante gli anni: questo documentario cerca di porsi e di raccontare la storia di San Patrignano senza giudizi né pregiudizi ma l'intento non è stato apprezzato da tutti. La comunità di San Patrignano, infatti, ha pubblicato sul suo sito un post in cui dichiara il totale dissenso nei confronti della serie, ritenuta troppo diffamatoria e non rispettosa dell’oggettività dei fatti avvenuti.

Matteo Malaisi

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