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"Se mi guardi così, se mi sfiori così...": la recensione del (deludente) ritorno di "Baby"

Che Baby, la serie Netflix ispirata al noto caso mediatico delle giovanissime prostitute dei Parioli, non fosse esattamente la nostra Euphoria ce n’eravamo accorti dalla prima stagione e la seconda, approdata sul colosso di streaming on demand lo scorso 18 ottobre, ribadisce questa consapevolezza con fermezza, se possibile, ancora maggiore.


Le vicende di Chiara (Benedetta Porcaroli) e Ludovica (Alice Pagani) e degli adolescenti che gravitano loro intorno lasciano, infatti, solo il sapore dell’occasione persa, annacquando ancor di più il taglio da presunto teen drama scabroso rispetto al primo segmento della narrazione.


La morte del Saverio di Paolo Calabresi, reclutatore di ragazze pronto a discettare della genesi del Moscow Mule associandola al valore delle scelte sbagliate, aveva lasciato un vuoto da colmare che in Baby 2 viene riempito in maniera affastellata e caotica, attraverso traiettorie leggermente più intrecciate ma, in definitiva, sterili. Al loro interno non c’è spazio per l’evoluzione dei personaggi e l’esposizione dell’amore e del sesso, non di rado pacchiana e aliena da una dose sufficiente di credibilità, poggia su una vena che vorrebbe essere fatata e risparmiare la mano pesante, ma che, così facendo, finisce col suonare ipocrita, anestetizzata ed eccessivamente smaliziata.


In Baby 2 a risaltare – si fa per dire – è soltanto la superficie pruriginosa dello scandalo, accarezzata in modo mellifluo da un arco narrativo che non ha il coraggio necessario per scrutare più in profondità e in modalità meno moralistica le sorti dei suoi caratteri. Il legame tra Fabio e Brando assume nuove coloriture, e si complica (a vanvera) anche il percorso di Damiano, ma il loro ondeggiare come pesci in un acquario congela tanto l’empatia quanto l’interesse, senza che la regia di Andrea De Sica e Letizia Lamartire abbia delle vere chance per riscattare la qualità media non certo eccelsa di un copione che naviga a vista tra passaggi conservativi, sempre privi dell’affondo decisivo, e rozzi aforismi a effetto (“L’unica differenza tra il flirt e l’amore eterno è che il flirt dura più a lungo”).


La confezione non fa certo meglio, tra sorrentinismi di riporto (la presenza congiunta di Isabella Ferrari e Galatea Ranzi nei panni delle madri di Ludo e Chiara rimandava già a La grande bellezza e a questo giro si aggiunge anche l’utilizzo in colonna sonora dei Notwist, come ne L’amico di famiglia) e una valanga di strizzate d’occhio letterali, che sfruttano il traino di Joker nell’episodio - il terzo - del ballo scolastico di Halloween, nel quale Ludo trucca Fabio come il cattivo di Gotham City. Per tacere della sequenza scult dell’estintore sulle prostitute nel primo episodio sulle note di Splash della Dark Polo Gang, che ritorna nella soundtrack anche con il brano Taki Taki e nel finale di stagione addirittura attraverso una battuta di Ludovica, “Quanto c***o sono british” (senza dimenticare che Alice Pagani, nella vita reale, è fidanzata con un membro del gruppo, Pyrex).


Riferimenti smaccati e mai autentici che odorano di mera tappezzeria istant, un po’ come i pretestuosi giochi di luci e ombre in automobile che a un certo punto fanno capolino. Per non parlare, poi, dell’epilogo che, anziché provare a indagare più a fondo e in extremis il retroterra psicologico delle azioni in campo e le loro potenziali conseguenze, lascia abbozzati tutto e tutti (compresa la new entry Max Tortora, malamente buttato via) e preferisce vivacchiare a ridosso della trovata di un video hot che mostra Ludovica impegnata in atti intimi. L’ennesimo specchietto per le allodole, a riprova dell’incapacità endemica del nostro panorama audiovisivo di raccontare i ragazzi di oggi (puntualmente messi fuori campo, va da sé, dal cinema ufficiale), prima del congedo sulle note della canzone di lancio della seconda stagione, Non avere paura di Tommaso Paradiso.


Davide Stanzione

Maximal Interjector
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