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Stephen King: i 5 migliori adattamenti dalle sue opere

Senza ombra di dubbio Stephen King è uno degli autori dei quali sono sati realizzati il maggior numero di adattamenti, che sia per il grande o per il piccolo schermo. Sono poche le opere del "Re" non trasposte al cinema o in televisione, ultima delle quali Doctor Sleep, sequel di Shining. Ecco la classifica dei 5 migliori film che hanno dato vita alle pagine dei suoi romanzi!

5) Misery non deve morire (Rob Reiner, 1990)


Dopo Stand by me – Ricordo di un'estate (1986), Rob Reiner torna ad attingere dalla bibliografia di Stephen King. Rispetto al precedente, questa volta il tono generale della pellicola è molto più inquietante e il risultato è un thriller psicotico che Reiner riesce a rendere in maniera apprezzabile, aiutato anche dalla notevole fotografia di Barry Sonnenfeld. Il film, sin dalle prime sequenze, è un tripudio di dettagli, oggetti e inquadrature, valore aggiunto di una narrazione che procede a buon ritmo. La tensione, con il passare dei minuti, cresce e colpisce lo spettatore: l'atmosfera claustrofobica tocca l'apice poco dopo la metà dell'intreccio, smorzandosi prima del tanto atteso finale. Misery non deve morire, nonostante le inevitabili (e doverose) differenze con il romanzo, resta fedele allo spirito del testo di partenza, riuscendo a non sminuirne il grande spessore psicologico.

4)The Mist (Frank Darabont, 2007)


Teso, inquietante, apocalittico: con The Mist Frank Darabont firma un suggestivo horror contemporaneo che contiene riflessioni sulle ansie e le preoccupazioni che imperversano nella società americana post-11 settembre. Grazie a una sceneggiatura sapientemente calibrata nei minimi dettagli, la tensione rimane sempre costante, e, più di una volta, si riesce a entrare nei panni dei personaggi al punto da soffrire insieme a loro. The Mist riesce a incutere timore sia nella prima parte, dove l'attesa di un destino terribile e inspiegabile affligge il gruppo di persone all'interno del supermarket, sia quando la paura prende forma fisica in creature malefiche, realizzate superbamente in tutta la loro aberrante violenza.

3) Stand By Me - Ricordo di un'estate (Rob Reiner, 1986)


Tratto dal racconto The Body di Stephen King, Stand by me è il film che ha lanciato Rob Reiner ed è senza ombra di dubbio uno dei suoi lavori migliori. Toccante bildungsrorman in salsa on the road, riesce benissimo a rispettare la particolare sensibilità dello scrittore americano nel raccontare la critica età di transizione che è l'adolescenza, con i protagonisti in bilico (come nella celebre scena sui binari del treno) tra la voglia di continuare a giocare e l'urgenza di crescere. Il disvelamento della morte, simboleggiata dal cadavere putrefatto del ragazzino, che diventa osceno e inevitabile complemento della vita e non più quell'infantile mistero di spettale fascino, rappresenta il brutale rituale di passaggio che apre la strada a un'età adulta fatta di frustrazione e sofferenza.

2) Le ali della libertà (Frank Darabont, 1994)


Frank Darabont, al suo esordio dietro la macchina da presa, realizza un avvincente dramma carcerario, retto da una forte tensione narrativa e da interpreti eccellenti, tra i quali spicca il protagonista interpretato da un ottimo Tim Robbins. Quello che sorprende, in Le ali della libertà, non è soltanto il tema centrale dell'innocente condannato al carcere, ma la varietà di possibilità che possono portare l'uomo, distrutto dalle avversità, a risollevare la propria vita. Efficace dal punto di vista drammaturgico, il film coinvolge al punto giusto, fa riflettere e riesce a evitare le tante trappole retoriche che imbocca sul suo cammino. La durata è lunga, ma il ritmo regge fino in fondo grazie anche alla cura stilistica di un regista che, pur essendo alla sua opera prima, dimostra già un'invidiabile maturità.

1) Shining (Stanley Kubrick, 1980) 


Tratto da uno dei primi romanzi di Stephen King, riplasmato mirabilmente da Stanley Kubrick, Shining è un angosciante e sublime viaggio negli abissi della mente umana. Dopo aver lavorato con il cinema di guerra (Orizzonti di gloria, del 1957), con la fantascienza (2001: Odissea nello spazio, del 1968) e con il film storico (Barry Lyndon, del 1975), Kubrick affonda la sua cinepresa nel genere horror, rinnovandolo e portandolo a una vetta di spessore drammaturgico e narrativo mai raggiunta in precedenza. I claustrofobici corridoi dell'Overlook Hotel riflettono la struttura del cervello umano, la graduale discesa nella follia del protagonista, che si trova sperduto in un labirinto di orrori, loop temporali e paranoie da cui non potrà più uscire. Non si tratta però di una “semplice” storia horror, ma di una lucida e inquietante rappresentazione della crisi della famiglia contemporanea, accompagnata da una rigorosa cura formale e da espressivi virtuosismi tecnici: in primis, la steadicam, perfezionata qualche anno prima e in grado di compiere fluide riprese ad altezza d'uomo (o, in questo caso, anche di triciclo).

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