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Non solo Miyazaki e Takahata: le opere degli altri registi dello Studio Ghibli
Quando si parla di Studio Ghibli i nomi che si presentano sono inevitabilmente quelli di Hayao Miyazaki e di Isao Takahata per la regia, oltre all'indispensabile Joe Hisaishi per quel che riguarda le inconfondibili colonne sonore. Spesso, purtroppo, ci si dimentica degli altri registi che lavorano o hanno lavorato allo Studio, dando vita a opere che nella maggior parte dei casi sicuramente non raggiungono il livello qualitativo dei due grandi maestri e fondatori e che quindi vengono erroneamente relegate alla loro ombra: si pensi, per esempio, a lungometraggi poetici e incantevoli come Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento e soprattutto Quando c'era Marnie, entrambi di Hiromasa Yonebayashi, un regista che ora ha lasciato lo Studio per produrre un altro film indipendente, Mary e il fiore della Strega. Naturalmente, il caso più celebre resta Gorō Miyazaki, figlio d'arte che, tuttavia, non è mai riuscito a raggiungere le vette toccate da suo padre e che ora si sta dedicando ad un adattamento televisivo di Earwig e la Strega, che sarà la prima opera dello Studio interamente realizzata in CGI.
Ecco, in ordine cronologico, i film dello Studio Ghibli che non portano la firma di Hayao Miyazaki o Isao Takahata:

Si sente il mare (Tomomi Mochizuki, 1993)



Il film di Tomomi Mochizuki, già direttore della celeberrima serie anime Ranma 1/2, tocca infatti diverse tematiche importanti (adolescenza, amore, amicizia, figli con genitori separati e conseguenti rapporti complessi) senza però approfondirle a dovere, lasciando il tutto nell’incompiuta leggerezza generale che, se da un lato permette di godersi un prodotto a tutti gli effetti gradevole, dall’altro lascia una sensazione di rammarico per un’opera che avrebbe potuto arrivare a livelli assai più convincenti.

I sospiri del mio cuore (Yoshifumi Kondou, 1995)



Pellicola adatta anche ai piccolissimi o a tranquille visioni in famiglia, è senza dubbio un'opera semplice e immediata, priva di grandi pretese ma capace di fare comunque più che bene il suo dovere. Lo sguardo del regista può apparire ingenuo, ma è più che altro uno sguardo delicato e sensibile. Tra gli estimatori del cinema d'animazione nipponico, è una piccola opera di culto.

La ricompensa del gatto (Hiroyuki Morita, 2002)



Il lungometraggio d'esordio di Hiroyuki Morita riprende il celebre personaggio del barone felino di I sospiri del mio cuore (1995) di Yoshifumi Kondou, costruendo attorno a esso una nuova storia che affronta esplicitamente il fantasy, a differenza del film precedente. Infantile e dallo stile poco armonico, il quale si distacca da quello topico dei film dello Studio Ghibli, si rivela comunque funzionale a una storia leggera e divertente, anche grazie al (seppur didascalico) iter di maturazione che coinvolge la piccola protagonista.

I racconti di Terramare (Goro Miyazaki, 2006)



Non privo di risvolti oscuri (una riflessione sullo schiavismo, il tema dell'ineluttabilità della morte), il punto più interessante della pellicola si concentra nell'ambigua figura di Aracne, mago dalle caratteristiche femminili terrorizzato all'idea di invecchiare e morire. Azione, sentimenti e incantesimi, nella migliore tradizione dello Studio Ghibli, ma con qualche lungaggine di troppo. Il paragone con i lavori del padre non sussiste, in questo senso però è almeno da apprezzare la volontà di differenziarsi dal tratto che ha reso famosi i grandi film di Hayao Miyazaki.

Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento (Hiromasa Yonebayashi, 2010)



Arrietty e Shō, destinati a essere divisi dall'appartenenza a mondi diversi, in seguito al loro incontro arrivano a riscrivere il loro percorso personale: mentre Arrietty restituirà alla sua comunità la voglia di abitare nei boschi, lontano dalla comodità degli umani, a Shō tornerà la voglia di vivere e lottare. Una favola per pre-adolescenti, alle prese con il loro desiderio di indipendenza e con i loro primi batticuore, ma anche un sincero apologo della bellezza dello scambio fra diversità.

La collina dei papaveri (Goro Miyazaki, 2011)



La collina dei papaveri vorrebbe essere un delicato melodramma che racconta, attraverso le vicende di due ragazzi, un momento di rinascita per un Giappone uscito malconcio dai fatti tremendi della Seconda guerra mondiale. Ma, nonostante un tentativo di ricalcarne il caratteristico tratto, è evidente che a Goro manchi per il momento il talento del padre e la narrazione ne risente: visivamente piatto, senza i caratteristici guizzi magici cui lo Studio Ghibli ci ha abituati, il film perde di interesse con il passare dei minuti. 

Quando c'era Marnie (Hiromasa Yonebayashi, 2014)



Hiromasa Yonebayashi dimostra un talento invidiabile, evidente nel notevole ritmo dato alla narrazione (in crescita col passare dei minuti) e nel tratteggio visivo dei fondali. I dolci e crepuscolari paesaggi dell'Hokkaido accompagnano l'incontro tra le due ragazzine – femminile e aggraziata l'una, maschiaccio insicuro l'altra – fino a incorniciare la perfetta conclusione di un'amicizia impossibile eppure profondissima. Lo studio fondato da Miyazaki e Takahata sa come toccare le corde dell'inconscio e commuovere senza mai scadere nella retorica, cesellando piccoli gioielli capaci di lasciare a bocca aperta sia i più ingenui giovani che i più cinici adulti: non fa eccezione la (splendida) storia di Anna e Marnie
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