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"Hunters": quando Jordan Peele incontra Quentin Tarantino

Il sangue lascia sempre una macchia, amico mio. Che tu riesca a vederla, o no.



E di sangue se ne sparge tanto in Hunters, serie prodotta da Amazon Prime Video con Al Pacino tra i protagonisti.


La trama: New York, 1977. Il giovane Jonah (Logan Lerman) viene arruolato da Meyer Offerman (Al Pacino) per entrare a far parte del gruppo dei Cacciatori, che si occupano di scovare e uccidere tutti i nazisti sopravvissuti alla Seconda guerra mondiale e scappati in America dove vivono con una nuova identità, nascondendo il loro passato.


Una serie che spinge sull’acceleratore sin dalle prime sequenze, in cui sono evidenti le influenze di Jordan Peele (qui in veste di produttore esecutivo) e di Quentin Tarantino, che viene richiamato alla memoria per il suo Bastardi senza gloria, ma non solo.

Diverse sono le sequenze grottesche o fumettistiche (su tutte, il gioco a quiz extradiegetico in cui si spiegano i motivi per cui i nazisti odiavano gli ebrei) e i tantissimi riferimenti alle graphic novel e al mondo del cinema sono un ulteriore richiamo tarantiniano: basti pensare a come la favola di Hansel e Gretel venga raccontata come metafora della gioventù nazista che brucia la vecchia signora ebrea o come Darth Vader simboleggi le persone di colore viste come i cattivi sul grande schermo.


Anche i dialoghi taglienti e ad effetto, in perfetto stile tarantiniano, non mancano: «Quando non separi i bianchi dai neri, i colorati macchiano sempre». Calato nella contemporaneità, la mano del regista di Noi e Scappa – Get out si vede proprio in queste tematiche, oltre che nel clima di tensione e inquietudine (latente o esplicito, anche grazie alla colonna sonora) che si respira in diversi momenti.


Non viene risparmiato nessuno, nemmeno Walt Disney, e non mancano riflessioni che non possono che richiamare l’America di oggi, quella in cui vive Peele e che racconta nei suoi film: «Sono una donna nera in America, piccola. I supereroi non sono niente in confronto a me».


Inoltre, sono diverse le sequenze di flashback che riportano il racconto nei campi di concentramento, un elemento caro all’ideatore della serie, David Weil, che ha esperienza diretta con l’argomento, in quanto sua nonna è una delle sopravvissute all’Olocausto. Interessante l’omaggio a Simon Wiesenthal, il Cacciatore di Nazisti che ha realmente cercato i superstiti delle SS per sottoporli a processo.


Eppure rimane la sensazione di un’occasione sprecata, di un prodotto eccessivamente altalenante che a momenti alti e memorabili (alcune sequenze simboliche sono molto forti e incisive) alterna scelte estetiche e di sceneggiatura discutibili, a volte scadendo nel cattivo gusto gratuito. A tratti eccessivamente verboso e non sempre efficace nel ritmo, la serie resta quindi un prodotto godibile, anche se non certo memorabile, che lascia aperte le porte per una seconda stagione.

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