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The Underground Railroad: il fascino dell'ucronìa di Barry Jenkins

“Sostituzione di avvenimenti immaginari a quelli reali di un determinato periodo o fatto storico”: la Treccani definisce così il termine “ucronìa”, concetto a cui (cinematograficamente parlando) potremmo facilmente collegare i film più disparati, da Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino a Fascisti su Marte di Corrado Guzzanti, fino ai bellissimi titoli di testa di Watchmen di Zack Snyder.

L’immaginario audiovisivo contemporaneo si sta nutrendo di questa “categoria”, senza dubbio ancora ricca di spazi per sviluppare potenzialità inesplorate.

Anche (e forse soprattutto?) per questo motivo potrebbe diventare uno dei titoli che riecheggeranno tra le classifiche di fine anno The Underground Railroad (La ferrovia sotterranea, nella versione italiana), serie creata e diretta da Barry Jenkins (anche produttore con Brad Pitt e la sua Plan B Entertainment) per Amazon Prime Video.

10 episodi per adattare il romanzo di Colson Whitehead, praticamente tutti incentrati su Cora, schiava in una piantagione della Georgia che viene a sapere della Ferrovia Sotterranea (rete di strade sotterranee e rifugi per proteggere chi fugge dalla schiavitù) da Caesar, uno schiavo appena arrivato da un altro stato. Insieme decidono di tentare la fuga.

Sarà forse la predisposizione verso l’idea di una “sostituzione di avvenimenti immaginari a quelli reali” con cui si affronta questo prodotto, ma è proprio nei momenti in cui emerge maggiormente la fantasia da fiaba gotica, di cui questa serie è intrisa, che Barry Jenkins raggiunge risultati notevolissimi, superiori a quelli ottenuti con i suoi, spesso premiati, lungometraggi precedenti.

Quando ci immergiamo nel fascino della magia di questa ferrovia (di cui, storicamente, manca reale documentazione), il regista sfoga la sua creatività e anche noi, insieme a Cora, speriamo che la stazione successiva possa essere quella giusta, in un vero e proprio viaggio fisico attraverso gli Stati Uniti, che si trasforma presto in un viaggio mentale dove ogni reale prospettiva di fuga risulta impossibile.

All’interno del mondo creato da Whitehead e Jenkins c’è spazio per luoghi utopici, come la comunità dell’Indiana in cui finirà la protagonista verso le ultime puntate, o anche per le riflessioni di Foucault sulle eterotopie, come spazi connessi a tutti gli altri.

The Underground Railroad è un macromondo di spazi diversi, dove la matrice politica più è legata all’apparato fiabesco e più risulta incisiva e potente. Quando Jenkins toglie simbologia, per andare in maniera diretta ed esplicita sulle sue riflessioni, perde parecchio mordente e il suo prodotto risulta spesso col fiato corto.

Certo, non manca mai un reale interesse per le vicende perché il soggetto di partenza è fortissimo, ma rimane la sensazione che si potesse realizzare un prodotto di altro tipo (perché no?), adatto anche a una visione e a una durata da grande schermo.

Tra sguardi in macchina, giochi di luce con gli obiettivi fotografici e ottimo gusto architettonico dell’immagine, Jenkins conferma il suo talento visivo, pur dando sempre la sensazione di una messinscena che unisce un eccessivo studio a tavolino a un’estetica Instagram che alla lunga stanca.

La serie, comunque, è da promuovere, anche grazie alla prova di un cast stratosferico e a personaggi scritti con cura. Tra quelli che rimarranno impressi, non possono mancare il personaggio di Joel Edgerton insieme al suo piccolo aiutante, a lui fedele fino all’ultimo: un "cacciatore di schiavi" insieme a un bambino di colore.

Ucronìa, dicevamo...

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