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Thelma & Louise: 30 anni di fuga da una società retrograda che ancora non siamo riusciti a seminare

- Senti, Louise, non torniamo indietro.
- Che vuoi dire, Thelma?
- Non fermiamoci.
- Non capisco!
- Coraggio.
- Sei sicura?
- Sì!

Un bacio, un sorriso e un’ultima disperata fuga, tenendosi per mano. Un salto a tutta velocità verso il vuoto, o verso l’aldilà, ma sicuramente non in direzione della vita di prima, afflitta dalle aspettative e dalle costrizioni di una società che, allora come oggi, limita costantemente la libertà e i desideri delle donne. Poche immagini sono scolpite indelebilmente nell’immaginario collettivo come quelle dello struggente finale di Thelma & Louise, che a 30 anni esatti dalla sua presentazione a Cannes possiede ancora la stessa carica corrosiva, sprigiona tuttora il medesimo inno alla libertà e all’emancipazione e continua a ispirare svariati tentativi di imitazione, sempre lontani dalla portata dell’originale.

Guardare Thelma & Louise oggi è un’esperienza appagante e allo stesso tempo avvilente. Infatti, se da una parte riempie il cuore vedere un film hollywoodiano così coraggioso e incisivo, non si può fare a meno di notare come i problemi messi in luce da quest’opera di Ridley Scott siano quelli contro cui combattiamo ancora adesso, sostanzialmente inalterati dal 1991.
«Ricordati una cosa, quando una donna piange così, non si sta divertendo affatto!» e «Come ti sentiresti se qualcuno lo facesse a tua madre, o a tua sorella o a tua moglie?» sono parole che fanno male, non soltanto perché sintomatiche della frustrazione delle protagoniste, ma anche e soprattutto perché potrebbero tranquillamente essere pronunciate in un film odierno, dal momento che al centro del dibattito sociale e culturale ci sono purtroppo ancora violenze, soprusi e discriminazioni ai danni delle donne. A testimoniare la sconfortante freschezza di Thelma & Louise è inoltre la stessa industria cinematografica, che nel 2021 ha premiato con i propri maggiori riconoscimenti Nomadland, storia di una donna che ritrova se stessa sfidando le convenzioni sociali nell’America più incontaminata, e Una donna promettente, opera di Emerald Fennell che parte da uno stupro per raccontare un realistico spaccato della condizione femminile e che condivide con Thelma & Louise la matrice femminile (la sceneggiatura di Thelma & Louise è di Callie Khouri, premiata con l’Oscar).

A dirigere questo spaccato della società statunitense è Ridley Scott, un britannico che ha saputo evidenziare come pochi le storture americane. L'autore, che con I duellanti ha saputo raccontare l’ossessione ai tempi di Napoleone, che con Alien e Sigourney Weaver ci ha consegnato una delle più grandi eroine di sempre, parlando di isolamento e sessualità nello spazio profondo, e che con Blade Runner ha utilizzato una distopia cyberpunk per riflettere sul senso e sui confini dell’esistenza, mette brillantemente in scena patriarcato, femminismo e ribellione con a disposizione una vecchia macchina, le strepitose Geena Davis e Susan Sarandon e le infinite highway americane.

Scott si inserisce nel solco tracciato nel 1969 da Easy Rider (e prima ancora dalla sua fonte di ispirazione Il sorpasso) e, con la sua innata abilità di spaziare fra generi e atmosfere, mette in scena un road movie, con venature da buddy film, che rispolvera il mito della frontiera cardine del cinema western (l’unica speranza per Thelma e Louise è raggiungere l’agognato Messico) e che estende le dinamiche del rape and revenge.
A differenza di capostipiti del filone come L'ultima casa a sinistra e Non violentate Jennifer, o il più recente Revenge, la vendetta per il tentativo di stupro si consuma infatti immediatamente, dando vita alla lunga serie di guai con la legge per la coppia di protagoniste. Ciò che ne segue non è la vendetta contro un uomo, ma contro l’Uomo, i cui principali difetti incrociano continuamente la strada delle protagoniste.

Il ritratto del genere maschile che ci viene restituito è impietoso. I due compagni delle antieroine sono palesemente inadeguati, per ragioni diverse: sessista, anaffettivo e possessivo il marito di Thelma, inaffidabile ed eccessivamente protettivo il compagno di Louise (un ottimo Michael Madsen), che decide di portare personalmente i soldi da lei richiesti per la fuga. Abbiamo poi il sex symbol truffatore interpretato da Brad Pitt (nel ruolo che lanciò definitivamente la sua carriera), il becero camionista che urla frasi irripetibili e compie gesti osceni ogni volta che si imbatte in Thelma e Louise e, infine, il poliziotto autoritario e zelante, che non esita a sfruttare il suo potere per mettere in difficoltà due donne, per poi finire chiuso nel bagagliaio della sua stessa volante. Ma è proprio un uomo della legge l’unica persona che dimostra un briciolo di empatia per Thelma e Louise, cioè l’ispettore Hal Slocumb, portato in vita da un sontuoso Harvey Keitel. Mentre tutti intorno a lui si preoccupano di come fermare e punire le fuggiasche, Hal è la sola figura che dimostra comprensione, cercando di trattare con le due. L’ispettore ascolta la versione di Thelma e Louise e prova a capire il loro passato, in particolare la violenza subita dal personaggio di Susan Sarandon, ragione per cui la donna non vuole più mettere piede in Texas e tra le principali cause del tragico epilogo. Thelma & Louise ci ricorda così che una donna non smette mai di fuggire dai soprusi subiti.

Scott avvolge le sue protagoniste nella luce naturale e in colori sgargianti, che si oppongono all’oscurità nella quale si trovano quasi sempre le figure maschili. Nel loro tortuoso viaggio dall’Arkansas al Grand Canyon, Thelma e Louise abbattono muri, superano confini e scoprono lati di loro stesse che non conoscevano, con il sorriso di chi sa di non aver più nulla da perdere. Nel giro di 130 minuti, due insoddisfatte donne della provincia americana si trasformano così in due Ellen Ripley del deserto, pronte a tutto pur di continuare a inseguire uno spiraglio di luce sempre più sottile. La tragicità che si accompagna spesso ai road movie, come nei casi dei già citati Il sorpasso e Easy Rider, trova in Thelma & Louise una declinazione ancora più amara. A porre fine al cammino delle protagoniste sono un elicottero che sbuca rapace dal basso, proprio come uno xenomorfo, un plotone di mezzi di polizia che le insegue, con lo stesso smisurato dispiego di mezzi presente in The Blues Brothers in chiave comica, e un oceanico burrone, che diventa per le due l’unica alternativa al ritorno nella gabbia invisibile da cui sono fuggite.

Quasi a giocare con il finale originale di Blade Runner e con quel posticcio lieto fine imposto dalla produzione, sulle suggestive note di Thunderbird di Hans Zimmer, Scott ci regala nuovamente un epilogo con una fuga in macchina, che in questo caso diventa simbolo di dignità, ma purtroppo anche di disillusione. Uno svolazzante autoscatto, antesignano degli odierni selfie, è l’emblema dei tanti sorrisi recisi da una società retrograda e maschilista, che ancora oggi non siamo riusciti a seminare.

Marco Paiano

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