News
Tilda Swinton a Venezia 77, tra Derek Jarman e Pedro Almodóvar

Ieri Cate Blanchett le ha consegnato il Leone d'Oro alla carriera (ma meglio chiamarlo Lifetime achivement visto che la stessa attrice dice di non riconoscere la parola "carriera"); oggi, invece, Tilda Swinton si è concessa per un'ampia chiacchierata sulle sue esperienze nel mondo del cinema, dagli esordi con Derek Jarman fino all'ultima collaborazione con Pedro Almodóvar, un corto lungo mezz'ora presentato oggi al Lido.

La Swinton ha cominciato rispondendo a una domanda sull'importanza dei Festival cinematografici, lodandoli e sottolineando il loro ruolo fondamentale nel mantenere vivo il rapporto con il grande schermo. Attraverso le manifestazioni di cinema, la stessa attrice ha scoperto film e autori di cui non era a conoscenza, ha sentito per la prima volta recitare in lingue sconosciute e ha ampliato il proprio bagaglio cinematografico.

La prima esperienza a un festival risale alla Berlinale del 1986 quando fu invitata per presentare il Caravaggio di Derek Jarman, suo grande amico e collaboratore. La loro relazione, a quanto dice l'attrice, è ciò che l'ha formata dal punto di vista lavorativo: le ha fatto capire che il cinema è un'arte collettiva, che non può essere fatto da soli e questo è un insegnamento che ha tenuto valido in ogni suo lavoro.
Questo modo di concepire il cinema l'ha portata a non definirsi mai soltanto un'attrice, perché ha sempre sentito di avere una responsabilità nei confronti di tutto il progetto, come se ne condividesse la paternità.

L'importante per lei è lavorare con amici, con persone che l'affascinano abbastanza da attirarla, a furia di chiacchiere, fuori dal suo giardino. Una volta mancato Jarman non pensava di ritrovare così in fretta una persona simile, ma, poco dopo, ha incontrato Luca Guadagnino con cui condivide un rapporto fraterno. Così è anche per altri registi con cui ha collaborato a più riprese: Bong Joon-ho, Joanna Hogg, Wes Anderson, Jim Jarmusch. Li definisce suoi amici e afferma che crescono insieme con ogni film.

La chiacchierata si è poi concentrata sul rapporto fra cinema "mainstream" e cinema più d'autore, su quanto anche i progetti degli studios a cui l'attrice ha partecipato siano, in fondo, dei grandi esperimenti e su come l'unico discrimine nelle sue scelte sia la voglia o meno di conversare con i registi e i collaboratori.

Donna da sempre poco interessata a etichette, distinzioni o definizioni, Tilda Swinton ha parlato liberamente di quanto l'età per lei non sia stata un limite, di come dovremmo smettere di voler incasellare tutto e imparare a essere flessibili (termine che ha usato soprattutto in riferimento alle nuove generazioni).

Tra una chiacchiera e l'altra, l'attrice ha anche espresso la propria gioia e il proprio orgoglio per aver lavorato con Pedro Almodóvar a The Human Voice, cortometraggio di 30 minuti liberamente ispirato all'omonimo dramma di Jean Cocteau: in scena c'è (quasi) soltanto lei, accompagnata da un cane e da un paio di air pods, mentre dà l'addio al suo amante via telefono.
Almodóvar dirige la Swinton con la consueta maestria, facendola muovere all'interno di un appartamento/set cinematografico riempito di colori e oggetti che sottolineano l'amore del regista per il cinema e per l'arte (i rifermenti vanno da Artemisia Gentileschi a Paul Thomas Anderson).

Girato interamente nel luglio del 2020, The Human Voice è un prodotto pieno di suggestioni, capace di farci ragionare sul peso delle relazioni in tempi in cui esse si svolgono, per la maggior parte, a distanza, connessi soltanto dal una linea telefonica, a volte anche difettosa.

Maximal Interjector
Browser non supportato.