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Twin Peaks, 30 anni fa il primo episodio: ecco perché la tv non è più stata la stessa 

La sera dell’8 aprile 1990 irrompeva sul piccolo schermo delle tv americane (in Italia sarebbe arrivata il 9 gennaio 1991), sull’emittente ABC, la prima, storica puntata di Twin Peaks: la serie di David Lynch e Mark Frost destinata a diventare uno spartiacque storico nell’ecosistema delle serie tv, riscrivendone la grammatica e traghettandole verso una nuova fase che in tempi più successivi avrebbe conosciuto una completa e prolifica maturità.

Lynch fu in grado, in tempi non sospetti, di intuire quanto il piccolo schermo potesse diventare un serbatoio inesauribile di storie intricate e dal potenziale sterminato, con le quali spingersi alle soglie dello sperimentalismo a partire da fondali immutabili e sempre uguali, ai quali applicare il continuo, sinuoso slittamento di uno sguardo feticistico: il suo, e quello dei suoi personaggi.

Adattò questo formato al corpus delle propria poetica e lo fece plasmando il mystery e la detection story non solo intorno allo storico interrogativo “Chi ha ucciso Laura Palmer”, il primo tormentone seriale a tutti gli effetti, ma anche alla propria idea di spazio, cinema e mondo e ai suoi rispettivi orizzonti creativi. Il tutto a partire da qualcosa di estremamente rassicurante e da scenari tipicamente americani (la topografia immaginaria colloca Twin Peaks nello stato di Washington, a cinque miglia dal confine canadese), che si prestavano dunque a essere intorbiditi in un incrocio tutto nuovo tra soap opera, fantastico, poliziesco e horror. Un meticciato doppiamente affascinante proprio perché destabilizzante, in grado di spalancare l’ignoto a partire dal già noto. Procedimento caro a qualsiasi surrealista che si rispetti, e dunque anche a David Lynch.

Quella scocca tellurica assestata al piccolo schermo, per mano di uno dei più grandi visionari della storia del cinema, si propose immediatamente attraverso le indimenticabili note del tema musicale di Angelo Badalamenti, al servizio di titoli di testa mai così torbidi e ammalianti nella loro delicatezza al contempo misteriosa e soffusa, indicibile e stranamente carezzevole, che portava la provincia meccanica a ergersi a spazio fluido all’insegna della schizofrenia più placida e ipnotica: una sorta di nuovo luogo franco della psiche collettiva, nella quale il proseguo della serie sarebbe andata a incidere generando adesioni fideistiche di massa e un’idea di culto via cavo pressoché inedita.

Al loro interno si scorgevano fin da subito i macchinari delle fabbriche della cittadina americana con i vapori delle segherie di legno, le cascate a perdita d’occhio, l’uccello appollaiato sul ramo (un pettirosso), i nomi degli attori e del cast incorniciati dall’immancabile grafica verde a scorrere su scenari anonimi ma che di lì a poco avremmo imparato a chiamare per nome in virtù dei loro tormentati abitanti, perdendoci nel fiume carsico di suggestioni, ipnosi, speculazioni, tentativi di decrittare significati e significanti tanto criptici quanto inesauribili nel senso comune e nel dibattito pubblico. "Welcome to Twin Peaks", insomma, come recitava l’insegna che turbò l’immaginazione di tanti. Perché, a conti fatti, quella di Lynch e Frost fu la prima serie virale ben prima della viralità propriamente detta del dibattito sulle serie televisive, cui oggi siamo largamente abituati, e non stupisce più di tanto che Gorbaciov arrivò addirittura a telefonare a Bush padre per sapere chi avesse ucciso Laura Palmer.

Trent’anni fa esatti andava in onda Passaggio a Nord-Ovest, un pilota dalle potenzialità ancora oggi impressionanti (gli spettatori italiani lo avrebbero potuto ammirare solo a partire dal gennaio 1991, come testimonia lo spot vintage di Canale 5 in fondo all’articolo che omaggia con una sregolatezza che fa sorridere la produzione di Lynch). Al suo interno c’era già tutto: il ritrovamento del cadavere di Laura Palmer in un sacchetto di plastica, i vezzi dell’agente Dale Cooper (gelato, torta alla ciliegia, ciambelle e caffè nero) e perfino l’uso del telefono come prolungamento di un’ossessione letteralmente appesa a un filo - a tal punto che la macchina da presa andava dai numeri alla cornetta senza staccare, con una verticalità impietosa, rigorosamente a misura di discesa negli abissi dell'inconscio. Se l’agente Cooper, al suo arrivo in città, dichiara nel suo primo audiomessaggio a Diane di non aver mai visto tanti alberi in tutta la sua vita, era chiaro che anche gli spettatori dell’epoca non avessero mai visto niente di simile

Stasera Kyle McLachlan tornerà indietro nel tempo insieme ai fan, con un throwback degno di nota: un live tweet del pilot, cui farà seguito una speciale diretta su Instagram con un ospite d’eccezione. Lynch e Frost, com’è noto, hanno realizzato nel 2017 il sequel della storica serie televisiva in onda su ABC tra il 1990 e il 1991, regalando al mondo sulle reti Showtime una terza stagione di Twin Peaks che ha provveduto a cancellare e riscrivere tutto da capo: un altro anno zero, stavolta assai più difficile da classificare, un prisma infinito lungo diciotto ammalianti ore (ve ne parlavamo qui) che ci ha riportato all’alba dei nostri sogni infernali consumati all’inizio degli anni ’90, alle pendici di un eterno nastro di Möbius che è da sempre figura chiave e territorio simbolico imprescindibile dell’immaginario lynchiano.

Sta di fatto che, trent’anni fa oggi, il fuoco iniziò per davvero a camminare con noi.

Davide Stanzione

Maximal Interjector
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