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Il cinema di William Friedkin: la nostra top 5

In occasione dell’imminente Lucca Film Festival e della sua presenza presso la kermesse della città toscana, LongTake omaggia William Friedkin proponendo una top 5 del grande cineasta statunitense.

Considerato uno dei registi in assoluto più coraggiosi e innovativi, Friedkin ha contribuito in maniera sensibile all’evoluzione di due generi cinematografici come il poliziesco e l’horror, riuscendo sempre a combinare uno stile secco e preciso con analisi antropologiche mai banali, focalizzandosi sulle distinzioni assai esigue tra Bene e Male, guardando con disincantato pessimismo alla natura umana sempre pronta a rivelare la propria faccia peggiore.

Ecco dunque la nostra top 5 dedicata a William Friedkin:

5) Killer Joe

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Il film che ha rilanciato il nome di Friedkin tra i grandi della settima arte e ha contribuito all’ascesa di Matthew McConaughey, fino a quel momento imbrigliato in produzioni di dubbio gusto tra commedie romantiche sdolcinate e improbabili prodotti action. Killer Joe è, invece, uno spietato noir, riflessione amara e disperata sull’avidità come male ineludibile, predisposta a minare la convivenza civile e a rivelare il peggio della natura umana. Un vero e proprio incubo pulp con tocchi di gran divertimento macabro, come nella celebre scena della coscia di pollo.

4) Il braccio violento della legge

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Prima grande produzione affidata a Friedkin (reduce da una serie di buoni successi con documentari e pellicole più intimistiche) e primo grande successo dell’autore, che vincerà il suo unico Oscar grazie alla regia nervosa e travolgente di questo caposaldo del cinema poliziesco. Con uno stile secco e sporco, Friedkin mette in scena l’ossessione di un uomo pronto a tutto pur di riuscire nel suo scopo, anche a oltrepassare i confini della legalità, spingendo il pedale sulla rappresentazione di quella violenza realista che è il fil rouge di tutta la sua filmografia. A emergere prepotenti sono lo squallore di una New York da incubo, dai sobborghi spenti e desolati, e un funzionale contrasto tra le abitudini altoborghesi di Fernando Rey e la triste quotidianità di Gene Hackman.

3) Cruising

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Film a lungo invisibile, disconosciuto dal protagonista Al Pacino (qui in una delle sue prove migliori, tra l’altro), ostracizzato e boicottato con pretestuose accuse di omofobia e fascismo, uno dei più sonori flop commerciali della carriera di Friedkin, ma anche una delle sue opere più amare, caustiche e complete, in cui la riflessione sui labili confini tra Bene e Male si fa particolarmente ficcante, precisa e inquietante. Il risultato è il viaggio agli inferi di un uomo che, per risolvere un caso, si trova a dover mettere in discussione tutte le proprie certezze, etiche e sessuali in primis. Centro assoluto del film diventa un protagonista spaesato e annichilito di fronte alle contraddizioni della propria personalità, simbolo di una brutalità che si propaga virulenta e del dualismo proprio di ogni essere umano.

2) Vivere e morire a Los Angeles

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Magistrale apologo sulla violenza tratto dall’omonimo romanzo di Gerald Petievich, anche sceneggiatore con lo stesso Friedkin, che guarda a temi universali quali colpa, redenzione, espiazione e moralità. Le regole del genere poliziesco sono ribaltate in favore di una serrata analisi sull’ambiguità della natura umana, deviata e brutale, e sul male come contagio: metafora di una società marcia e corrotta sono i due protagonisti, facce della stessa medaglia destinate a sovrapporsi nel grandioso e destabilizzante finale. A quasi quindici anni di distanza da Il braccio violento della legge, il regista torna a firmare mirabolanti scene d’inseguimento che hanno fatto scuola e si presentano come perfetto corredo a un’opera entusiasmante e ammantata da un pessimismo cosmico amplificato per contrasto con l’atmosfera cool degli edonistici anni Ottanta.

1) L’esorcista

L'esorcista

Probabilmente l’horror più celebre di tutti i tempi e l’opera che ha contribuito a sdoganare il genere tra il grande pubblico. Ispirandosi al romanzo omonimo di William Peter Blatty (anche produttore e sceneggiatore), Friedkin riesce a tratteggiare un capolavoro di costruzione tensiva, capace di annientare emotivamente lo spettatore tramite l’uso di un climax narrativo costante che scava nelle paure ancestrali dell’essere umano (il demonio, simbolo di un lato oscuro maligno volutamente ignorato), oltre a rivelarsi saggio psicanalitico da manuale (la possessione come metafora del disagio adolescenziale) e riflessione critica sulla dicotomia scienza-fede nella società moderna. Incredibile successo al box office e nascita di un vero e proprio fenomeno di culto: un film che ha segnato profondamente l’evoluzione del cinema moderno e un nuovo approccio al genere horror, combinando la componente più prettamente psicologica e politica con una costruzione spettacolare di pregevolissima fattura.

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