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Woody Allen: i tre volti del delitto e del castigo

La passione di Woody Allen per la letteratura russa non è certamente una novità per tutti gli appassionati estimatori del regista newyorkese. Sono infatti innumerevoli i rimandi, più o meno palesi, agli scrittori russi più celebri del XIX secolo (basti pensare al film Amore e guerra, forse l’esempio più manifesto di questa tendenza). In occasione del compleanno del regista e dei quindici anni dall’uscita di Match Point, una delle opere alleniane maggiormente riuscite dal 2000 a oggi, vogliamo omaggiare questa pellicola andando a collocarla in un’ideale trilogia dostoevskijana di Woody. Lo scrittore russo è celebre per la complessa introspezione psicologica con cui riesce a plasmare dei personaggi pulsanti di vita propria, talmente realistici da far sorgere nel lettore la sensazione di essere l’indiscreto voyeur dei loro tormenti. È proprio attorno a questo intimo scavare nelle profondità dell’animo umano, andando inevitabilmente a interrogarsi su dilemmi teologici e morali, che Allen ci propone tre possibili scenari.

In Crimini e misfatti (1989) troviamo il Woody Allen più pessimista. La pellicola è annoverata fra le opere più significative e riuscite del regista, commistione perfetta fra dramma e commedia. Al dubbio etico e morale che lacera la mente di Judah (Martin Landau) fa da perfetto contraltare la storia più leggera e comica di Cliff (Woody Allen). I due si incontrano soltanto nel finale del film e da questo confronto apprendiamo che i tormenti e il senso di colpa di Judah non hanno portato ad alcun riscatto morale del personaggio; nessun castigo per il crimine commesso quindi, e conseguentemente nessuna redenzione. Judah razionalizza la realtà in cui è immerso, fuggendo in questo modo dal processo etico verso il quale il delitto lo aveva instradato. In un mondo in cui Dio è morto e il giudizio morale soffocato, l’assassino non solo non è chiamato a pagare lo scotto delle proprie colpe, ma prospera, godendo dei piaceri della vita.

Cliff: «In assenza di un Dio o che altro lui è costretto ad assumersi quella responsabilità. Allora si ha la tragedia».

Judah: «Ma questa è fiction, questo è cinema, vero? Insomma, lei vede troppi film e io sto parlando della realtà, voglio dire se vuole un lieto fine vada a vedere un film di Hollywood».

In Match Point (2005) l’arrivista Chris Wilton (Jonathan Rhys-Meyers) cede ai propri impulsi primordiali: la passione per la sensuale Nora (Scarlett Johansson) e il conseguente rischio di perdere lo status sociale guadagnato, lo porteranno a imboccare quel sentiero a senso unico che è l’omicidio. Anche qui, come nella pellicola precedente, l’assenza di Dio rappresenta elemento cardine dell’opera. Sono il caso e il fato benevolo a decidere le sorti dell’assassino: con un guizzo, degno della sua fama, Allen ribalta alcuni elementi che avevano contraddistinto l’inizio della pellicola: la palla da tennis che, dopo aver colpito il nastro, cade nella nostra metà campo (segnando in questo modo la nostra sconfitta); e l’anello che, dopo esser rimbalzato sulla ringhiera, torna anch’esso indietro (in questo caso diventa elemento che scagiona e salva il colpevole). A differenza del film dell’89 però, in assenza di una legge divina sono le regole morali che disciplinano il castigo del nostro protagonista. Gli orrori e i tormenti del suo crimine non scivolano via come quelli di Judah ma anzi, assumono vera e propria consistenza, presentandosi sotto forma di fantasmi che tormentano le sue notti. Lo sguardo di Chris sul finale del film è uno sguardo consapevole: la felicità è ben lungi dall’essere raggiunta e il castigo del nostro protagonista è quello di dover convivere con i suoi crimini, costretto a portare una maschera e a condividere un’esistenza con una donna e un mondo a cui, in fondo, non è mai appartenuto.

Chris: «Sarebbe appropriato se io venissi preso... e punito. Almeno ci sarebbe un qualche piccolo segno di giustizia. Una qualche piccola quantità di speranza di un possibile significato».

Irrational Man (2015) chiude, 10 anni dopo Match Point, questa ideale trilogia volta a elaborare e a dare una propria versione delle tematiche presenti in Delitto e castigo. In questo capitolo conclusivo troviamo il Woody più ottimista: è infatti l’intervento divino, o la buona sorte, o il fato (o in qualunque altro modo lo si voglia chiamare) che interviene per interrompere la serie di omicidi. Lì dove il giudizio morale stava fallendo, è l’imperscrutabilità del destino che portano Abe (Joaquin Phoenix) a scivolare su una torcia (vincita fortuita e scelta fortunata della Jill di Emma Stone al luna park) e a cadere nella tromba dell’ascensore, impedendogli in questo modo di uccidere la ragazza.

Simone Manciulli

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