Al termine del workshop dedicato a Luca Guadagnino, abbiamo chiesto ai partecipanti di scrivere un elaborato su un elemento emblematico del cinema di uno dei registi italiani più apprezzati a livello internazionale. Ecco il lavoro che ha meritato la pubblicazione!
Massimo Guastella
Luca Guadagnino – Chiamami col tuo nome: lo sguardo trattenuto sull’amore
Corpi di bronzo. Corpi freddi. Corpi che si immergono o emergono dall’acqua. Forse il nocciolo del film è in questa metafora: nel corpo che, toccato dall’amore, emerge o si immerge nella vita. In questo caso di un amore non detto, un amore trattenuto. È meglio parlare o morire? È radicale la domanda dell’amore.
“Chiamami con il tuo nome†è una riflessione sulla distanza e la dimenticanza. Far riposare il nostro sentire. Non doverlo dire per forza. Lo sguardo con cui dovremmo guardare il film, forse, è racchiuso nelle parole cruciali del padre di Elio, come se tutto il film fosse stato girato con i suoi occhi. Dalle prime fotografie: quei corpi senza sguardo o che lo trattengono. Eppure, sostiene il prof. Perlman, quei corpi ti sfidano a desiderarli.
Come interpretare quelle parole: “call me by your name and I’ll call you by mineâ€. Elio e Oliver. Oliver e Elio. Specchi in cui si infrangono le loro identità . Posso guardare me stesso attraverso i tuoi occhi? Le nostre identità hanno solo una cosa in comune ed è nel loro continuo mutamento.
Essersi incontrati deve alterarci. Farci divenire altro. “Chiamami col tuo nome†affinché io possa sentire l’eco che ci lega, come alle cascate del Serio. Rivelarmi finalmente. Non nascondermi. Svelarmi, velandomi con il tuo sguardo. «Tu non sei me, perché tu mi vedi e io non mi vedo. Ciò che mi manca, è quel me che tu vedi. E ciò che manca a te, è il te che io vedo» con le parole di Valéry.
C’è un limite invalicabile nello sguardo che non può essere sfondato. Io posso guardarmi attraverso i miei/tuoi occhi, però, non posso guardarmi del tutto. Posso solo, da un certo punto in poi, immaginar(ti)e. «Parce que c’était lui, parce que c’était moi, con le parole di Montaigne».
Questo sguardo trattenuto, questo pudore dei sentimenti è chiaro che si scontra con l’urgenza di dire, o di predire, come chiosa Elio in un dialogo tra di loro: mi sminuisco affinché non lo faccia tu. Sarebbe troppo il peso di sentirsi inadeguati davanti a chi si ama. Vorrei, però, che tu lo sapessi. Perché sei l’unica persona a cui posso — ha senso — dirlo. Confessare o trattenere? Vivere i sentimenti o tenerli stretti a sé? Non per paura di soffrire. Non per paura di non essere ricambiati. Ma la paura più grande è di dimenticare ciò che crediamo importante, assoluto. Invece Oliver dirà : «Io ricordo tutto». A prescindere da ciò che è stato, da come le cose andranno. La parola ricordo ha in sé il cor, il cuore. Mettere nel cuore, conservare. Non solo la gioia ma anche il dolore. Darsi tempo. Non augurarsi che tutto passi in fretta. Quanto spreco, se per prevenirlo, non viviamo. Ci ritroveremo, poi, con un corpo di cui nessuno si preoccuperà più. Viene il momento della solitudine, della decantazione: dove i sentimenti devono maturare come i frutti. Siamo divisi da questo: dalla dirompenza della cascata e dalla placida tranquillità del lago. La neve che ammanta tutto; lì dove c’è stata la passione e il calore dei corpi. Il fuoco che arde nella scena finale. Riportare alla mente i ricordi, le emozioni affinché nulla svanisca sotto la cenere. Cosa può imprimere una simile durevolezza ai ricordi tale da rendere un corpo di carne transeunte, un corpo che sfiorisce in un corpo di bronzo, eterno? Non ci resta che concludere con le parole del romanzo: “Mi sono fermato un secondo. Se ti ricordi tutto, volevo dirgli, e se sei davvero come me, allora domani prima di partire […] una volta soltanto, girati verso di me […] guardami negli occhi, trattieni il mio sguardo, e chiamami col tuo nomeâ€.