Good Bye Lenin!
Good Bye Lenin!
Durata
121
Formato
Regista
1990. Nella Germania ormai unificata, Christiane (Katrin Sass), socialista di ferro, si risveglia da un coma durato mesi. Ignara dei cambiamenti e indebolita dalla malattia, la donna si crogiola in un passato che non esiste più: il figlio Alex (Daniel Brühl), con la complicità della sorella Ariane (Maria Simon), preserverà l'illusione.
Una prospettiva intimista per affrontare e rielaborare uno degli eventi storicamente più dirompenti del XX secolo: la caduta del muro di Berlino. Il regista Wolfgang Becker e Bernd Lichtenberg, autori della sceneggiatura (a cui hanno collaborato anche Achim von Borries, Hendrik Handloegten e Christoph Silber), privilegiano il punto di vista del giovane Alex, evidenziando le contraddizioni, la progressiva occidentalizzazione dell'est e l'incombente consumismo dilagante (metafora, insolita e coraggiosa, della purezza perduta). Insolito e tecnicamente ben strutturato (le immagini velocizzate che trasmettono la frenesia del cambiamento), il film cala nella seconda parte, perdendosi in ripetitivi siparietti (le macchinazioni ordite dal protagonista per proteggere la madre dalla verità) e in un sentimentalismo a tratti retorico. Godibile, in ogni caso, e a suo modo coraggioso, anche se lievemente sopravvalutato (decisamente eccessivi i numerosi premi vinti). Cast in buona forma e notevolissima interpretazione del giovane Daniel Brühl. Presentato in concorso al Festival di Berlino.
Una prospettiva intimista per affrontare e rielaborare uno degli eventi storicamente più dirompenti del XX secolo: la caduta del muro di Berlino. Il regista Wolfgang Becker e Bernd Lichtenberg, autori della sceneggiatura (a cui hanno collaborato anche Achim von Borries, Hendrik Handloegten e Christoph Silber), privilegiano il punto di vista del giovane Alex, evidenziando le contraddizioni, la progressiva occidentalizzazione dell'est e l'incombente consumismo dilagante (metafora, insolita e coraggiosa, della purezza perduta). Insolito e tecnicamente ben strutturato (le immagini velocizzate che trasmettono la frenesia del cambiamento), il film cala nella seconda parte, perdendosi in ripetitivi siparietti (le macchinazioni ordite dal protagonista per proteggere la madre dalla verità) e in un sentimentalismo a tratti retorico. Godibile, in ogni caso, e a suo modo coraggioso, anche se lievemente sopravvalutato (decisamente eccessivi i numerosi premi vinti). Cast in buona forma e notevolissima interpretazione del giovane Daniel Brühl. Presentato in concorso al Festival di Berlino.