Le mie due mogli

My Favourite Wife

Anno

Paese

Usa

Durata

88

Formato

Regista

Ellen Arden (Irene Dunne) torna dopo una lunga assenza dovuta a una spedizione scientifica nei Mari del Sud. Il marito Nick Arden (Cary Grant), però, la crede morta e il suo rientro nella vita familiare, proprio nel giorno in cui il marito convola a nuove nozze con la meravigliosa Bianca Bates (Gail Patrick), dà origine a una serie di  strambi equivoci.

Irene Dunne e Cary Grant tornano a condividere il grande schermo nella loro seconda incursione nella commedia coniugale, tenendo conto dell’ironia sofisticata e l’indimenticabile gioco di scambi brillanti che avevano reso L’orribile verità un successo. A causa di un grave incidente automobilistico avvenuto l’inverno precedente, McCarey è costretto a rinunciare alla regia, lasciando il timone al ventisettenne Garson Kanin. Pur svolgendo un lavoro estremamente dignitoso, il giovane regista non infonde alla pellicola la stessa brillantezza ritmica che aveva caratterizzato il precedente progetto di McCarey. Nonostante l’intreccio richieda una certa indulgenza (tanto per le coincidenze forzate quanto per la tenuta emotiva dei personaggi) Dunne e Grant riescono a mantenere viva l’attenzione grazie alla loro innata capacità di giocare con i registri della commedia. L’arrivo di Stephen Burkett (Randolph Scott) nei panni del compagno di naufragio della protagonista, introduce una vena di gelosia e di assurdo che offre alcuni dei momenti più riusciti del film, specialmente nelle scene in cui Grant si confronta con la moglie sugli anni trascorsi insieme. Gli interpreti secondari, tra cui Ann Shoemaker (madre di Ellen) e Donald MacBride (impiegato dell’Hotel) offrono prove piuttosto solide, mentre i due giovani attori, Scotty Beckett (Tim Arden) e Mary Lou Harrington (Chinch Arden), si distinguono per una spiccata simpatia, che giochicchia bene con i ruoli designati. Nel complesso, sebbene l’opera risulti gradevole e ben confezionata, è evidente un certo manierismo di fondo che la rende meno incisiva al cospetto di altri titoli del genere. Più un elegante divertissement che una commedia memorabile, sostenuto dalla presenza scenica dei suoi interpreti più che dalla forza del soggetto. Notevole in ogni caso la scelta finale, con "GoodNight" a sostituire il tradizionale "The End".
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