Omen – L’origine del presagio
The First Omen
Durata
120
Formato
Regista
Una ragazza americana (Nell Tiger Free) viene mandata in Vaticano per iniziare un percorso di servizio alla Chiesa. Quando arriva a Roma, però, scopre una terribile verità: è in atto un piano per la nascita dell'anticristo: la fede della ragazza inizia a vacillare.
La sceneggiatura, scritta a sei mani dalla regista Arkasha Stevenson insieme a Tim Smith e Keith Thomas, corre percorsi non sempre lineari e oscilla pericolosamente tra l’ellissi e l’eccesso didascalico, laddove l’origine del male non avrebbe bisogno di essere spiegata, la cospirazione di suore e cardinali invece sì. L’intuizione di Stevenson risiede nella necessità di scrivere una storia autonoma e radicalmente diversa da quella de Il presagio, mettendo al centro un giallo dalle sfumature macabre visivamente e narrativamente concentrato sul corpo femminile. C’è qualcosa di molto inquietante nella drammatica storia di Margaret e nella sua progressiva presa di consapevolezza, che non risiede nelle allucinazioni demoniache, ma nella sensazione di impotenza di fronte ad un destino disegnato da altri e per giunta votato al male, di cui lei non è padrona ma vittima sacrificale. La prevaricazione sulla donna – raffigurata efficacemente in tutte le sue versioni: con gli stilemi della morale sessuale, con la repressione e infine con la negazione del libero esercizio dell’autodeterminazione riproduttiva – incombe come tema dominante in questa storia ambiziosa di indisponibilità del corpo femminile, che pure quando è sottratto alla vita mondana sembra essere oggetto di contesa e pretesa, tanto da venire strumentalizzato dalla storia religiosa per una progenie più che mai indesiderata. La paura è instillata nelle immagini senza il ricorso a mostri o disgustosi fenomeni di possessione, ma attraverso un lavoro di luci e suggestioni, cedendo solo sul finale alla più classica delle raffigurazioni diaboliche. Apprezzabile che la storia venga riscritta da un punto di vista femminile e che la tensione horror passi attraverso l’attenzione filmica sui corpi, specialmente quelli delle donne, lontana dall’erotismo se non come suggestione: sono l’oppressione fisica e la costrizione a fare paura. La sceneggiatura sebbene armata di buone intenzioni è troppo incerta nei suoi fondamentali passaggi narrativi e la scelta dell’ambientazione romana negli anni di piombo più che un contesto evocativo di tensione finisce per imprimere una vaga sfumatura caotica priva di reale potere scenografico.
La sceneggiatura, scritta a sei mani dalla regista Arkasha Stevenson insieme a Tim Smith e Keith Thomas, corre percorsi non sempre lineari e oscilla pericolosamente tra l’ellissi e l’eccesso didascalico, laddove l’origine del male non avrebbe bisogno di essere spiegata, la cospirazione di suore e cardinali invece sì. L’intuizione di Stevenson risiede nella necessità di scrivere una storia autonoma e radicalmente diversa da quella de Il presagio, mettendo al centro un giallo dalle sfumature macabre visivamente e narrativamente concentrato sul corpo femminile. C’è qualcosa di molto inquietante nella drammatica storia di Margaret e nella sua progressiva presa di consapevolezza, che non risiede nelle allucinazioni demoniache, ma nella sensazione di impotenza di fronte ad un destino disegnato da altri e per giunta votato al male, di cui lei non è padrona ma vittima sacrificale. La prevaricazione sulla donna – raffigurata efficacemente in tutte le sue versioni: con gli stilemi della morale sessuale, con la repressione e infine con la negazione del libero esercizio dell’autodeterminazione riproduttiva – incombe come tema dominante in questa storia ambiziosa di indisponibilità del corpo femminile, che pure quando è sottratto alla vita mondana sembra essere oggetto di contesa e pretesa, tanto da venire strumentalizzato dalla storia religiosa per una progenie più che mai indesiderata. La paura è instillata nelle immagini senza il ricorso a mostri o disgustosi fenomeni di possessione, ma attraverso un lavoro di luci e suggestioni, cedendo solo sul finale alla più classica delle raffigurazioni diaboliche. Apprezzabile che la storia venga riscritta da un punto di vista femminile e che la tensione horror passi attraverso l’attenzione filmica sui corpi, specialmente quelli delle donne, lontana dall’erotismo se non come suggestione: sono l’oppressione fisica e la costrizione a fare paura. La sceneggiatura sebbene armata di buone intenzioni è troppo incerta nei suoi fondamentali passaggi narrativi e la scelta dell’ambientazione romana negli anni di piombo più che un contesto evocativo di tensione finisce per imprimere una vaga sfumatura caotica priva di reale potere scenografico.