Bob Dylan e il cinema: i momenti da ricordare
24/05/2021

«I accept chaos, I am not sure whether it accepts me»

24 maggio 1941: nasce Robert Allen Zimmerman, universalmente noto come Bob Dylan. Cantautore, compositore, musicista e poeta, rappresenta una delle più importanti figure musicali a livello mondiale: ideatore del folk-rock, si impone come simbolo imprescindibile nella cultura di massa. Artista in perenne evoluzione e contraddistinto da una spiccata versatilità, Dylan dimostra di avere un rapporto diretto (e non esente da inquietudine) con la settima arte, per la quale è soggetto e oggetto, nel corso degli anni, di svariate rappresentazioni filmiche (ovviamente, anche con la composizione di memorabili colonne sonore). In occasione dei suoi 80 anni, ecco alcuni momenti imprescindibili del binomio Bob Dylan/cinema!


Dont Look Back (1967)

«You don't need a weatherman to know which way the wind blows». Uno dei documentari musicali per eccellenza che cattura i momenti salienti della tournée di Bob Dylan in Inghilterra e si apre con quello che, a detta di tutti gli esperti, è il primo videoclip della storia, il brano Subterranean Homesick Blues, tratto dall’album Bringing It All Back Home. Il regista D.A. Pennebaker non si limita a filmare i concerti e segue Dylan in albergo, nel backstage, nelle conferenze, testimoniando il rapporto burrascoso tra Dylan e la stampa (nonché quello con Joan Baez), tra domande inopportune e reazioni aggressive. Il risultato è straordinario, come emerge anche dalle parole dello stesso Dylan: «I feel like I’ve been through some kind of thing. There’s something special about it».


Pat Garrett e Billy the Kid (1973)

«Mama, take this badge off of me/I can't use it anymore/it's getting dark, too dark to see». Quando i versi di Knockin' on Heaven's Door di Bob Dylan (anche interprete dello stralunato Alias) accompagnano una delle sequenze più dolorose dell'intera storia del genere, capiamo davvero come il cinema di Peckinpah sia un insieme di amarezza e poesia, crudeltà e pietas. Il western classico è “morto” con Il mucchio selvaggio (1969); ora c'è posto solo per il post-western, definitivamente smitizzato e antieroico. Aneddoto: Peckinpah non aveva la minima idea di chi fosse Dylan e fu James Coburn a organizzare l'incontro tra i due per mettere il punto alla collaborazione. "Sam aveva una sedia a dondolo. Bob si sedette su una seggiola, proprio davanti a lui. C’erano solo loro due, là dentro. Dylan suonò tre o quattro canzoni. E dopo un po’ Sam uscì con il fazzoletto sugli occhi: «Dannato ragazzo! Chi diavolo è? Chi è quel ragazzo? Fatelo subito firmare!»".


L'ultimo valzer (1978)

Il 25 novembre 1976, alla Winterland Arena di San Francisco, si tenne l'ultima esibizione ufficiale di The Band, mitico gruppo roots rock canadese formatosi negli anni '60. Martin Scorsese intervista i cinque membri e filma l'evento, arricchito dalla presenza dei più grandi artisti dell'epoca. Molto più di un film-concerto. O, se vogliamo, il film concerto, con la consacrazione di un gruppo che, pur iniziando come band di “supporto”, segnò la storia del rock. Ma l'importanza dell'opera è dovuta soprattutto alle innovative tecniche utilizzate (sette cineprese in 35 mm, ottima qualità audio ulteriormente affinata dalla recente rimasterizzazione in Dolby) e all'idea del regista di allargare i confini di questa sinfonia audiovisiva, trasformandola in un ritratto romantico e nostalgico dell'America. Il documentario contiene solo tre canzoni di Bob Dylan ma, come si dice, il meglio viene alla fine: la sua performance è semplicemente da antologia.


Wonder Boys (2000)

«A worried man with a worried mind/No one in front of me and nothing behind». Tra i migliori film di Curtis Hanson, mestierante americano molto attivo fin dai primi anni '70, capace di tratteggiare con tono spigliato ma puntuale una commedia drammatica dal sapore vagamente indie, in cui la crisi esistenziale non è affrontata con pedante seriosità e i turbamenti giovanili vivono di una originale luce propria. Consacrazione ufficiale di Bob Dylan nel mondo hollywoodiano grazie al premio Oscar per la miglior canzone, Things Have Changed, che fa parte della colonna sonora del film: “Sono stati coraggiosi nel darmi un premio per questa canzone, una canzone che non esita e non chiude gli occhi davanti alla natura umana”.


No Direction Home: Bob Dylan (2005)

Episodio della serie American Masters, è un viaggio nella prima fase della carriera di Bob Dylan dagli esordi al temporaneo ritiro dalle scene dopo l'incidente del 1966: ce ne parla lo stesso artista, accompagnato da filmati di repertorio e interviste a vari personaggi della scena culturale dell'epoca. Difficile non accostare il menestrello del Minnesota al movimento per i diritti civili degli anni '60; ma l'etichetta di icona generazionale gli stava talmente stretta che “tradì” sia la causa della sinistra liberal che i fan puristi, sputando loro in faccia la sua insofferenza con la nota “svolta elettrica”. Esistono diversi documentari su Dylan, ma probabilmente pochi rievocano con tanta precisione e lucidità questo momento centrale della storia musicale americana. Le origini, i primi passi nell'ambiente beatnik del Greenwich Village, i dischi, gli applausi del pubblico rapidamente sostituiti dai fischi: Martin Scorsese costruisce con pazienza certosina un collage di filmati eccezionali (e spesso inediti), in cui spiccano chicche come video di backstage o gustose conferenze stampa.


Io non sono qui (2007)

La straordinaria vita di Bob Dylan raccontata attraverso un mosaico di storie corrispondenti a ciascuna fase della sua esistenza. Arrivato al suo quinto lungometraggio, il regista indipendente Todd Haynes riesce a cogliere ogni sfaccettatura del grande cantautore folk, con un biopic atipico che non dipinge il soggetto in maniera obiettiva ma, al contrario, ne frammenta l'icona, osservandola (o, meglio, reinventandola) da diversi punti di vista. Un film, dunque, lontano anni luce dalle biografie classiche, in cui Haynes, ripudiando gli standard hollywoodiani, cerca di fare un dipinto completo dell'epoca in cui è vissuto il menestrello del rock, senza dimenticarsi di raccontare i risvolti sia sociali che politici degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, e ben amalgamandoli alla sfera privata ed emotiva del suo protagonista. Maestosa colonna sonora, ricca di arrangiamenti e cover dei pezzi più famosi (e non) di Dylan.

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