La letteratura è sempre stata per il cinema, fin dalla sua nascita, una prosperosa sorgente da cui attingere per rendere concrete le immagini della mente e le emozioni evocate in precedenza dalle sole parole.
Alcuni autori, più di altri, sono stati in grado, attraverso romanzi e racconti, di ispirare diversi cineasti: con l’uscita de Gli indifferenti di Leonardo Guerra Seràgnoli, i soggetti delle opere di Alberto Moravia hanno collezionato ben 31 adattamenti cinematografici!
Alberto Moravia, nato a Roma il 28 novembre del 1907, è stato uno degli autori più importanti del ‘900 noto per i suoi romanzi incentrati sulla critica della realtà borghese del suo tempo, in costante declino morale, sopraffatta da sentimenti di alienazione, noia e indifferenza: critiche velate contro la minaccia della dittatura fascista.
Nota la sua amicizia con Pier Paolo Pasolini, con cui ha realizzato numerosi reportage di viaggio, e la sua passione per il cinema, tanto che nel 1955 iniziò a collaborare con L’Espresso, curando una rubrica di critica cinematografica.
La sua incredibile capacità di rendere la parola scritta una palpabile realtà è stata di grande ispirazione per molti registi, che hanno colto la difficile sfida di adattare una prosa fortemente esistenzialista. I suoi romanzi, infatti, sono percorsi interiori nell’anima di personaggi tormentati, a conferma dell’arduo compito di trasformare il pensiero dei personaggi in azione e in immagini in movimento.
Un autore che mira al racconto imparziale della realtà, senza schieramenti od opinioni riguardo ai fatti narrati, lasciando l'incarico del giudizio esclusivamente al lettore, e successivamente allo spettatore, chiamato a interpretare da sé.
Ci sembrava doveroso onorare la memoria di Alberto Moravia con la nostra classifica dei 5 film più riusciti, tratti dai suoi racconti e dai suoi romanzi.
“Ma aveva veduto, aveva provato quel che sarebbe diventato se non avesse saputo vincere la propria indifferenza: senza fede, senza amore, solo, per salvarsi bisognava o vivere con sincerità o secondo degli schemi tradizionali questa sua intollerabile situazione, o uscirne per sempre; bisognava odiar Leo, amar Lisa, provare del disgusto e della compassione per la madre, e dell’affetto per Carla: tutti sentimenti che non conosceva”
Gli indifferenti di Alberto Moravia
5) Risate di gioia (1960) di Mario Monicelli

È un film tratto da due racconti di Moravia: Risate di gioia e Ladri in chiesa. Affascinante commedia all’italiana con due icone del nostro cinema, Totò e Anna Magnani, nell’unica interpretazione insieme della loro carriera. Durante la notte di San Silvestro, un’attrice di cinecittà, Tortorella, un borseggiatore e il suo complice si troveranno, per puro caso, insieme, tra mille disavventure e rocamboleschi avvenimenti.
La concatenazione degli eventi è credibilissima, tanto quanto le eccellenti performance di Totò e della Magnani, tra sketch comici esilaranti che nascondono, più che risate di gioia, risate amare; poiché il film, rimanendo fedele alle poetiche di Moravia, si concentra sul tema delle false apparenze (invitano Tortorella a cena solo per non essere in 13 a tavola), dell’individualismo e di un materialismo figlio di un falso progresso tipico dell’Italia di quel tempo.
4) Gli indifferenti (1964) di Francesco Maselli

Fedelissimo adattamento all’omonimo romanzo che racconta magistralmente la decadenza borghese, degli anni ’20, attraverso un microcosmo familiare sull’orlo di una crisi finanziaria che minaccia la loro permanenza nella villa in cui vivono. Maria Grazia (Paulette Goddard), rimasta vedova, cerca conforto nell’amante Leo (Rod Steiger), affarista senza scrupoli, il quale le offre di sostenere le spese di famiglia, nonostante in realtà provi un certo affetto per Carla (Claudia Cardinale), figlia della vedova; Michele (Tomas Milian), fratello di quest’ultima, assiste con indifferenza al crollo morale di una realtà intrisa di falsità e apparenze. Un cast eccezionale che riesce a restituire una performance carica di tensione emotiva, supportata da un comparto tecnico davvero notevole; fotografia in bianco e nero di Gianni Di Venanzo e colonna sonora di Giovanni Fusco.
3) La Ciociara (1960) di Vittorio De Sica

La conferma del divismo di Sophia Loren che si prende tutta la scena in un film iconico sulla tragedia della guerra, vissuta dal punto di vista della realtà contadina: un universo puro, delicato e profondamente umano messo in ginocchio dalla brutalità della Seconda Guerra Mondiale. La negoziante Cesira (Sophia Loren) scappa con sua figlia Rosetta (Eleonora Brown) nel paesino natale di Sant’Eufemia, dopo un bombardamento nella capitale romana, in attesa della fine della guerra. Vittorio De Sica dirige con estrema delicatezza anche i momenti più violenti (emblematica la scena dello stupro in chiesa), mostrando con estremo realismo le azioni e le psicologie dei personaggi, restituendo un’opera struggente sulla perdita dell’innocenza infantile. Indimenticabile la performance di Jean-Paul Belmondo nei panni dell’intellettuale Michele.
2) Il disprezzo (1963) di Jean-Luc Godard

Lo scrittore Paul Javal (Michel Piccoli) viene ingaggiato dal produttore Prokhosh (Jack Palance) per scrivere la sceneggiatura di un film tratto dall’Odissea di Omero che Fritz Lang, nei panni di sé stesso, vuole dirigere. L’affascinante Camille (Brigitte Bardot), moglie di Paul, comincia a nutrire un sentimento di disprezzo per un marito indifferente di fronte ai palesi tentativi di flirt da parte del produttore.
Godard prende solo spunto dal soggetto di Moravia, per plasmarlo su misura per lui, realizzando un film sulla sua personale visione del mondo del cinema (mettendo in opposizione la purezza dell’arte, l’Odissea, con il cinema, mezzo attraverso cui avviene una mercificazione dell’arte: svilita e sfruttata per denaro) e sull’incomunicabilità di una relazione sull’orlo del precipizio, rimanendo, quindi, coerente con le tematiche spesso trattate dal romanziere: l’indifferenza e il disprezzo. Ipnotica e virtuosissima, anche per un eccezionale uso del colore, la scena iniziale in cui Paul e Camille sono sdraiati sul letto impegnati in una conversazione sentimentale.
1) Il conformista (1970) di Bernardo Bertolucci

Bernardo Bertolucci dirige un film ricco di virtuosismi registici e firma la sceneggiatura, adattando in maniera egregia l’omonimo romanzo.
Italia 1938. Marcello Clerici (Jean-Louis Trintignant) viene incaricato dalla polizia politica fascista di eliminare Luca Quadri (Enzo Tarascio), suo ex professore, rifugiatosi a Parigi come militante antifascista. Avvalendosi della scusa del viaggio di nozze, si reca a Parigi con la moglie Giulia (Stefania Sandrelli), dove fanno la conoscenza del professore e di sua moglie Anna (Dominique Sanda); quest’ultima, con tendenze bisessuali, metterà a dura prova la missione che Marcello deve portare a termine.
Un capolavoro tecnicamente impeccabile: anzitutto per la strabiliante fotografia di Vittorio Storaro che restituisce una Parigi dai colori freddissimi, simbolo forse di un romanticismo soffocato da una decadenza morale piuttosto comune durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale; memorabile la colonna sonora di Georges Delerue. Marcello è un borghese afflitto da traumi infantili (l’anaffettività genitoriale e l’incontro con un pederasta) che cerca di reprimere nascondendosi dietro una vita normale, disprezzando l’idea di apparire diverso, per sentirsi finalmente uguale a tutti gli altri.
Matteo Malaisi