Klaus Kinski, unicità e furore di un interprete indomabile
18/10/2021

«Non sopporto quei registi che si attribuiscono il merito di un film interpretato da me. Come se mi avessero diretto a bacchetta. Io invece non sono mai stato diretto da qualcuno. Non faccio nemmeno le prove di una scena. Arrivo sul set e recito la mia parte come lo sento di fare. Se vado bene è merito mio. Del resto dicono tutti, compreso il mio amico Werner Herzog, che sono un genio... Un genio? Cos'è mai un genio? Chi può stabilirlo o misurarlo? Comunque io non lo so né mi importa di saperlo»

Geniale, imprevedibile, folle, dispotico, violento: Klaus Kinski era questo, e anche molto di più. Nato a Sopot ed emigrato a Berlino, arruolatosi diciassettenne nella Wehrmacht e catturato dagli inglesi, segnato dalla morte dei genitori durante un bombardamento, si appassionò presto alla recitazione e, conclusa la Seconda guerra mondiale, vi si dedicò anima e corpo, alternando ossessivi periodi di studio a crolli nervosi per i quali fu anche internato in manicomio (dove tentò il suicidio a causa dell'amore non corrisposto per un'infermiera).

Gli inizi come caratterista, i numerosi ruoli negli spaghetti western, poi l'incontro artistico destinato a entrare nella leggenda, quello con Werner Herzog, ex coinquilino negli anni giovanili: un sodalizio prolifico e incendiario, fatto di stima reciproca ma continuamente scosso da incomprensioni e aggressioni (fisiche e verbali). Due personalità titaniche e ingombranti, che non potevano certo integrarsi in armonia: il risultato cinematografico, in ogni caso, fu da brivido.

Klaus Kinski nasceva il 18 ottobre 1926: per omaggiarlo, cinque performance (in ordine rigorosamente cronologico) che fanno emergere genio e follia di un attore unico nel suo genere.


Per qualche dollaro in più

Secondo capitolo della “trilogia del dollaro”, aperta con Per un pugno di dollari (1964) e chiusa con Il buono, il brutto, il cattivo (1966), Per qualche dollaro in più è l'opera che porta Sergio Leone alla piena maturità. Ed è anche il film che vede Kinski nel ruolo dello scagnozzo gobbo nella cricca di "El Indio": personaggio luciferino e violento, l'ennesimo di una lunga serie di caratterizzazioni, che fa presagire quel che riserva il futuro. 


Jesus Christus Erlöser

Klaus Kinski offre nel 1971 la propria interpretazione personale del Nuovo Testamento sotto forma di monologo: Peter Geyer trova e rimonta le registrazioni dello spettacolo, dando vita a un documentario uscito nel 2008. Una performance durante la quale Kinski spiega il messaggio di Gesù Cristo a un pubblico sempre più insofferente: tra interruzioni e contestazioni l'attore, sempre più furibondo, lancia strali irosi ad astanti colpevoli di non comprendere, interrompendosi e ricominciando per tre volte. «Duemila anni fa quei farisei avevano almeno lasciato parlare Gesù prima di crocifiggerlo».


Aguirre, furore di Dio

Girato tra il Perù e la foresta amazzonica in condizioni proibitive, il terzo lungometraggio di finzione di Werner Herzog è giustamente ritenuto il suo film più rappresentativo, una delle opere più importanti del “Nuovo cinema tedesco” e una delle pellicole più influenti, almeno visivamente, del cinema moderno. Lo scontro tra uomo e natura, con la seconda destinata a prevalere e a inghiottire la tecnologia, e la cultura che il primo cerca di mettere in campo nella impari sfida: l'Aguirre di Klaus Kinski, entrato nella storia con il suo sguardo allucinato, è il più noto antieroe herzoghiano, che caparbiamente si batte contro il mondo, nonostante sia coscientemente destinato alla sconfitta. Set carico di tensione e litigi divenuti leggendari, con Herzog che minacciava Kinski con un fucile per farlo rimanere in scena.


Fitzcarraldo

Il più noto e chiacchierato film di Werner Herzog, la cui lavorazione durò quattro anni e prosciugò le casse del regista, rappresenta probabilmente la summa di tutto il suo cinema. Fitzcarraldo, infatti, mette insieme tutte le ossessioni dell'autore tedesco, dall'atto sublime della creazione artistica all'eterna ambizione dell'uomo di piegare la natura. Klaus Kinski, nel ruolo della sua vita, domina la scena ma i problemi sul set, al solito, furono molti e parecchio gravi: gli indios arrivarono a proporre a Herzog di assassinare l'attore, stremati dalle vessazioni e dagli abusi subìti.


Paganini

«Io non interpreto Paganini, io sono Paganini, così come sono stato Rimbaud, Aguirre, Nosferatu, Fitzcarraldo, Villon, Woyzeck. Non ho mai studiato la reincarnazione, la verifico ogni volta, ho dentro di me le anime di milioni di persone, di cose, di animali. Di Paganini ho sentito parlare da bambino, mi seduceva il suono della parola, avrebbe potuto essere un fiore, un insetto, qualunque cosa. Poi, un giorno di tanti anni fa, per le strade di Vienna, sono stato rapito dall' immagine di un volto scarno e febbricitante, un piccolo ritratto tra violini e spinette nella vetrina di un negozio di strumenti musicali. Sono rimasto a guardarlo per ore, sono entrato e ho chiesto chi fosse: sapevo che era lui, Paganini». Klaus Kinski dà sfogo alle proprie manie di onnipotenza con questo dramma sul celebre Paganini: evidente la volontà di tratteggiare un parallelismo con il compositore, enfatizzando forzatamente gli spigolosi tratti caratteriali. Il risultato è desolante, talmente pedestre da essere divenuto, a suo moodo, cult.


Bonus: Kinski, il mio nemico più caro

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