Licantropia. Malattia mentale per cui un essere umano si convince di essere un «uomo lupo» o «lupo mannaro». Secondo un'antica leggenda, la vittima assume realmente i caratteri fisici dell'animale. Gli abitanti di un piccolo villaggio, vicino al castello di Talbot, sostengono di aver vissuto orribili esperienze causate da questa creatura soprannaturale. Il simbolo del lupo mannaro è la stella a cinque punte, il pentagramma, con inciso all'interno un lupo che salta.
Lupo mannaro: una delle creature più popolari a livello orrorifico insieme a vampiri e morti viventi, entrato di diritto nell'immaginario collettivo legando la sua caratterizzazione alla cinematografia di genere del XX secolo. Le apparizioni sul grande schermo risalgono agli anni Dieci (The Werewolf di Henry MacRae) e proseguono sporadiche fino ad arrivare al 1941, anno de L'uomo lupo di George Waggner (oggetto, nel 2010, di un discutibile remake con Benicio Del Toro).
Lo sfortunato Larry Talbot (Lon Chaney Jr.) rientra dall'America nel nativo Galles in seguito alla scomparsa del fratello. Dopo un incontro accidentale con un lupo mannaro, Larry stesso scoprirà di non riuscire a controllarsi nelle notti di luna piena. il successo del film determinò la riscrittura ad hoc di tutta la mitologia successiva, compresa la teoria della trasformazione durante il plenilunio avanzata proprio qui. Ed è la luna a farla da padrone, regalando a tutta la pellicola un'atmosfera pallida e notturna, perfetto contraltare alla disperazione di Larry, uomo mite e pacifico costretto da un destino inoppugnabile a trasformarsi in sanguinario assassino. Metafora neanche troppo implicita dell'animo umano e delle sue possibili infiorescenze maligne (l sceneggiatore Curt Siodmak, ebreo, era fuggito dall'Europa nazista e infarcì la sceneggiatura di riferimenti al giudaismo), curiosamente L'uomo lupo si trovò a fagocitare, proprio come in una possessione, il suo protagonista: Lon Chaney Jr., figlio dell'indimenticato “uomo dai mille volti”, conobbe la fama quasi esclusivamente come licantropo in una serie di seguiti molto meno riusciti.

Una serie di sequel negli anni Quaranta, una sostanziale pausa nei Cinquanta e poi il rilancio del personaggio nel 1961 da parte della Hammer Film con L'implacabile condanna di Terence Fisher: il quale trasforma la struggente vicenda di Leon, tratta dal romanzo di Guy Endore The Werewolf of Paris, in un profondo dramma umano, non lesinando però sulle scene orrorifiche e truculente, tanto da attirarsi le ire della censura. Nel suo primo ruolo da protagonista, Oliver Reed è intenso e commovente, alle prese con una maledizione atroce che lo rende vittima incolpevole degli errori altrui e allo stesso tempo incarnazione del demoniaco, ma anche metafora sacrificale di cristologica memoria.
Ma è durante gli anni Ottanta che arriva la rivoluzione vera e propria, supportata da migliorie tecniche che aumentano il realismo delle trasformazioni, da geniali e folgoranti tocchi di grottesca ironia e dallo stile inconfondibile di grandi autori: dal romanzo omonimo di Gary Brandner Joe Dante trae L'ululato, che omaggia la storia del lupo mannaro al cinema: diverse le citazioni in questo senso, da Waggner al cartoon con Ezechiele Lupo e i tre porcellini, protagonista di una delle sequenze più efficaci del film. Strepitosi effetti speciali di Rob Bottin, con la consulenza di Rick Baker: gli esseri umani si trasformano in licantropi senza avvalersi del montaggio, in un'unica ripresa. Pioggia di seguiti, ça va sans dire.
Il film anticipa di un paio di mesi Un lupo mannaro americano a Londra. Scontro tra titani, verrebbe da dire: Da fan del cinema horror, John Landis spiazza tutti e affronta il classico tema dell'uomo-lupo senza trasgredire i canoni della paura. La venatura umoristica e a tratti giocosa non deve trarre in inganno: Un lupo mannaro americano a Londra è a tutti gli effetti un film dell'orrore, capace di entrare nella pelle di chi guarda e spaventare con sagacia e garbo. Il merito va sia al prezioso trucco di Rick Baker (che vinse per i suoi inediti effetti speciali “artigianali” un Oscar), sia alla sceneggiatura scritta dallo stesso regista, che, eliminando ogni prevedibile punto di riferimento, rimbalza tra citazioni cinematografiche, parodie televisive e critica sociale.

Metafora di un lato oscuro e nascosto dell'animo umano, di una natura bestiale, simbolo sotterraneo di impulsi sessuali, chiave psicanalitica per evadere i non detti: la licantropia da sempre ben si adatta alla natura del mezzo cinematografico, tant'è che il tema è stato sfruttato anche in tempi più recenti, sebbene con meno incisività: da segnalare Wolf – La belva è fuori (1994, Mike Nichols), Dog Soldiers (2002, Neil Marshall) e la saga Underworld (2003, Len Wiseman).
Well don't go around tonight
Well it's bound to take your life
There's a bad moon on the rise