Il Leone d'oro: insieme alla Palma (Cannes) e all'Orso (Berlino), uno dei premi più ambiti dagli autori cinematografici nell'ambito del circuito festivaliero internazionale. Ma quali sono i registi (non particolarmente numerosi, come scopriremo) che hanno vinto più Leoni d'oro?
Di seguito, il (breve) elenco!
André Cayatte
Scrittore, giornalista e regista francese diviso tra impegno civile e scintille di sensazionalismo, conquista due Leoni d'oro alla kermesse veneziana: il primo con Giustizia è fatta (1950), proiettato in anteprima all'11ª Mostra del Cinema e successivamente alla 1ª edizione del Festival di Berlino (si aggiudicò anche l'Orso d'oro), il secondo grazie a Il passaggio del Reno (1960), forse la sua opera filmica più compiuta.

Regista, sceneggiatore e produttore, di famiglia alto borghese (ceto che osteggia fortemente nonostante le origini), si aggiudica il Gran Premio della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia con Les Amants (1958) e con Fuoco fatuo (Le feu follet, 1963). Il primo trionfo alla kermesse (ex-aequo con Gloria – Una notte d'estate di John Cassavetes) avviene grazie ad Atlantic City, USA (1980): in una specularità non da poco tra meccanismi narrativi e spaccato sociale, il regista riesce a narrare con profondo disincanto, che non si fa mai amaro e che non ha paura del lieto fine, concentrandosi sulla concretezza dei gesti e dettagli, un'opera venata da “lirismo proletario” non privo di beffardo umorismo. Il 1987 è l'anno di Arrivederci ragazzi, racconto che è al tempo stesso parabola, bildungsroman, autobiografia e denuncia verso l'epoca del collaborazionismo francese. Attraverso una galleria di personaggi credibili e sfaccettati, resi nei dettagli anche nello spazio di poche scene, così come con indimenticabili “rituali”, il film trasporta lo spettatore in un luogo e un tempo insieme reali e fiabeschi. Proprio per questo il serpeggiare e poi l'esplodere della realtà bellica (e razzista) colpisce con rinnovata potenza, mostrandosi peraltro in tutta la sua insensata ottusità.

«La vita da operaio era dura e ho voluto cercare una scappatoia. Per questo sono entrato all'accademia, non perché avessi un qualche interesse specifico per il cinema». Dichiarazione quantomeno curiosa per uno dei registi più importanti del panorama cinematografico cinese, e non solo. Il suo Ju-Dou (1990) è la prima opera cinese che viene candidata all’Oscar per il miglior film straniero, mentre Lanterne rosse (1991) trionfa con il Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia. Il primo Leone d'oro arriva con La storia di Qiu Ju (1992), ultimo capitolo, quello più realistico e di maggior impegno civile, di un'ipotetica tetralogia sulla condizione femminile in Cina, iniziata con Sorgo rosso (1987) e proseguita con Ju Dou e Lanterne rosse. Non uno di meno (1999), dramma fortemente realistico costruito come un romanzo di formazione sullo sfondo di una Cina misera e rurale, vale a Yimou il secondo Leone d'oro.

Regista taiwanese la cui poetica ruota intorno al rapporto tra modernità e tradizione, ottiene la nomination all'Oscar e l'Orso d'oro al Festival di Berlino grazie a Il banchetto di nozze (1993). L'ascesa che segue è inarrestabile: tra i vari riconoscimenti due Leoni d'oro, il primo per lo straordinario I segreti di Brokeback Mountain (2005), delicata e struggente storia d'amore scevra da ogni tipo di retorica o cliché e impreziosita dalle interpretazioni di Heath Ledger e Jake Gyllenhaal. Secondo trionfo a Venezia appena due anni dopo con Lussuria – Seduzione e tradimento, nuovo film “scandalo”, dal contenuto però più convenzionale: in un affresco di ampio respiro, sfarzoso e accuratissimo nei dettagli, Lee instilla un racconto di iniziazione sessuale ad alto tasso di erotismo, dove gli amplessi non sono solo funzionali alla storia ma il punto focale di un ritratto delle passioni umane. Anche se il rischio di manierismo è dietro l'angolo.