Qualcuno volò sul nido del cuculo e non solo: 10 grandi film ambientati negli ospedali psichiatrici
16/11/2020
Cinema e psichiatria: un binomio che nel corso della storia della settima arte ha dato frutti notevoli, regalando opere memorabili, a partire dal capolavoro di Robert Wiene, Il gabinetto del dottor Caligari. Sono moltissime le opere che hanno affrontato il tema della malattia mentale, ma per concentrarsi sui film ambientati negli ospedali psichiatrici ne abbiamo scelte 10, in ordine cronologico, vista la ricorrenza dei 45 anni dall'uscita di Qualcuno volò sul nido del cuculo:
1) Il gabinetto del dottor Caligari (Robert Wiene, 1920)

La struttura narrativa è innovativa e di straordinaria importanza, grazie al lungo flashback e alla parte conclusiva in manicomio, che ribalta le “certezze” costruite fino a quel momento. Realtà e allucinazione si mescolano in uno dei primi horror psicologici usciti al cinema e, in assoluto, in uno dei migliori di tutti i tempi. Dalla sceneggiatura (Hans Janowitz e Carl Mayer) ai costumi (Walter Reimann), tutto funziona alla perfezione, compreso il terzetto di attori (Feher-Krauss-Veidt) credibile e in splendida forma. Il regista Robert Wiene, purtroppo, nella sua carriera non si avvicinerà mai più a simili risultati.
2) Improvvisamente l'estate scorsa (Joseph L. Mankiewicz, 1959)

Il dramma giocato prevalentemente su una tensione di carattere psicologico, su una atmosfera torbida e angosciosa e sullo svelamento di una realtà ben più complessa di quanto si palesi in apparenza si fa progressivamente un vero e proprio racconto dell'orrore che illustra la mostruosità e l'abiezione umana in tutte le sue forme, specie nella volontà disperata e violenta di censurare e rimuovere tutto ciò considerato socialmente sconveniente.
3) Il corridoio della paura (Samuel Fuller, 1963)

In una spirale di tensione straordinaria, il film mette moltissima carne al fuoco, da una rappresentazione spregiudicata della scienza medica a temi quali la segregazione razziale, le devianze sessuali e i traumi della guerra: tutti gli ingredienti sono equilibrati alla perfezione e il risultato è a dir poco impeccabile. Fuller esplora con precisione chirurgica i meandri della follia ma soprattutto le tare della civiltà americana, regalando meraviglie visive come gli inserti a colori e la scena allucinata del prefinale.
4) Titicut Follies (Frederick Wiseman, 1967)

Wiseman realizza una pellicola preziosa, potente, sconvolgente e assolutamente innovativa nel suo genere: il regista infatti si limita (per così dire) a riprendere la realtà in cui si immerge senza minimamente provocarla a suo favore o commentarla. Esattamente come una mosca invisibile e silenziosa, la cinepresa si muove nei corridoi, nelle camere dei pazienti, insinuandosi nei discorsi tra gli infermieri e ritraendo i pazienti con assoluta oggettività. Il film è dunque un vero e proprio documento in cui un mondo nascosto ai più (ricordiamo che, ai tempi dell'uscita del lavoro, i manicomi erano ancora chiusi segretamente) viene a galla in tutta la sua violenza.
5) Qualcuno volò sul nido del cuculo (Miloš Forman, 1975)

Qualcuno volò sul nido del cuculo è uno dei più toccanti e sconvolgenti film sulla malattia mentale e sulla realtà aberrante dei manicomi negli anni Settanta, quando pratiche barbare come elettroshock e lobotomia erano considerate di ordinaria amministrazione. Dosando perfettamente gli ingredienti, con un'alternanza di furore, goliardia e tragedia di raro equilibrio, il racconto di McMurphy e compagni è una testimonianza di umanità vibrante, disperata eppure splendida.
6) L'esercito delle 12 scimmie (Terry Gilliam, 1995)

Angosciante esempio di fantascienza filosofica e perfetta incarnazione delle paranoie da “pre-Millennium Bug”, L'esercito delle 12 scimmie rappresenta uno dei più interessanti esempi di cinema mainstream di fine Novecento, tra bisogno di intrattenimento e ampie concessioni alla poetica del regista. Suggestivo dal primo all'ultimo minuto, è un lungometraggio estremamente affascinante, godibile e profondo al tempo stesso, in cui ogni sequenza è messa al posto giusto per dare vita a un compiuto disegno d'insieme.
7) Ragazze interrotte (James Mangold, 1999)

Liberamente tratto dal diario di Susanna Kaisen, un dramma incentrato su personalità alla deriva che lottano per la conquista di un'identità perduta. James Mangold (anche sceneggiatore con Lisa Loomer e Anna Hamilton Phelan) alterna una dimensione corale (il gruppo di disadattate che circondano la protagonista) all'iter di maturazione di Susanna, impegnata ad acquisire una nuova e sommessa consapevolezza.
8) Shutter Island (Martin Scorsese, 2010)

La suspense e l'inquietudine che permeano ogni scena sono costruite in modo magistrale, anche se è decisamente troppa la carne al fuoco (il clima soffocante della Guerra Fredda, le teorie del complotto, l'evocazione dei drammi della Seconda guerra mondiale). Tuttavia, il colpo di scena finale si lascia intuire con facilità e, fin troppo evidentemente, l'isola è metafora della mente umana e dei suoi abissi più cupi e insondabili.
9) Til Madness Do Us Part (Wang Bing, 2013)


Il documentarista cinese si è spinto oltre la liceità stessa dell'atto cinematografico, insinuandosi con la sua macchina da presa nei meandri di un ospedale psichiatrico i cui ricoverati, più simili a prigionieri di guerra, subiscono umiliazioni igieniche e morali, latrano come animali abbandonati, piangono come reietti dimenticati da Dio e dal mondo quali sono. Una visione destabilizzante, un gesto cinematografico gigantesco e definitivo, in cui l'apice dell'orrore coincide con la massima tensione poetica, a riprova della grandezza di un cineasta che dosa con maestria gli ossimori e firma di fatto il suo capolavoro.
10) Joker (Todd Philips, 2019)

Attingendo a piene mani al cinema di rottura americano degli anni ’70 e, in particolare, al sentimento di disillusione alla base del cinema della New Hollywood, il film destabilizza, con inesorabile progressione drammatica, mantenendo sempre perfettamente il focus sul suo debordante protagonista, reietto senza via d’uscita, escluso da ogni forma di relazione sociale in un mondo di lupi famelici. Discesa infernale di vibrante potenza, il film è una moderna rielaborazione del Taxi Driver (1976) di scorsesiana memoria, non solo per la presenza di Robert De Niro, istrionico re per una notte omologato al cinismo circostante.
1) Il gabinetto del dottor Caligari (Robert Wiene, 1920)

La struttura narrativa è innovativa e di straordinaria importanza, grazie al lungo flashback e alla parte conclusiva in manicomio, che ribalta le “certezze” costruite fino a quel momento. Realtà e allucinazione si mescolano in uno dei primi horror psicologici usciti al cinema e, in assoluto, in uno dei migliori di tutti i tempi. Dalla sceneggiatura (Hans Janowitz e Carl Mayer) ai costumi (Walter Reimann), tutto funziona alla perfezione, compreso il terzetto di attori (Feher-Krauss-Veidt) credibile e in splendida forma. Il regista Robert Wiene, purtroppo, nella sua carriera non si avvicinerà mai più a simili risultati.
2) Improvvisamente l'estate scorsa (Joseph L. Mankiewicz, 1959)

Il dramma giocato prevalentemente su una tensione di carattere psicologico, su una atmosfera torbida e angosciosa e sullo svelamento di una realtà ben più complessa di quanto si palesi in apparenza si fa progressivamente un vero e proprio racconto dell'orrore che illustra la mostruosità e l'abiezione umana in tutte le sue forme, specie nella volontà disperata e violenta di censurare e rimuovere tutto ciò considerato socialmente sconveniente.
3) Il corridoio della paura (Samuel Fuller, 1963)

In una spirale di tensione straordinaria, il film mette moltissima carne al fuoco, da una rappresentazione spregiudicata della scienza medica a temi quali la segregazione razziale, le devianze sessuali e i traumi della guerra: tutti gli ingredienti sono equilibrati alla perfezione e il risultato è a dir poco impeccabile. Fuller esplora con precisione chirurgica i meandri della follia ma soprattutto le tare della civiltà americana, regalando meraviglie visive come gli inserti a colori e la scena allucinata del prefinale.
4) Titicut Follies (Frederick Wiseman, 1967)

Wiseman realizza una pellicola preziosa, potente, sconvolgente e assolutamente innovativa nel suo genere: il regista infatti si limita (per così dire) a riprendere la realtà in cui si immerge senza minimamente provocarla a suo favore o commentarla. Esattamente come una mosca invisibile e silenziosa, la cinepresa si muove nei corridoi, nelle camere dei pazienti, insinuandosi nei discorsi tra gli infermieri e ritraendo i pazienti con assoluta oggettività. Il film è dunque un vero e proprio documento in cui un mondo nascosto ai più (ricordiamo che, ai tempi dell'uscita del lavoro, i manicomi erano ancora chiusi segretamente) viene a galla in tutta la sua violenza.
5) Qualcuno volò sul nido del cuculo (Miloš Forman, 1975)

Qualcuno volò sul nido del cuculo è uno dei più toccanti e sconvolgenti film sulla malattia mentale e sulla realtà aberrante dei manicomi negli anni Settanta, quando pratiche barbare come elettroshock e lobotomia erano considerate di ordinaria amministrazione. Dosando perfettamente gli ingredienti, con un'alternanza di furore, goliardia e tragedia di raro equilibrio, il racconto di McMurphy e compagni è una testimonianza di umanità vibrante, disperata eppure splendida.
6) L'esercito delle 12 scimmie (Terry Gilliam, 1995)

Angosciante esempio di fantascienza filosofica e perfetta incarnazione delle paranoie da “pre-Millennium Bug”, L'esercito delle 12 scimmie rappresenta uno dei più interessanti esempi di cinema mainstream di fine Novecento, tra bisogno di intrattenimento e ampie concessioni alla poetica del regista. Suggestivo dal primo all'ultimo minuto, è un lungometraggio estremamente affascinante, godibile e profondo al tempo stesso, in cui ogni sequenza è messa al posto giusto per dare vita a un compiuto disegno d'insieme.
7) Ragazze interrotte (James Mangold, 1999)

Liberamente tratto dal diario di Susanna Kaisen, un dramma incentrato su personalità alla deriva che lottano per la conquista di un'identità perduta. James Mangold (anche sceneggiatore con Lisa Loomer e Anna Hamilton Phelan) alterna una dimensione corale (il gruppo di disadattate che circondano la protagonista) all'iter di maturazione di Susanna, impegnata ad acquisire una nuova e sommessa consapevolezza.
8) Shutter Island (Martin Scorsese, 2010)

La suspense e l'inquietudine che permeano ogni scena sono costruite in modo magistrale, anche se è decisamente troppa la carne al fuoco (il clima soffocante della Guerra Fredda, le teorie del complotto, l'evocazione dei drammi della Seconda guerra mondiale). Tuttavia, il colpo di scena finale si lascia intuire con facilità e, fin troppo evidentemente, l'isola è metafora della mente umana e dei suoi abissi più cupi e insondabili.
9) Til Madness Do Us Part (Wang Bing, 2013)

Il documentarista cinese si è spinto oltre la liceità stessa dell'atto cinematografico, insinuandosi con la sua macchina da presa nei meandri di un ospedale psichiatrico i cui ricoverati, più simili a prigionieri di guerra, subiscono umiliazioni igieniche e morali, latrano come animali abbandonati, piangono come reietti dimenticati da Dio e dal mondo quali sono. Una visione destabilizzante, un gesto cinematografico gigantesco e definitivo, in cui l'apice dell'orrore coincide con la massima tensione poetica, a riprova della grandezza di un cineasta che dosa con maestria gli ossimori e firma di fatto il suo capolavoro.
10) Joker (Todd Philips, 2019)

Attingendo a piene mani al cinema di rottura americano degli anni ’70 e, in particolare, al sentimento di disillusione alla base del cinema della New Hollywood, il film destabilizza, con inesorabile progressione drammatica, mantenendo sempre perfettamente il focus sul suo debordante protagonista, reietto senza via d’uscita, escluso da ogni forma di relazione sociale in un mondo di lupi famelici. Discesa infernale di vibrante potenza, il film è una moderna rielaborazione del Taxi Driver (1976) di scorsesiana memoria, non solo per la presenza di Robert De Niro, istrionico re per una notte omologato al cinismo circostante.