"Scatola nera": la nostra sulla prima crime-comedy italiana, tra il lascito seminale di "Boris" e la meta-teatralità
20/12/2019

Tobia (Alessandro Betti), il capocomico di una compagnia teatrale, decide di rimettere in produzione una pièce comica che lui stesso aveva scritto e interpretato diversi anni prima. In questo progetto riesce a coinvolgere alcuni membri della sua storica compagnia. Hanno solo dieci giorni a disposizione prima dell’esordio, e decidono perciò di ritirarsi a provare in un isolato casale di campagna.


È lo spunto da cui muove Scatola nera, serie italiana approdata su Amazon Prime Video lo scorso 25 novembre. Un prodotto dal taglio alieno e inusuale, diretto da Elia Castangia con alla sceneggiatura l’attore Alessandro Betti (in molti lo ricorderanno nello show comico in presa diretta Buona la prima! di Ale e Franz, andato in onda su Italia 1) e Roberto Bosatra.



In una sorta di autoriflessivo incrocio tra il lascito seminale della serie Boris e la dimensione meta-riflessiva del teatro nel teatro, Scatola nera, nell’arco dei suoi otto episodi, mette in scena le peripezie sentimentali e i buffi e tragici drammi quotidiani di altrettanti personaggi, con questo numero chiamato a incarnare una doppiezza proiettata verso malesseri infiniti e infinitesimali che dovrebbero essere, sulla carta, linfa vitale per tutta l’operazione.


La commedia del titolo, che è anche il nome dello spettacolo da portare sul palcoscenico, è un dispositivo attraverso il quale esplorare le paturnie di una generazione di trentenni e quarantenni ostaggio di una maturazione fatalmente monca e fallita, che si presenta ai nostri occhi in un coacervo di fallimenti e ridicolaggini, di stories su Instagram a misura di guardoni e maniaci, con un piglio surreale che coniuga conigli e sedute spiritiche, amorosi dissensi e slittamenti continui tra persone e personaggi, in un'overdose (a tratti realmente intossicante) di maschere e mascheramenti.


Queste ambizioni, non indifferenti nonostante una quantitativo forse eccessivo di comicità cringy e frangenti che somigliano a una parodia scalcagnata e surreale di tante fiction televisive di medio-basso livello, sono purtroppo gravate da un’atmosfera da teatrino off di second’ordine, come se le insicurezze e i difetti dei caratteri proposti finissero col cannibalizzare anche la scrittura e le interpretazioni, con esiti in molti casi controproducenti.



Un’oscillazione - o forse sarebbe più azzeccato parlare di rispecchiamento - indubbiamente interessante ma anche un’arma a doppio taglio, che produce non poche irresolutezze e porta purtroppo Scatola nera a ripiegarsi su se stessa e a rannicchiarsi intorno a un loop autistico che gira maldestramente a vuoto, in maniera tanto fastidiosa quanto poco illuminante sul piano delle critiche sociali e di costume, più pennellate e abbozzate che proposte con urgenza sferzante.


Nonostante tali marcate zavorre, Scatola nera è una serie che si osserva con simpatia un po’ sghemba, come se si assistesse a una versione survoltata e antologica, nella quale ogni episodio si sofferma su un singolo personaggio, di Ma che colpa abbiamo noi di Carlo Verdone. Con la sostanziale differenza che la psicoanalisi, in questo caso, è veicolata in maniera implicita e sotterranea dall’esperienza performativa della recitazione, dai suoi inciampi e dalle sue miserie, indissolubilmente legati a una mancanza di talento e a un caos emotivo e morale a tratti sconcertante e da pelle d’oca.


Davide Stanzione

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