Sogni e ossessioni del cinema di Satoshi Kon: realtà e finzione, solitudine, fantasmi
25/12/2020
Dopo i primi lavori in collaborazione con Katsuhiro ÅŒtomo e Mamoru Oshii, con soli quattro film (Perfect Blue, Millenium Actress, Tokyo Godfathers e Paprika – Sognando un sogno) e una serie (Paranoia Agent), Satoshi Kon è riuscito ad imporsi come maestro dell’animazione giapponese.
Scomparso prematuramente all’età di 47 anni, Kon ha reso ogni sua opera inconfondibile grazie, tra le altre cose, a tematiche costanti ma non per questo ripetitive. In occasione dell’arrivo di Paranoia Agent sulla piattaforma Amazon Prime Video, che naturalmente consigliamo di vedere, abbiamo deciso di cogliere l’occasione per parlare di tre elementi fondamentali della sua filosofia d’autore, concentrandoci sui suoi primi tre lungometraggi e sulla sua serie TV.
Realtà e finzione
“Nessuna illusione si concretizza in realtà”. È una frase che torna molto spesso in Perfect Blue, folgorante esordio di Kon e opera in cui il tema della lotta fra realtà e finzione acquista un’importanza primaria. Con il passare dei minuti, il percorso della giovane Mima, da cantante idol ad attrice, diventa sempre più criptico ed inquietante portandola a dubitare anche della sua stessa identità; internet e il set televisivo sono i due luoghi di finzione in cui si rispecchiano le preoccupazioni della protagonista, due ambienti in cui il concetto di “finzione” è fondativo. Anche gli spettatori, però, fanno parte del gioco: Kon li conduce in un mondo sinistro e pericoloso in cui orientarsi è tremendamente complicato. Non a caso, la “soluzione” per comprendere il mistero della storia di Mima ce la dà la serie che essa stessa gira nel film, un tocco raffinato con cui Kon rende ancora più ambigua ed aperta la lettura del suo film. Inoltre il regista ha dimostrato di aver compreso già 23 anni fa le potenzialità e i rischi di internet: furti di identità, fake news e azioni virtuali che hanno conseguenze nella realtà sono tutti scenari profetizzati dal regista nel 1997 che oggi conosciamo bene.
Un discorso simile vale per Paranoia Agent: nell’unica serie da lui diretta la dimensione irreale assume il doppio ruolo di culla e minaccia. Senza fare troppi spoiler, in Paranoia Agent la tentazione di lasciarsi andare verso ciò che non è concreto trascina i personaggi (e il Giappone intero) in una spirale di violenza incontrollabile in cui i giovani quanto gli adulti sono in pericolo. Non a caso il villain della serie, Shonen Bat, è il risultato di una società distratta e incapace di fare i conti con se stessa.
Ma questa lotta non sempre porta a scenari thriller/horror. Con Millennium Actress, suo secondo lungometraggio, Kon sfrutta questo tema per unire ricordi distorti e triste realtà abbandonando coscientemente una linearità narrativa per lasciar spazio ad immagini e potenti suggestioni. Vera e propria dichiarazione d’amore al cinema giapponese e ai suoi generi più importanti, Millennium Actress è un’opera in cui ciò che succede è inspiegabile e affascinante: Genya e KyÅji interagiscono con i ricordi di Chiyoko mentre girano un documentario sulla sua vita. La settima arte diventa qui contenitore e contenuto. D’altronde, non è proprio il cinema l’arte che più sfacciatamente porta con sé il binomio finzione/realtà?

Solitudine
Ad unire i personaggi dell’universo di Kon c’è un filo rosso meno esplicito ma altrettanto importante, da Mima di Perfect Blue a Chiyoko di Millennium Actress, passando per i tre protagonisti di Tokyo Godfathers: tutte anime legate da una profonda solitudine.
Kon ambienta Paranoia Agent nella Tokyo del nuovo millennio e nella prima parte della serie dedica ogni puntata ad un personaggio diverso: ragazzini mitomani, aspiranti suicidi e designer in crisi sono solo alcuni degli impietosi prodotti della società giapponese. La solitudine sfocia inevitabilmente in una grande senso di smarrimento, ed è proprio su questo che ragiona la serie: Shonen Bat attacca proprio le persone ai limiti e senza via d’uscita, tirando fuori i lati oscuri e le più profonde paure di ognuno. I ritmi asfissianti e le aspettative sociali portano allo sbando le persone più fragili proprio come accade a Tsukiko o alla Mima di Perfect Blue. Nonostante siano molto diverse, le due sono accomunate da una forte pressione sociale su di loro e anche se apparentemente sembrano appagate dai loro successi – l’una nel campo del design e l’altra nella musica – vivono una vita solitaria piena di dubbi e di angosce; le loro paure creano mostri ed entrambe sembrano costantemente in un’altra dimensione rispetto alla nostra.
E a Satoshi Kon sembra stare decisamente più simpatico chi da quella società decide di alienarsi come i tre amabili protagonisti di Tokyo Godfathers. Hana, Gin e Miyuki sono tre senzatetto che vivono dove capita in una Tokyo brulicante di vita e di modernità; in questo terzo lungometraggio – molto consigliato anche come film natalizio – il racconto si concentra proprio su queste tre persone in fuga da qualcosa. Con una vita ai margini, essi sono immuni dalle ansie della città e a differenza di altri protagonisti dei film di Kon sono fondamentalmente equilibrati, non a caso questo è l’unico film in il regista abbandona riflessioni metacinematografiche e sequenze oniriche.

Fantasmi in Giappone
L’episodio 8 di Paranoia Agent è uno dei più toccanti dell’intera serie: tre sconosciuti, dopo essersi accordati su internet, decidono di suicidarsi insieme. Sono un anziano signore, un giovane uomo ed una bambina, tre solitari (tanto per cambiare) pronti a farla finita nel pieno di una Tokyo claustrofobica che sembra non accorgersi di loro. Attraverso le piccole storie da lui raccontate, Kon è riuscito a mostrare lati oscuri e preoccupanti del Giappone contemporaneo; il Paese del Sol Levante visto dai suoi occhi è un luogo contraddittorio popolato da spettri in cui tutti sembrano ossessionati dal lavoro e dalla produttività. Più che personaggi, in scena ci sono fantasmi in continua lotta con demoni ancora più grandi: traumi passati e feticismi sessuali aleggiano in un paese che finge stia andando tutto bene. Al contrario, più vengono ignorati, più quei fantasmi diventano feroci.
A fare da sfondo alle storie di Kon è molto spesso la città. Simbolo del progresso e luogo in cui la tecnologia è sempre più importante (il computer in Perfect Blue o i moltissimi telefonini di Paranoia Agent), ma che qui diventa una grande giungla. La città è un luogo immenso ed indecifrabile in cui a dominare è il caos: incontri, scoperte e rivelazioni sembrano legatissimi al fato e alla casualità.

Andrea Porta
Scomparso prematuramente all’età di 47 anni, Kon ha reso ogni sua opera inconfondibile grazie, tra le altre cose, a tematiche costanti ma non per questo ripetitive. In occasione dell’arrivo di Paranoia Agent sulla piattaforma Amazon Prime Video, che naturalmente consigliamo di vedere, abbiamo deciso di cogliere l’occasione per parlare di tre elementi fondamentali della sua filosofia d’autore, concentrandoci sui suoi primi tre lungometraggi e sulla sua serie TV.
Realtà e finzione
“Nessuna illusione si concretizza in realtà”. È una frase che torna molto spesso in Perfect Blue, folgorante esordio di Kon e opera in cui il tema della lotta fra realtà e finzione acquista un’importanza primaria. Con il passare dei minuti, il percorso della giovane Mima, da cantante idol ad attrice, diventa sempre più criptico ed inquietante portandola a dubitare anche della sua stessa identità; internet e il set televisivo sono i due luoghi di finzione in cui si rispecchiano le preoccupazioni della protagonista, due ambienti in cui il concetto di “finzione” è fondativo. Anche gli spettatori, però, fanno parte del gioco: Kon li conduce in un mondo sinistro e pericoloso in cui orientarsi è tremendamente complicato. Non a caso, la “soluzione” per comprendere il mistero della storia di Mima ce la dà la serie che essa stessa gira nel film, un tocco raffinato con cui Kon rende ancora più ambigua ed aperta la lettura del suo film. Inoltre il regista ha dimostrato di aver compreso già 23 anni fa le potenzialità e i rischi di internet: furti di identità, fake news e azioni virtuali che hanno conseguenze nella realtà sono tutti scenari profetizzati dal regista nel 1997 che oggi conosciamo bene.
Un discorso simile vale per Paranoia Agent: nell’unica serie da lui diretta la dimensione irreale assume il doppio ruolo di culla e minaccia. Senza fare troppi spoiler, in Paranoia Agent la tentazione di lasciarsi andare verso ciò che non è concreto trascina i personaggi (e il Giappone intero) in una spirale di violenza incontrollabile in cui i giovani quanto gli adulti sono in pericolo. Non a caso il villain della serie, Shonen Bat, è il risultato di una società distratta e incapace di fare i conti con se stessa.
Ma questa lotta non sempre porta a scenari thriller/horror. Con Millennium Actress, suo secondo lungometraggio, Kon sfrutta questo tema per unire ricordi distorti e triste realtà abbandonando coscientemente una linearità narrativa per lasciar spazio ad immagini e potenti suggestioni. Vera e propria dichiarazione d’amore al cinema giapponese e ai suoi generi più importanti, Millennium Actress è un’opera in cui ciò che succede è inspiegabile e affascinante: Genya e KyÅji interagiscono con i ricordi di Chiyoko mentre girano un documentario sulla sua vita. La settima arte diventa qui contenitore e contenuto. D’altronde, non è proprio il cinema l’arte che più sfacciatamente porta con sé il binomio finzione/realtà?
Solitudine
Ad unire i personaggi dell’universo di Kon c’è un filo rosso meno esplicito ma altrettanto importante, da Mima di Perfect Blue a Chiyoko di Millennium Actress, passando per i tre protagonisti di Tokyo Godfathers: tutte anime legate da una profonda solitudine.
Kon ambienta Paranoia Agent nella Tokyo del nuovo millennio e nella prima parte della serie dedica ogni puntata ad un personaggio diverso: ragazzini mitomani, aspiranti suicidi e designer in crisi sono solo alcuni degli impietosi prodotti della società giapponese. La solitudine sfocia inevitabilmente in una grande senso di smarrimento, ed è proprio su questo che ragiona la serie: Shonen Bat attacca proprio le persone ai limiti e senza via d’uscita, tirando fuori i lati oscuri e le più profonde paure di ognuno. I ritmi asfissianti e le aspettative sociali portano allo sbando le persone più fragili proprio come accade a Tsukiko o alla Mima di Perfect Blue. Nonostante siano molto diverse, le due sono accomunate da una forte pressione sociale su di loro e anche se apparentemente sembrano appagate dai loro successi – l’una nel campo del design e l’altra nella musica – vivono una vita solitaria piena di dubbi e di angosce; le loro paure creano mostri ed entrambe sembrano costantemente in un’altra dimensione rispetto alla nostra.
E a Satoshi Kon sembra stare decisamente più simpatico chi da quella società decide di alienarsi come i tre amabili protagonisti di Tokyo Godfathers. Hana, Gin e Miyuki sono tre senzatetto che vivono dove capita in una Tokyo brulicante di vita e di modernità; in questo terzo lungometraggio – molto consigliato anche come film natalizio – il racconto si concentra proprio su queste tre persone in fuga da qualcosa. Con una vita ai margini, essi sono immuni dalle ansie della città e a differenza di altri protagonisti dei film di Kon sono fondamentalmente equilibrati, non a caso questo è l’unico film in il regista abbandona riflessioni metacinematografiche e sequenze oniriche.
Fantasmi in Giappone
L’episodio 8 di Paranoia Agent è uno dei più toccanti dell’intera serie: tre sconosciuti, dopo essersi accordati su internet, decidono di suicidarsi insieme. Sono un anziano signore, un giovane uomo ed una bambina, tre solitari (tanto per cambiare) pronti a farla finita nel pieno di una Tokyo claustrofobica che sembra non accorgersi di loro. Attraverso le piccole storie da lui raccontate, Kon è riuscito a mostrare lati oscuri e preoccupanti del Giappone contemporaneo; il Paese del Sol Levante visto dai suoi occhi è un luogo contraddittorio popolato da spettri in cui tutti sembrano ossessionati dal lavoro e dalla produttività. Più che personaggi, in scena ci sono fantasmi in continua lotta con demoni ancora più grandi: traumi passati e feticismi sessuali aleggiano in un paese che finge stia andando tutto bene. Al contrario, più vengono ignorati, più quei fantasmi diventano feroci.
A fare da sfondo alle storie di Kon è molto spesso la città. Simbolo del progresso e luogo in cui la tecnologia è sempre più importante (il computer in Perfect Blue o i moltissimi telefonini di Paranoia Agent), ma che qui diventa una grande giungla. La città è un luogo immenso ed indecifrabile in cui a dominare è il caos: incontri, scoperte e rivelazioni sembrano legatissimi al fato e alla casualità.
Andrea Porta