Welcome to Derry: Andy Muschietti e Pennywise riportano la paura nel Maine
24/10/2025

Quando nel 2017 Andy Muschietti presentò al mondo il suo It, in molti restarono dubbiosi e scettici, per i motivi più variegati: una nuova trasposizione di un’opera (o dell’Opera) di Stephen King, il confronto con l’iconico Pennywise di Tim Curry, l’idea che la miniserie che negli anni ’90 aveva terrorizzato un’intera generazione fosse inarrivabile. Eppure Muschietti è riuscito in un’operazione non semplice: riportare in vita Pennywise (straordinario Bill Skarsgård), esattamente 27 anni dopo la sua ultima apparizione (una scelta quantomai simbolica), optando per una trasposizione non del tutto fedele, considerando il fatto che il Club dei Perdenti di King muove i primi passi nel 1958 mentre i ragazzi di Muschietti incontrano per la prima volta la creatura nel 1989.

L’idea di dividere il film in due capitoli nettamente separati, inoltre, è estremamente vincente: il film del 2017 racconta l’infanzia e l’adolescenza dei protagonisti, mentre It – Capitolo due (2019) si concentra sulla loro età adulta. Ne risulta estremamente kinghiano il fatto che proprio il primo film sia quello riuscito meglio, sia a livello visivo che narrativo: i bambini e i ragazzi, con la loro energia e il loro sguardo unico verso il domani, sono sempre stati i veri protagonisti di molte opere di King. Basti pensare a Stand By Me – Ricordo di un’estate, di Rob Reiner, tratto dal racconto The Body, in Stagioni Diverse: nel primo capitolo si respira esattamente quell’atmosfera quando i Perdenti si trovano assieme al lago, prima giocando in acqua spensierati e successivamente tutti incantati dalla bellezza di Bev, con la goffaggine e gli occhi che solo un ragazzino di 12 anni può regalare. Non si può non evidenziare un’influenza netta da parte di Stranger Things, soprattuto a livello estetico – al di là della presenza di Finn Wolfhardt – e nel modo in cui vengono raccontati gli anni a cavallo tra gli ’80 e ’90 con tutto il carico di nostalgia capaci di portare con sé.

In questo senso è come se It prendesse davvero la forma e l’anima di quel che probabilmente King voleva trasmettere: non un romanzo di paura, ma sulla paura. Ed è lo stesso motivo per cui le aspettative sul secondo capitolo sono state abbastanza disattese: era lecito attendersi una metaforica trasposizione delle nostre paure contemporanee, essendo ambientato ai giorni nostri, ma così non è stato. Poche le sequenze memorabili della seconda parte, a differenza della precedente dove sono invece molteplici: forse, su tutte, il simbolico rubinetto grondante di sangue nel bagno di una Beverly non più bambina ma che, a causa di suo padre, ha da tempo perso la sua innocenza.

Ma cosa accadde 27 anni prima? È il 1962, anno in cui è ambientata la serie Welcome to Derry, in arrivo su Sky dal 26 ottobre, che gioca (anche grazie a dei poster deliziosi) con l’immaginario tipico degli anni ’60, in stile Happy Days o Pleasantiville, anche se sappiamo bene che di quell’atmosfera ci sarà ben poco, smascherando una facciata ipocrita che spesso accompagna la narrazione dell’epoca. La creatura ci mette poco a fare capolino, attraverso delle fotografie (già viste nel secondo capitolo), a una nebbia che richiama inevitabilmente The Mist, di Frank Darabont (un regista che ha dimostrato di saper adattare come pochi le pagine di Stephen King),e che porta il Male a influenzare una cittadina intera, soprattutto gli adulti, anime corrotte al contrario dell’innocenza infantile. Ma The Mist non è l’unico riferimento alle opere di King, a ben guardare dal trailer: la prigione di Shawshank (Il miglio verde; Le ali della libertà) e Dick Halloran (colui che spiegò a Danny i suoi poteri in The Shining), ma anche la presenza forte dei coniugi Hanlon, che altri non sono che i nonni di Mike, membro del Club dei Perdenti lascia pensare che la tematica del razzismo possa essere centrale.

Cosa aspettarsi, dunque, dalla serie? Bill Skarsgård torna a vestire i panni di It, ed è interessante notare come per i soldati prenda la forma dello Zio Sam: I want you assume quindi un duplice significato, meno elettivo e ben più lugubre. L’origine di come il Male si sia impossessato della cittadina del Maine è stata raccontata sommariamente nei lungometraggi, ma questa potrebbe essere l’occasione per parlarne più ad ampio respiro, anche con un occhio alla contemporaneità e alla crudeltà che spadroneggia nelle notizie di cronaca ogni giorno. Se così non fosse, probabilmente ci si troverebbe di fronte ad un’occasione sprecata e a un mero utilizzo superficiale del personaggio e dell’immaginario di Derry solo a fini commerciali. Ed è la paura più grande che ogni appassionato di Stephen King possa avere.

Lorenzo Bianchi


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