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Chloé Zhao: il volto che si cela dietro la macchina da presa

Con Nomadland ha conquistato il Leone d'Oro alla 77. Mostra del Cinema di Venezia, due Golden Globe (miglior film drammatico e miglior regia) e ora è quotatissima nella corsa agli Oscar: Chloé Zhao è senza dubbio una delle registe oggi più acclamate. 




Lunedì saranno annunciate le candidature agli Academy Awards 2021: nell'attesa, vi riproponiamo il nostro speciale dedicato alla cineasta cinese, redatto a pochi giorni dalla conclusione della Mostra del Cinema di Venezia.

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Si è da poco conclusa la 77ª Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia, edizione che, come ormai di consueto, non è stata esente dalle polemiche innescate da chi, insoddisfatto dalle premiazioni finali, parteggiava per altre pellicole.

Tralasciando i vari malumori, che ormai fanno parte anche dello show che condisce le atmosfere festivaliere, a spuntarla è stata, con Nomadland, la trentottenne Chloé Zhao, regista dalle origini cinesi trasferitasi poi negli Stati Uniti per gli studi universitari. Chloé è la quarta regista nella storia del festival ad aggiudicarsi il Leone d’Oro (non accadeva da 10 anni, quando nel 2010 fu premiata Sofia Coppola con il suo Somewhere).



Grazie a un collegamento via zoom da Los Angeles abbiamo avuto l’occasione di conoscere un po’ meglio il volto che si cela dietro la macchina da presa e che, ormai già da qualche anno, aveva iniziato a far parlare di sé. La regista si presenta come uno spirito libero che, sentitosi imbrigliato per troppo tempo nei folli ritmi imposti dalla Grande Mela, ha sentito la necessità di ricongiungersi con il suo Io in luoghi come le Badlands, terre ancora incontaminate dalla tracotante irruenza della società. In questa breve presentazione che l’artista fa di sé non fatichiamo di certo a ritrovare lo sguardo con cui ha dato luce ai suoi film, pellicole in cui emerge l’animo nomade e indipendente della Zhao e in cui, a eccezione di Frances McDormand in Nomadland, sono sempre interpreti non professionisti a calcare la scena.

Songs My Brothers Taught Me (2015) è il film d’esordio della regista, presentato al Sundance Film Festival del 2015 e successivamente proiettato nella sezione Quinzaine des Réalisateurs del festival di Cannes. Già in questa opera prima ritroviamo tratti caratteristici del cinema della Zhao, a partire dagli interpreti non professionisti che sono chiamati a vestire i loro stessi panni, quelli di un fratello e sua sorella appartenenti alla tribù dei Sioux; il tutto dà vita a un lungometraggio in cui è labile il confine tra documentario e finzione.



Con The Rider (2017) il nome della regista inizia a circolare con maggiore insistenza nei corridoi dei festival. Ha ben poco di cinese questo film che rientra pienamente nei canoni del cinema indie americano, descrivendo con crudezza e forte realismo il mondo della provincia americana. Al centro della trama non c’è solo il cowboy in cerca di una (nuova?) identità, ma una famiglia disfunzionale che cerca di sopravvivere in un universo in cui il rodeo appare essere come una delle flebili luci di speranza per potersi ritagliare un’esistenza migliore della norma.




Nomadland (2020) è invece la pellicola che ha incastonato il nome della Zhao nella storia del Leone d’Oro. Altro racconto prettamente americano che prende spunto dal romanzo omonimo di Jessica Bruder per raccontare l’esistenza di una donna rimasta sola, che potrebbe trovare proprio nel contatto con altri “nomadi” come lei una nuova ragione di vita.




Chloé Zhao, messasi in luce come talento cristallino del cinema indie, è in rampa di lancio anche con un tipo di cinema più di intrattenimento (il suo cinefumetto Eternals è in fase di post-produzione) e non dovrebbe ormai rappresentare una sorpresa se il nome della regista pechinese venisse preso in considerazione anche da una platea dal palato certamente più ad ampio raggio come quella degli Oscar.

Simone Manciulli

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