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Cinema e contestazione: i migliori film sul Sessantotto

People try to put us d-down (talkin' 'bout my generation)
Just because we get around (talkin' 'bout my generation)
Things they do look awful c-c-cold (talkin' 'bout my generation)
I hope I die before I get old (talkin' 'bout my generation)


«La rivoluzione del ’68 ha avuto un risultato estetico, non politico»: parole di Olivier Assayas, che stigmatizza così un fenomeno socio-culturale che ha cambiato per sempre la Storia. Perché la contestazione contro l'ideologia dominante, tra sogno e utopia, ha avuto il potere di segnare una svolta epocale anche e soprattutto nell'arte visiva, dando origine a opere ancora oggi celebrate e capaci di rendere immortale un momento unico e irripetibile, tramandandone la memoria e riflettendo su quegli anni e quella generazione.

In occasione dell'uscita di L'incredibile storia dell'Isola delle Rose di Sydney Sibilia (disponibile su Netflix dal 9 dicembre), ecco alcuni titoli imprescindibili sul Sessantotto!

Fragole e sangue (1970) di Stuart Hagmann


Tratto dal romanzo Strawberry Statement di James Simon Kunen, Fragole e sangue è uno dei film-simbolo dei movimenti studenteschi americani, contro il razzismo e la guerra in Vietnam: lo spirito dell'epoca, rappresentato da una colorata San Francisco, viene così fissato emblematicamente nella sequenza finale, in cui gli studenti raccolti cantano in coro Give Peace a Chance prima di essere brutalmente dispersi dalla polizia. Spaccato d'epoca dal valore iconico.

Woodstock: tre giorni di pace, amore, e musica (1970) di Michael Wadleigh


Dal 15 al 18 agosto 1969 andò in scena a Bethel, centro rurale nello stato di New York nei pressi di Woodstock, il più grande e noto raduno rock di sempre. Tra i tanti gruppi saliti sul palco, il film mostra Richie Havens, Crosby, Stills & Nash, Canned Heat, Joan Baez, The Who, Sha-Na-Na, Joe Cocker and the Grease Band, Audience, Country Joe and the Fish, Arlo Guthrie, Ten Years After, Jefferson Airplane, John Sebastian, Santana, Sly and the Family Stone, Janis Joplin, Jimi Hendrix. Un film che condensa il meglio di un evento musicale che (al netto delle condizioni audio tutt’altro che eccelse) resta assolutamente straordinario nella storia del rock e restituisce soprattutto lo spirito di un’epoca e consegna ai posteri il bellissimo canto del cigno dell’utopia hippie che chiude gli idealistici e irripetibili Sixties.

Zabriskie Point (1970) di Michelangelo Antonioni


Dopo uno scontro a fuoco con la polizia durante una manifestazione in un campus a Los Angeles, lo studente Mark (Mark Frechette) a bordo di un aeroplano fugge verso il deserto dell'Arizona. Nel mezzo della Valle della Morte incontra Daria (Daria Halprin), una ragazza come lui in rotta di collisione con la cultura dominante. Michelangelo Antonioni attraversa l'oceano ed entra nel pieno della contestazione americana: il risultato è un inno alla libertà un po' schematico ma di indubbia potenza visiva (vedere la straordinaria sequenza finale per credere), in cui l'unico spazio residuo di autenticità per le relazioni umane sembra essere il deserto.

Hair (1979) di Miloš Forman


«This is the dawning of the age of Aquarius»: presentato fuori concorso al 32° Festival di Cannes, adattamento dell'omonimo musical scritto da Gerome Ragni e James Rado. Una regia asciutta, quella di Forman, capace di far trasparire efficacemente la dicotomia tra i due personaggi principali, lati contraddittori della società americana che, a cavallo tra gli anni '60 e '70, viveva una fase sociopolitica di violenti contrasti: i valori tradizionali, l'attaccamento alla famiglia, alla patria e al senso del dovere profondamente messi in crisi dalla vitalità sovversiva del movimento di protesta divampante in quegli anni.

Alice's Restaurant (1969) di Arthur Penn


Nel 1967 Arlo Guthrie scriveva Alice's Restaurant, torrenziale canzone folk diventata con gli anni inno e manifesto della ribellione giovanile. Due anni dopo, utilizzando il testo di quella canzone come soggetto, Arthur Penn ha trasposto in un film le esperienze reali alla base del testo di Guthrie: la malattia del padre, il rifiuto del servizio di leva, la comune di Figli dei Fiori in una chiesa sconsacrata, l'arresto per abbandono illegale di rifiuti in una discarica nel Giorno del Ringraziamento. Spaccato di una generazione divisa tra idealismi e illusioni, cultura hippie e Guerra nel Vietnam.

La meglio gioventù (2003) di Marco Tullio Giordana


La storia italiana, dall'estate del 1966 fino alla primavera del 2003, raccontata attraverso le azioni di una famiglia dell'alta borghesia romana. Un titolo ispirato all'omonima raccolta di poesie di Pier Paolo Pasolini per un romanzo popolare su una generazione. Marco Tullio Giordana sceglie coscientemente di rischiare con un prodotto decisamente ambizioso, perseguendo un'idea di cinema coraggiosamente personale: il risultato è un iter di formazione collettivo, che sfugge alla mera interpretazione di una fase nazionale per trasformarsi in cronaca, sogno e speranza generazionale.

The Dreamers – I sognatori (2003) di Bernardo Bertolucci


Adattamento dell'omonimo romanzo di Gilbert Adair, un'opera raffinata in cui Bertolucci riflette sulla sostanziale utopia e le ingenuità insite in ogni rivoluzione, destinate a confrontarsi con l'amara concretezza della quotidianità e lo sfaldarsi di illusioni spacciate per certezze. I tre protagonisti esorcizzano le loro paure e la loro inadeguatezza verso un mondo che non comprendono e da cui scelgono di isolarsi attraverso il cinema e il sesso, due strumenti di conoscenza e scoperta del proprio essere corredato dai lati più oscuri, contraddittori e perversi.

Qualcosa nell'aria (2012) di Olivier Assayas


Partendo da un giovane diviso tra i fermenti rivoluzionari del periodo e una vocazione artistica che bussa prepotentemente alla sua porta, Olivier Assayas affronta il Sessantotto e non ci mostra tanto le contraddizioni interne e i soliti abusati luoghi comuni, quanto gli echi successivi, i postumi e le scorie rimaste addosso a chi era già nato ma ha dovuto scontare il peccato mortale di non aver potuto vivere direttamente quel momento irripetibile. Il suo dopo maggio, come recita emblematicamente il titolo originale, è per forza di cose malinconico, ma dietro lo spaesamento esistenziale dei giovani dell'epoca non esita a tirare stoccate alla società e a riflettere in filigrana su un intero periodo storico.

La classe operaia va in paradiso (1971) di Elio Petri


«Con il mio film sono stati polemici tutti, sindacalisti, studenti di sinistra, intellettuali, dirigenti comunisti, maoisti. Ciascuno avrebbe voluto un'opera che sostenesse le proprie ragioni: invece questo è un film sulla classe operaia»: la coppia Petri-Volonté racconta l'alienazione del lavoro in fabbrica come vertice di uno smarrimento collettivo che porta alla spersonalizzazione individuale e al distacco progressivo da un mondo che non si riesce più a comprendere e in cui è impossibile identificarsi. Un film che denuncia con impeccabile arguzia l'inconcludenza e la contraddittorietà dei movimenti studenteschi e delle associazioni sindacali, troppo astratte, fondamentalmente autoreferenziali e impreparate dinnanzi a questioni spinose e concrete cui riescono a contrapporre solo stanchi slogan e risposte ideologiche.

Easy Rider – Libertà e paura (1969) di Dennis Hopper


«Get your motor runnin'/Head out on the highway/Looking for adventure/In whatever comes our way». Forse il fim che più di ogni altro incarna l'essenza del Sessantotto: scritto e diretto da Dennis Hopper con l'aiuto di Peter Fonda e Terry Southern nella stesura della sceneggiatura, Easy Rider è un'opera fondamentale che contribuì ad abbattere definitivamente il corpo morente del cinema americano classico (fatto di rigide regole che ingabbiavano i film in precisi generi e li costringevano a farsi tutti vettore del “Sogno Americano”) e a dare vita alla cosiddetta New Hollywood, periodo di libertà e rinnovamento che durò dalla fine degli anni '60 fino a primi anni '80. Il film di Hopper portò per primo nel cinema americano gli umori, le tensioni e la sotto-cultura hippy che si andavano creando negli Stati Uniti sul finire dei Sixties, mostrando con coraggio la diffusione delle droghe tra i giovani. Imprescindibile.

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