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Erich von Stroheim: i migliori film di un genio incompreso

«Dicono che sono odioso e tratto i miei attori come se fossero cani, insomma pare io sia il tipico tedesco d'anteguerra. Ma so quello che faccio: è il mio metodo. Devo spazzar via la crosta di una falsa tecnica, e portare alla luce il vero sentimento, che è come un seme nascosto sotto la grazia superficiale di una ragazza. Li guardo duramente: mai in vita loro si sono sentiti trattare con tanta asprezza, li investo, li schiaccio col sarcasmo, le male parole, il disprezzo, e hanno tutti voglia di andarsene. È allora che arrivo al fondo del loro animo e lo guido verso la sua naturale espressione». Genio dall'aura maledetta, perfezionista ai limiti della pignoleria, anticonformista, sprezzante, megalomane: Erich von Stroheim si è guadagnato nel corso degli anni di attività la fama di autore "difficile" (per usare un eufemismo). Noto come attore (principalmente per le interpretazioni ne La grande illusione di Jean Renoir e in Viale del tramonto di Billy Wilder), drammaticamente misconosciuto come regista, Stroheim ha di fatto segnato la storia della settima arte con capolavori osteggiati e rimaneggiati: la produzione scempiò quasi tutti i suoi film con tagli e censure, allarmata dal coraggio senza freni di un autore in netto anticipo sui tempi. Per celebrare la sua nascita (22 settembre 1885), ecco i tre migliori film diretti da Erich von Stroheim.

 

3) Sinfonia nuziale (The Wedding March, 1926)

Pensato da Stroheim come prima parte di un dittico (la seconda, Luna di Miele, fu tagliata e rimontata da Josef von Sternberg e risulta oggi perduta), Sinfonia nuziale denuncia le meschinerie dei “reali salotti” europei, ridotti a emblema di corruzione e popolati da personaggi aridi e materialisti quando non totalmente aberranti. Cupo e pessimista (ma con l'apertura a una flebile speranza riguardo all'essenza dell'animo umano), ambizioso e squilibrato come il suo autore, che regala un villain decisamente più stratificato rispetto agli altri personaggi “da odiare”.

 

2) Femmine folli (Foolish Wives, 1921)

Le manie di grandezza di Erich von Stroheim raggiunsero l'apice durante la lavorazione di Femmine folli, per cui il regista pretese la ricostruzione dell'intero ambiente monegasco, in un delirio di iperrealismo che adempie alla funzione di far emergere il marciume nascosto tra gli scintillii di abiti e monete. Il disfacimento morale di un mondo reduce dalla guerra e di una società aristocratica che ha smarrito i suoi codici di riferimento è splendidamente incarnato dall'ambiguo Karamzin (interpretato dallo stesso Stroheim). Pesantemente tagliato, ça va sans dire, dalla produzione (fu ridotto da 21 a 14 rulli).

 

1) Rapacità (Greed, 1924)

«In tutta la mia vita ho fatto un solo film importante, che nessuno ha visto e del quale il pubblico conosce soltanto pochi resti squartati e mutilati». Erich von Stroheim adatta il romanzo McTeague (1899) di Frank Norris e firma la sua opera più ambiziosa e sentita, un capolavoro maledetto e condannato alla distruzione dalla megalomania del suo stesso autore. Una magistrale stratificazione testimoniata dall'uso sopraffino della profondità di campo, con una macchina da presa che suggerisce, senza mostrare apertamente, dettagli fondamentali alla comprensione della vicenda e del destino dei protagonisti. Da antologia la sequenza conclusiva ambientata nella Death Valley, infernale per la troupe, con Stroheim che gridava agli attori «Odiatevi come odiate me!». 

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