News
Far East Film Festival 24 – Il racconto della quarta giornata: I Am What I Am e The Assistant lasciano a bocca aperta
Complice l'uggioso cielo friulano, non sono pochi gli spettatori che hanno scelto di passare il 25 aprile in compagnia del Far East Film Festival. Una giornata particolarmente fortunata dal punto di vista qualitativo, che ha visto in competizione diversi titoli molto diversi tra loro, non solo per Paese ma anche per genere e registro. Andiamo a vederli insieme.

MY SMALL LAND (GIAPPONE)

E' raro trovare un film giapponese disposto a trattare un tema delicato come quello dell'immigrazione, e ancora più inusuale trovare una protagonista multiculturale come Lina Arashi, giovane modella di origini tedesche, russe e iraniane, qui al suo debutto su grande schermo. Il film racconta della diciassettenne Sarya, di origini curde ma ben inserita nella società giapponese, e delle responsabilità che si deve assumere quando al padre viene negato il permesso di soggiorno. L'assurdità delle leggi giapponesi sull'immigrazione, con la loro glaciale burocrazia, sono raccontate tramite gli occhi di una ragazza schiacciata tra due mondi ai quali, per motivi più forti di lei, non può appartenere pienamente. Un dramma preciso e compassionevole, scritto e diretto da una giovane allieva di Kore-eda, Emma Kawawada, qui al suo esordio alla regia.  


I AM WHAT I AM (CINA)

La Danza del Leone rappresenta una tradizione importantissima in Cina, essendo condotta da formidabili acrobati ed equilibristi in occasione delle festività più importanti, come il Capodanno cinese. Juan non è un grande atleta: è un ragazzo magro come un fuscello che vive col nonno in un villaggio di contadini, mentre i genitori sono a Canton a lavorare in un cantiere per guadagnare abbastanza per tutti. Ma il sogno più grande di Juan è proprio quello di partecipare al torneo di Danza del Leone, insieme agli amici Mao e Gou. Per questi giovani emarginati la Danza diventa un mezzo di emancipazione ed elevazione sociale. Yuqiang, un ex danzatore che ora vende pesce salato, si offre di aiutarli. Il cammino è impervio e pieno di ostacoli, ma i ragazzi sono determinati a tutto per esaudire il proprio desiderio di rivincita. Frutto di due anni di produzione, I Am What I Am è un film d'animazione digitale sbalorditivo e spettacolare, capace di stupire sia nella dinamicità delle scene di danza, veramente spettacolari, sia nella resa nei minimi dettagli degli ambienti, da Guangzhou alla campagna limitrofa. Dal punto di vista narrativo il film è un racconto di formazione epico che, come spesso accade nei film distribuiti sotto l'egida del ministero della cultura, vuole essere eco e simbolo della determinazione del popolo cinese. I Am What I Am evita però le trappole della propaganda facendo affezionare gli spettatori a Juan e alla sua banda di emarginati, premiandoli con un climax epico che lascia genuinamente a bocca aperta.


HOSTAGE: MISSING CELEBRITY (COREA DEL SUD)

Demoni, gangster, killer psicopatici: nominate un pericolo qualsiasi e c'è una buona probabilità che Hwang Jung-min, star coreana di film come The Wailing, New World e Deliver Us From Evil, l'abbia già affrontato. C'è un piccolo problema però: ogni nemico che Hwang ha affrontato è stato sul set di un film. Rapito dopo una prima da una banda di spietati criminali, Hwang dovrà misurarsi con una realtà ben più terribile di qualunque fantasia. La decostruzione dell'iconografia di un divo del cinema non è un tema nuovissimo, e l'abbiamo già conosciuta in opere come Last Action Hero di John McTiernan e Essere John Malkovich di Spike Jonze. Pil Gam-sung però non sembra tanto intenzionato alle implicazioni metatestuali di avere come protagonista un divo che interpreta se stesso quanto a confezionare un thriller (direttamente ispirato a Saving Mr. Wu, con Andy Lau) dove i limiti dell'attore Hwang, capace di uscire da situazioni disperate solo grazie al suo talento recitativo, vengono sfruttati in chiave narrativa per costruire una scena di suspense dietro l'altra. Hostage è dunque da apprezzare non solo per l'originalità dell'approccio, ma soprattutto per la confezione tesa e adrenalinica, che non dà un attimo di respiro. Un filo di autoironia non avrebbe guastato, ma rimane l'esordio ammirabile di un regista da tenere d'occhio.

MAMA BOY (TAIWAN)

Da Taiwan arriva uno dei film più romantici del festival, cortesia di uno specialista come Arvin Chen. Xiao-hong (Kai Ko) lavora in un negozio di pesci ed è lui stesso un "pesciolone", viziato da una madre iperprotettiva (Yu Tzu-yu) che ne ha plasmato il carattere gentile ma estremamente timido. Per il suo ventinovesimo compleanno il cugino decide di regalargli una visita al love hotel locale; ma invece di perdere la verginità Xiao-hong perde la testa per la matura manager, la solitaria e disillusa sorella Lele (un'incredibile Vivian Hsu), a sua volta madre di un ragazzo spiantato e sempre nei guai. Xiao-hong e Lele non potrebbero essere più diversi tra loro ma, come spesso accade in questi film, tra i due nasce un forte e sincero affetto reciproco. Mama Boy è una love story atipica e adorabile, dalla messa in scena accattivante e arricchita da due adorabili protagonisti. Arvin Chen si è sicuramente rivisto Harold e Maude e Ubriaco d'amore, ma il film è abbastanza originale da camminare con le proprie gambe, offrendo anche spunti interessanti in chiave psicanalitica.

THE ASSISTANT (MALESIA)

A volte, piuttosto raramente, arriva un film talmente derivativo, spiantato e scapestrato che non ci si può credere funzioni. The Assistant, ultima fatica di Adrian Teh, è uno di quei film. Iedil Dzuhrie e Hairul Azreen interpretano, rispettivamente, Zafik, mite ex carcerato in cerca di verità sulla morte della famiglia, e Feroz, improbabile cugino della moglie defunta di Zafik, "l'assistente" del titolo, che lo affianca nella caccia ai responsabili. Feroz è, come suggerisce il nome, un animale selvaggio, capace di risolvere ogni problema con la violenza. Mentre i metodi di Feroz si fanno sempre più estremi, Zafik dovrà fare i conti col passato, la propria moralità e la propria personalità. Inutile fare un elenco dei film dai quali The Assistant ruba a piene mani, non finiremmo mai. Ma Adrian Teh ha il dono di prendere un plot sputato e rimasticato, un plot twist proposto già in altre salse e tre protagonisti improbabili come attori ma formidabili come picchiatori e creare un film d'azione pura che funziona, coinvolge e tocca livelli di assurdità talmente alti che non si può che applaudire ammirati. In tempi in cui il cosiddetto vulgar auteurism è stato sdoganato da parte della critica, film come The Assistant sono capaci non solo di intrattenere, ma anche di suscitare interessanti riflessioni sulla natura del cinema come intrattenimento, e sulla sua forza di riflettere e replicare se stesso.


Segnaliamo infine dalla Corea del Sud il documentario, presentato fuori concorso, Fantic che si concentra sull'enorme successo dei nuovi grandi prodotti culturali del Paese. In un’epoca nella quale i BTS e le Black Pink sono tra le più importanti band pop del pianeta, Squid Game è la serie Netflix di maggior successo di sempre e Parasite ha vinto l’Oscar per il miglior film, ecco che hallyu, il neologismo per definire la new wave coreana, trova un film che tenta di carpirne i segreti. La struttura industriale del K-Pop viene così raccontata dal regista Oh Seyeon, ospite in sala al Visionario, attraverso un bootcamp estenuante e intensivo, dove i giovani ragazzi coreani si allenano duramente. Un prodotto interessante che passa in sordina in una giornata ricchissima che fa ben sperare per la giornata di oggi: a domani!

Marco Lovisato e Andrea Valmori 
Maximal Interjector
Browser non supportato.