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Freaks Out! Quando il cinema racconta la persone dietro le maschere: il circo, la tenerezza, la ferocia
Il cinema è sempre stato un attento e accalorato narratore di storie riguardanti la diversità. Personaggi odiati, scherniti ed emarginati, i cosiddetti freaks sono riusciti a trovare la propria rivalsa morale proprio grazie al grande schermo a cui va dato il merito di aver puntato i riflettori sul dietro le quinte dello spettacolo circense. Il pubblico pagante è sempre stato interessato all’estasi dello spettacolo, restando pressoché indifferente alle sorti di quelle persone che, con fatica ed estrema sofferenza (sia fisica che psicologica), esibivano le proprie ferite e debolezze aggrappandosi a quell’illusione di inclusione e accettazione che solo il palcoscenico può dare. Nell’attesa di vedere Freaks Out, secondo lungometraggio di Gabriele Mainetti in uscita il 16 dicembre, vogliamo ricordare alcune fra le più iconiche storie di freaks, con personaggi che ci hanno insegnato ad andare oltre la deformità fisica e che hanno segnato alcune tappe fondamentali della settima arte.

Lo sconosciuto (1927) di Tod Browning. Struggente e straziante storia d'amore in grado di regalarci uno dei personaggi più tragici che la storia del cinema abbia mai visto. Il tema della deformità fisica spettacolarizzata (quella presunta, poi vera di Alonzo ma anche quella del suo aiutante nano Cojo, interpretato da John George) che ossessionerà Browning, si contamina qui con uno degli altri topoi prediletti dal regista: l'inganno tra finzione e realtà caratteristico del mondo circense, in una confusione barnumiana che mostra qui chiaramente i suoi risvolti più laceranti. 



Freaks (1932) di Tod Browning. Il regista veicola un messaggio morale straordinariamente contemporaneo: i veri mostri sono i “normali”, aitanti, avidi e crudeli, mentre i piccoli esseri deformi del circo sono invece capaci di amore reciproco, sincero e disinteressato, e hanno un solido sistema di valori e uno spiccato senso della comunità. Un'alternanza di sentimento e vendetta, eros e thanatos, empatia e commozione, orrore e tenerezza che rendono questo film un vero e proprio capolavoro, scandalosamente incompreso, bistrattato da censura e critica e ancora oggi inspiegabilmente considerato di genere horror.



Anche i nani hanno cominciato da piccoli (1970) di Werner Herzog. L'opera più violenta e cupa di tutta la filmografia dell'autore tedesco. Di difficile interpretazione e caratterizzato da un'insistita circolarità nelle sequenze e nei simbolismi che ne sottolineano la carica irrazionale, il film è un grottesco viaggio non liberatorio nel caos più feroce e astratto, mostruoso specchio del mondo e della vita. Evidenti i richiami a Freaks (1932), benché lo stesso Werner Herzog abbia dichiarato di aver visto il film di Tod Browning solo dopo aver girato la sua opera seconda.



The Elephant Man (1980) di David Lynch. La storia incredibile di Merrick è quella di un autentico mostro, marchiato da un destino perverso, che vuole solo essere accettato entro i confini di una società che, a ben vedere, è assai più mostruosa di lui. Che lo vedano come zimbello, come caso clinico o come divertissement per acquietare i sensi di colpa di una borghesia annoiata, Merrick non è che un fenomeno di costume, la cui natura umana viene continuamente negata e calpestata da tutti, tranne che da altri freaks come lui.



Edward mani di forbice (1990) di Tim Burton. Una toccante favola dark sulla diversità, prima incompresa, poi strumentalizzata, in cui i colori violenti della provincia fanno volutamente a pugni con l'impalpabile scala di grigi del castello. Da antologia la struggente sequenza poetica in cui Edward “inventa” la neve mentre Kim danza sotto di lui, mentre la palpabile attrazione tra i due diventa puro amore, preludendo al bellissimo e tetro finale. 



Non possiamo esimerci dal ricordare anche un vero e proprio gioiello dell’animazione targata Disney, film che ha segnato in maniera indelebile i nostri ricordi d’infanzia.

Dumbo (1941) di Ben Sharpsteen. Muto e dolcissimo, l'elefantino Dumbo segue l'arco di una parabola emblematicamente disneyana: l'ascesa al trionfo personale dopo un percorso tartassato da angherie e umiliazioni. Una metafora – bellissima – dell'esistenza tra circhi, vagoni treno e rivalse finali contro angherie e umiliazioni.



Simone Manciulli
Maximal Interjector
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