I migliori film di Stephen Frears
18/06/2021
Regista inglese con studi di giurisprudenza alle spalle, che abbandonò gli studi al Trinity College dell’Università di Cambridge per unirsi al Royal Court Theatre di Londra, Stephen Frears, nato a Leicester il 20 giugno 1941, sta per compiere ottant'anni.

Assistente di due registi suoi connazionali assolutamente cruciali come Lindsay Anderson e Karel Reisz, Frears ha accumulato negli anni una filmografia eclettica ed articolata, in grado di spaziare da progetti votati all'impegno come My Beautiful Laundrette – Lavanderia a Gettoni (My Beautiful Laundrette, 1985) a incursioni più hollywoodiane nello spirito ed entrate nell'immaginario collettivo, come Le relazioni pericolose (Dangerous Liaisons, 1988), tratto dall’omonimo romanzo di Choderlos de Laclos e interpretato da John Malkovich e Glenn Close, che riscuote molto successo e ottiene sette candidature all’Oscar.

Il suo adattamento di Alta fedeltà (High Fidelity, 2000) ha contribuito a rendere ancora più iconico nell'immaginario collettivo il romanzo di Nick Hornby, ma anche operazioni sulla carta più oleografiche come Lady Henderson presenta (Mrs. Henderson Presents, 2005) confermano uno sguardo raffinato e colto, abituato a muoversi in scioltezza in progetti molto diseguali con uno spirito al contempo aristocratico e proletario, un po' arty e un po' di mestiere. Con dalla sua un'intelligenza tutta anglosassone, all'insegna della dissimulazione della retorica e di un humor corrosivo votato all'understatement.

Andiamo a ripercorrere di seguito quelli che, secondo il giudizio del nostro dizionario, sono i cinque migliori film di Stephen Frears e della sua filmografia sterminata. 

SAMMY E ROSIE VANNO A LETTO (1987)



Se non il migliore, sicuramente il più acido, disincantato e umano dei lungometraggi girati dal britannico Stephen Frears nell'arco di una carriera luminosa ma discontinua. Sammy e Rosie vanno a letto, scritto dal drammaturgo Hanif Kureishi, riesce – grazie all'impeccabile regia di Frears – a imporsi come una delle opere più interessanti degli anni Ottanta sui divari culturali e sulla nostalgia di un tempo che non esiste più, su reazionari sconsolati e progressisti più devoti alla prossemica della libertà che al pensiero in sé. Un film crudele e impietoso, che non fa sconti a nessuno e in cui ogni traccia di umanità viene scarnificata, ripensata e rimodulata. 

PHILOMENA (2013)



Grazie al lavoro di un'interprete di razza come Judi Dench (che aveva già diretto in Lady Henderson presenta, nel 2005), Stephen Frears dirige uno dei suoi risultati più complessi e maturi, un'opera intensa, dolce ed egualmente coriacea, affidandosi integralmente a una protagonista lattiginosa e pura, in grado di rappresentare con coerenza e convinzione il dolore di un'esistenza intera. A fare da eco alla strepitosa Dench è chiamato il funzionale e irruente Steve Coogan, anche co-sceneggiatore insieme a Jeff Pope. Lo script è notevolissimo e il film emoziona, riuscendo a far sorridere e a commuovere allo stesso tempo. C'è spazio anche per una (non banale) denuncia ad alcuni tipi di istituzioni cattoliche. Un'opera fondamentale nella carriera del bravo regista inglese.

LE RELAZIONI PERICOLOSE (1988)



A partire dall'omonima materia letteraria di base – il vibrante capolavoro in forma epistolare del 1782 firmata da P.A.F. Choderlos de Laclos (1741-1803) – Stephen Frears (su sceneggiatura di Christopher Hampton) ricava e dirige un'opera vigorosa e tesa, ricca di sfumature e suadente come gli intrighi che racconta con compiaciuta abilità. Se John Malkovich, Michelle Pfeiffer e Uma Thurman sono eccellenti (soprattutto lui) nell'interpretare con credibilità ruoli impegnativi e facilmente “sciupabili”, l'americana Glenn Close è qui mattatrice assoluta, invitata a ricoprire un ruolo mefistofelico e iconico, che gestisce e doma con straordinaria potenza. 

RISCHIOSE ABITUDINI (1990)



Il film più cattivo, “hollywoodiano” e insanguinato del britannico Stephen Frears, uno spietato resoconto ombelicale che racchiude in sé una riflessione acida e compulsiva sul denaro e la fascinazione che produce su quelli che lo ricercano. La sceneggiatura di Donald E. Westlake e la robusta regia di Frears, ispirate dal romanzo di Jim Thompson (1906-1977) del 1963, si adagiano con forza straordinaria alle solide prove di John Cusack e di Annette Bening, anche se è Anjelica Huston a rubare la scena. La sua Lilly è un personaggio di memorabile grandezza, cui l'attrice presta la fisicità appropriata e un carisma indimenticabile: nel finale, il virtuosismo che la vede protagonista è praticamente perfetto. 

THE QUEEN (2006)



Sulla sceneggiatura – di ferro – firmata dal londinese Peter Morgan si snoda l'universo “paraesistente” di un film come The Queen, fissato in una nube temporale che è effettiva per quanto riguarda il dato cronachistico (la morte di Diana Spencer, per tutti Lady D.), ma che resta sospesa, astratta e impalpabile nei pensieri della protagonista. Stephen Frears, con intelligenza, lavora sullo script di Morgan e rende efficace questa doppia concezione di tempo – della realtà, e del pensiero – senza che il gioco diventi programmatico o inutilmente accademico. Helen Mirren, straordinaria Elisabetta, seconda nel titolo ma non nella vita, vince l'Oscar come protagonista e praticamente ogni altro premio sulla piazza, inclusa la Coppa Volpi alla 63° Mostra del cinema di Venezia, dove il film è passato in concorso.

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