News
Il buco di Michelangelo Frammartino: l'impresa dello speleologo, tra misticismo, tecnica e filosofia

«Al buio è lo sguardo a costruire lo spazio»

Durante il boom economico degli anni Sessanta, l'edificio più alto d'Europa viene costruito nel prospero Nord Italia. All'altra estremità del paese, un gruppo di giovani speleologi esplora la grotta più profonda d'Europa nell'incontaminato entroterra calabrese. Si raggiunge, per la prima volta, il fondo dell’abisso del Bifurto, a 700 metri di profondità. Una bellezza naturale che lascia senza parole e sfiora il mistico; una esplorazione attraverso le profondità sconosciute della vita e della natura che mette in parallelo due grandi viaggi interiori.

Questa la sinossi de Il buco, nuovo lungometraggio di un autore ormai diventato di culto come Michelangelo Frammartino. Da un lato, dunque, il Nord, la "città che sale"; dall'altro, la discesa a picco nel cuore di una terra «contraddittoria e informe» come la Calabria.

 

«Occuparsi di cinema carsico è bellissimo e rilassante. Perchè? Perchè non importa a nessuno»

Potremmo definire Michelangelo Frammartino una sorta di outsider in questa 78. Mostra del Cinema di Venezia. Un uomo riservato, uno studioso, un regista che si sente quasi in imbarazzo all'idea che il suo film sia tra i titoli in concorso e che non vede l'ora di tornare a fare sopralluoghi - lenti e meticolosi - tra le terre più brulle e inesplorate. Ecco, Michelangelo Frammartino è un esploratore, un indagatore della natura, dei suoi ritmi e dei suoi riti, delle sue bellezze nascoste (o date per scontate), delle sue crepe più aspre e selvagge. Un esploratore che, anziché segnare sulla mappa le proprie tappe e scoperte, decide di documentarle su pellicola. Il risultato è un esempio di cinema materico e verista, che rispetta i suoni e i tempi di una natura rimasta antica anche nel presente. E che, come in questo caso, adatta i propri strumenti e le proprie tecniche a quelli della disciplina eletta a protagonista del racconto.

Con Il buco, Frammartino supera i propri limiti e si cala nell'oscurità di una grotta profonda 700m: «Potrebbe sembrare una cosa coraggiosa. La verità è che ho avuto davvero molta paura: la profondità, la verticalità per me sono sempre state una fobia».



Il regista ha scelto di adattare la gloriosa impresa compiuta da un giovane gruppo di speleologi nel 1961. Per farlo, ha realizzato sì un film di finzione, ma che persegue l'estetica e la tecnica del documentario. D'altronde, come afferma lui stesso, in simili condizioni nulla poteva essere lasciato al caso: «Il cinema del reale comporta che ci sia qualcosa di ingovernabile davanti alla macchina da presa. La ricostruzione è stata necessaria per motivi di sicurezza, non si poteva improvvisare nulla. Ad ogni modo, dati la storia che abbiamo voluto raccontare e il contesto in cui abbiamo lavorato, era ancora tangibile l'imprevedibilità della natura».

A dimostrazione della veridicità della fiction, a interpretare la squadra del 1961 è un vero team di spelelogi: passato e presente, dunque, si intrecciano e si specchiano l'uno nell'altro, suggerendo un'interessante riflessione su come la disciplina si sia trasformata nel corso della storia e, allo stesso tempo, sia rimasta immutata nel tempo.

A tal proposito sono intervenuti Giulio Gècchele e Leonardo Zaccaro, l'uno appartenente al gruppo di speleologi del '61, l'altro professionista e interprete del film.
Come ha spiegato Gècchele, la speleologia è cambiata profondamente dal punto di vista tecnico, ma dal punto di vista filosofico è rimasta sempre la stessa. Ciascun membro di un gruppo, infatti, sa di essere custode della vita dei propri compagni e di essere sempre pronto per gli altri. Talvolta, anche per salvarne la vita.

Lo studio e la scoperta delle grotte, il viaggio sotterraneo che richiama inevitabilmente l'antico tema della catabasi agli inferi: sebbene la speleologia sia, al giorno d'oggi più di allora, una disciplina poco frequentata, tuttora riesce a suscitare un certo fascino e interesse, scientifico e mistico.

Racconta Lorenzo Zaccaro: «La speleologia è l'unica disciplina che, in età contemporanea, ti consente di praticare l'esplorazione geografica come un tempo. Ormai, grazie alla tecnologia, possiamo vedere e conoscere qualiasi cosa ci sia sulla superficie terrestre - o quasi. Ma sotto? C'è qualcosa di profondamente romatico in questo tipo di scoperta».


Maximal Interjector
Browser non supportato.