News
Lovecraft Country: un viaggio tra demoni e razzismo per la serie HBO prodotta da Jordan Peele e J.J. Abrams

Sometimes I wonder / What to say to you now / In the soft afternoon air as you hold us all in a single death? / I say 'Where is your fire?' / I say 'Where is your fire?' / You got to find it and pass it on / You got to find it and pass it on

Lovecraft Country, la terra dei demoni: c'era grande attesa per questa serie televisiva HBO ideata da Misha Green e basata sull'omonimo romanzo di Matt Ruff. Un'attesa creata ad hoc sia per gli appassionati (almeno per quelli digiuni delle pagine di Ruff) di Howard Phillips Lovecraft, celeberrimo scrittore di Providence negli ultimi decenni oggetto di una clamorosa diffusione (non solo a livello letterario), sia per la presenza, tra i produttori esecutivi, di Jordan Peele e J.J. Abrams. Ambientato negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, Lovecraft Country segue le vicende del veterano di Corea Atticus “Tic” Freeman (Jonathan Majors), impegnato nella ricerca del padre scomparso. Accompagnato dallo zio George (Courtney B. Vance) e dall'amica d'infanzia Letitia (Jurnee Smollett), Atticus attraversa l'America della segregazione razziale, immergendosi in antichi rituali e in mondi nascosti popolati da temibili creature, nonché dai suprematisti bianchi che mirano all'immortalità.


Come viene intrecciato Lovecraft a questa base narrativa?
Semplice, non viene intrecciato. A conti fatti il nome del romanziere horror risulta un semplice specchietto per le allodole in una serie che vuole parlare di razzismo: le creature mostruose e tentacolari (assai poche, in verità) con cui i protagonisti hanno a che fare sono decisamente meno pericolose rispetto ai "mostri bianchi" il cui dominio non conosce limiti terreni. Il tutto sviscerato attraverso una retorica abbastanza indigesta e una linea narrativa a tratti parecchio confusa, che porta lo spettatore a porsi domande più che legittime circa la (in)comprensibilità di ciò che accade sul piccolo schermo.


Certo, i riferimenti al romanziere sono presenti: le creature di cui sopra, tratteggiate sulla linea delle oscure descrizioni lovecraftiane, le stoccate alla prospettiva non certo morbida di Lovecraft sul tema del razzismo, la città di Ardham chiaramente modellata su Arkham, coordinata geografica di base nelle pagine dello scrittore. Riferimenti solo sfiorati, però, e funzionali a dirottare l'attenzione sulla storia familiare dei personaggi, con rivelazioni e traumi annessi, e sulla stoica e doverosa lotta per difendere i diritti delle persone di colore. Non a caso, il centro propulsore degli eventi sono i disordini di Tulsa (gli stessi citati in Watchmen di Damon Lindelof), verificatisi fra il 31 maggio e il 1º giugno del 1921, quando una massa totalmente fuori controllo di bianchi americani iniziò ad attaccare i residenti e le attività commerciali della comunità afroamericana in tutto il quartiere cittadino di Greenwood.


«Non so cosa sia peggio, se essere donna o essere di colore»: a pronunciare queste parole, e a comunicare il reale motore della serie, è Ruby (Wunmi Mosaku), una delle figure più interessanti in un contesto di personaggi con cui si empatizza poco. Dilaniata dalle ingiustizie sociali e dal difficile legame con la sorella Letitia, Ruby si arrende al compromesso e alla magia che le permette di diventare bianca; scelta che coraggiosamente finirà per rinnegare, rivendicando il diritto all'uguaglianza (di grande impatto visivo ed emotivo le sequenze che la vedono letteralmente "in pezzi" durante le trasformazioni). Perché l'esclusione non è solo razziale, ma anche sessuale (non a caso, molti personaggi che nel libro di Ruff, citato a più riprese nella serie, sono uomini diventano donne): una lotta contro il pregiudizio di genere incarnata da Christina (Abbey Lee), villain schiacciata da ingombranti figure maschili e decisa a primeggiare in un mondo di uomini.


Horror e fantasy raccontano la politica
, celebrando la voglia di riscatto della comunità afroamericana e delinenado un'apologia sul diritto all'essere diversi, al non conformarsi, all'essere altro da ciò che ci si aspetta da noi: intento più che apprezzabile, ma un prologo spiazzante, alcune caratterizzazioni significative e qualche citazione d'impatto (le gemelle demoniache del settimo e ottavo episodio che fanno pensare a Shining di Stanley Kubrick e a Us dello stesso Peele) non bastano a salvare Lovecraft Country dalla mediocrità: il risultato, di grande cura formale ma di scarsa coesione narrativa, scivola spesso nel kitsch più sfrenato e suscita la sensazione di un'occasione grandemente sprecata.

Sara Barbieri

Maximal Interjector
Browser non supportato.