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I migliori film di Mario Monicelli: la nostra Top 10

«Chi ride, ruba alla morte»

Regista, sceneggiatore e scrittore, riferimento assoluto all'interno del cinema italiano, accanto a Dino Risi ed Ettore Scola, in particolare per il suo contributo nell’ambito della “commedia all'italiana”, Mario Monicelli ha fatto la storia della settima arte nazionale. Duro, cinico, poco incline a compromessi artistici ed esistenziali («Un bilancio della mia vita non l'ho mai fatto; e neppure della giornata. Anche perché non ricordo nulla, il passato lo cancello continuamente»), è stato candidato per sei volte al Premio Oscar (due volte per la migliore sceneggiatura originale, quattro volte per il miglior film straniero), ricevendo nel 1991 il Leone d'oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia. Monicelli nasceva il 16 maggio 1915: per omaggiarlo, ecco una top 10 dei suoi migliori film!


10) Speriamo che sia femmina (1986)



Un film "in rosa" anomalo, condotto con mano ferma ma leggera da un cineasta abituato alla ruvidezza e alla goliardia tipicamente maschili. Monicelli, per la prima volta, coniuga il suo cinema collettivo con il mondo femminile, dove l'uomo è una macchietta in secondo piano, senilmente instabile o poco affidabile. Una commedia drammatica in cui si ride a denti strettissimi e si riflette sul tempo che passa inesorabile portando dietro di sé sogni e speranze di chi non può fare altro che rimpiangere il proprio passato. Il quadro, maturo e stimolante, è quello di una umanità inaridita dalle troppe occasioni mancate, in cui è solo la donna a conservare un barlume di cosciente responsabilità.


9) Risate di gioia (1960)



Tratto da due racconti di Alberto Moravia (Risate di gioia e Ladri in chiesa), il film è un esempio di "commedia all'italiana" capace di raccontare la povertà e il disagio in modo scanzonato e divertente. La protagonista, interpretata magistralmente da una biondissima Anna Magnani, è l'emblema di un personaggio non in grado (per colpa della società) di emergere dalla propria situazione disastrata. Uscito lo stesso anno de La dolce vita (1960), mostra una Roma diametralmente opposta, ma non per questo meno affascinante. Mario Monicelli ha anche il merito di riunire davanti alla macchina da presa, per la prima e ultima volta, Totò e la Magnani, strepitosi mattatori capaci di coniugare ironia e malinconia, incarnando idealmente un vecchio mondo che è destinato a finire nel dimenticatoio,


8) I compagni (1963)



I titoli di testa, dove alcune fotografie d'epoca scorrono veloci sulle note della Marcia della cinghia di Carlo Rustichelli, forniscono subito la connotazione storica della pellicola: Mario Monicelli vuole riscoprire il vero socialismo nato dall'esigenza di conquistare una vita migliore. La lotta di classe si sposa perfettamente all'idea di cinema corale che ha caratterizzato buona parte della sua carriera: I compagni è quindi un grande racconto in costante bilico tra la farsa e il dramma. In Italia non ebbe un grande successo, il giudizio di merito venne preceduto da una superficiale lettura politica generale: la sinistra italiana vide nella commedia un rischio di parodizzazione, mentre l'area conservatrice fu scettica fin dal titolo, chiaramente evocativo. Si tratta, invece, di una bella pagina della storia del cinema italiano, capace di narrare le lotte e i drammi che caratterizzarono il passato.


7) Vogliamo i colonnelli (1973)



Mario Monicelli maschera da commedia una pellicola unica, capace di raccontare con evidente perizia i reali tentativi eversivi del 1964 e del 1970. Il Piano Solo e il Golpe Borghese vengono qui fusi in un'unica straordinaria galleria di personaggi descritti minuziosamente e ispirati a veri uomini politici e dell'esercito. Un'estrema destra messa alla berlina con sagacia. Con uno straordinario Ugo Tognazzi il film, coraggioso e decisamente originale, non rinuncia mai alla situazione che da grottesca si trasforma in tragicomica. A lungo rimasto invisibile, probabilmente per la sua refrattarietà verso il politicamente corretto, il film è stato riscoperto e rivalutato positivamente. Nel 2015 alla Mostra di Venezia è stata presentata una versione restaurata.


6) Romanzo popolare (1974)



Raramente commedia e dramma popolare hanno trovato un così perfetto equilibrio nella filmografia di Mario Monicelli. Il grigio ambiente padano anni '70 è lo sfondo di una vicenda che tocca i più importanti contrasti dell'epoca: lo scontro politico, la lotta di classe, i conflitti con le nuove generazioni e le differenze socio-culturali tra nord e sud. La pellicola mette in scena una Milano fredda, livida e operaia come mai prima d'ora era stato fatto, grazie ai notevoli contributi di Lorenzo Baraldi (scenografia) e Luigi Kuveiller (fotografia). Una città imbruttita da un boom economico che sembra ormai un lontano ricordo, in cui inizia a divenire flebile la differenza tra il milanese e l'immigrato.


5) Un borghese piccolo piccolo (1977)



Tratto dall'omonimo romanzo di Vincenzo Cerami, un intenso dramma travestito (inizialmente) da commedia. Quando Monicelli decide di imprimere alla vicenda il definitivo cambio, persino una maschera come Alberto Sordi risulta sgradevole nel cupo panorama che lo circonda. Un'Italia fatta di uffici alienanti, ripicche, invidie e soprattutto grottesche logge massoniche. Con questo film il regista decide coscientemente di porre fine a un capitolo della propria storia sul grande schermo. Nessun sorriso amaro, nessuna indulgenza: gli italiani del “volemose bene” spariscono. Per Monicelli non c'è più speranza: il suo cinema e l'Italia non saranno più gli stessi. Duro e azzeccatissimo ritratto della borghesia, privata dalle proprie certezze e alle prese con un futuro sempre più incerto.


4) Amici miei (1975)



Uno degli ultimi rantoli della commedia all'italiana, Amici miei è un corale, goliardico e cameratesco manifesto sull'amicizia, sentimento che nasce sin dai titoli di testa in cui il regista Monicelli cita e omaggia l'amico Pietro Germi, prematuramente scomparso e a cui apparteneva inizialmente il progetto che doveva essere ambientato a Bologna. Talmente riuscito da essere stato capace di generare termini entrati nel linguaggio comune, come le zingarate o la “supercazzola”. I personaggi sono caratterizzati al meglio e convivono magistralmente, dimostrando ancora una volta il lato migliore di Monicelli: sono bambinoni mai cresciuti, dediti alla burla compulsiva, uniti da un legame sincero e profondo, capace perfino di oscurare le relazioni con il gentil sesso. Ma, come nella miglior tradizione della commedia all'italiana, farsa e tragedia si combinano e, dietro la facciata spensierata e allegra, si nasconde un'umanità spaventata e fragile, sconvolta dagli anni di piombo e avvilita dai propri fallimenti personali.


3) L'armata Brancaleone (1966)



I titoli di testa che aprono il film, animati dall'inconfondibile tratto del celebre illustratore Emanuele Luzzati e accompagnati dalle bellissime musiche di Carlo Rustichelli (il motivetto della pellicola diventerà un vero e proprio tormentone), sono la prima gemma da ricordare di un film esaltante e memorabile. Così come è stato per la Prima guerra mondiale (La grande guerra del 1959) e gli scioperi fine ottocenteschi (I compagni del 1963), anche il Medioevo finisce sotto la lente degli sceneggiatori Agenore Incroci, Furio Scarpelli (conosciuti come Age & Scarpelli) e Mario Monicelli. Viene così ambientata intorno all'anno 1000 una spassosa commedia all'italiana corale che narra le vicende di uno scalcinato gruppo di anti-eroi impegnati in un'impresa fuori dalla loro portata. Creare ad hoc per la pellicola un linguaggio a metà tra il volgare dell'epoca e un italiano attuale dialettale è la geniale trovata che non pregiudica affatto l'effettiva comprensione del film, ma, anzi, ne diventa spassoso marchio di fabbrica.


2) I soliti ignoti (1958)



Non si tratta di una semplice parodia italiana dei caper movie (sottogenere del thriller in cui una banda compie un grosso colpo criminale), ma di un film epocale: grazie a I soliti ignoti si sviluppa prepotentemente in Italia un nuovo genere cinematografico che, da lì a pochi anni, renderà alcuni nostri cineasti famosi in tutto il mondo. La regia firmata da Mario Monicelli e la sceneggiatura di Suso Cecchi D'Amico, lo stesso Monicelli, Age e Scarpelli segnano la definitiva affermazione della commedia all'italiana. La farsa si lega a doppia mandata alla quotidianità più dura: non ci sono più gli sketch che nascondono una critica sociale, ma è la critica sociale a essere inframmezzata da parentesi divertenti. Con due seguiti (Audace colpo dei soliti ignoti del 1959 e I soliti ignoti vent'anni dopo del 1985) e due remake (I soliti ignoti made in USA del 1984 e Welcome to Collinwood del 2002).


1) La grande guerra (1959)



Per la prima volta nella sua carriera, Mario Monicelli sperimenta una formula di grande successo che utilizzerà anche ne I compagni (1963) e ne L'armata Brancaleone (1966): ambientare la già collaudata commedia nazionale durante un evento/periodo storico passato è un'idea geniale destinata a diventare un marchio di fabbrica del cinema italiano negli anni a venire. Straordinarie le prove di Alberto Sordi e Vittorio Gassman, capaci di dare vita a due personaggi codardi ma profondamente umani che fanno spassosamente a gara per imboscarsi lontano dagli scontri, e memorabile sequenza finale in cui il regista riporta drammaticamente lo spettatore di fronte alla cruda realtà della guerra. L'opera della definitiva consacrazione per Monicelli, Leone d'oro a Venezia (ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini). Candidato agli Oscar come miglior film straniero.

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