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Il cinema di Pietro Germi: la nostra top 5

«In questo suggestivo angolo di Sicilia non sono pochi i defunti per motivi d'onore. Povera Rosalia, non te lo meritavi! Ma io so che adesso tu riposi in pace coi tuoi piccoli ingenui sogni. Io davvero, sai Rosalia, io t'ho anche amata, ma tu... tu eri troppo, come dire... tu mi chiedevi... "quanto mi vuoi bene?" Eri assetata d'amore, povera Rosalia, troppo assetata! Troppo!»


Umorale, passionale, scontroso, intransigente: Pietro Germi, autore dalla spiccata vocazione politica, ha profondamente inciso sul panorama cinematografico nazionale, intuendo cambiamenti sociali imminenti e ispirando di fatto uno dei movimenti artistici italici più radicali e prolifici di sempre, la commedia all'italiana (termine derivante dal film Divorzio all'italiana, che uscì per la prima volta nelle sale esattamente 60 anni fa, il 20 dicembre 1961).
Per celebrare degnamente questo anniversario, ecco una top 5 dedicata al cinema Pietro Germi!



5. Un maledetto imbroglio (1959)



Adattamento di un romanzo a dir poco complesso come Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, autentico esempio di sperimentalismo letterario. Pietro Germi e i suoi sceneggiatori semplificano, per quanto possibile, l'intricatissima trama, danno un volto al colpevole (la cui identità nel libro rimaneva oscura) e spostano l'ambientazione dall'epoca fascista alla Roma di fine anni cinquanta. Emerge così uno spaccato sociale sagace e corrosivo che sfrutta le atmosfere del noir per raccontare un'umanità sperduta e grossolana, infelice e feroce. Germi sceglie per sé il ruolo dell'investigatore e ne condivide il punto di vista sarcastico e distaccato, da osservatore coinvolto e al contempo spaesato che cerca di trovare un senso a una vicenda egualmente tragica e grottesca.



4. Signore & signori (1965)



Pietro Germi prosegue la sua lucida e corrosiva analisi sociale sull'Italia del tempo, affrontando la piccola borghesia di una città del Veneto (con ogni probabilità Treviso) mettendone in luce le ipocrisie e il fatuo perbenismo. Lo squallore della provincia è reso attraverso una galleria di personaggi meschini e grotteschi, perfidi e spietati, benestanti ma sostanzialmente infelici e moralisti. La satira di Germi e degli sceneggiatori Luciano Vincenzoni, Age e Scarpelli scandaglia con ironia sagace e amaro disincanto tutti i componenti di questo avvilente quadro umano senza risparmiare nessuno: quindi le donne dispotiche o frustrate si mostrano più incisive e feroci dei rispettivi uomini, così come contadini e giornalisti non fanno certo una figura migliore degli avidi e presuntuosi borghesi.



3. Il ferroviere (1956)



Pietro Germi firma un melodramma che riprende la lezione del neorealismo ma la reinventa in maniera molto personale e, limitando al minimo patetismi e facili soluzioni lacrimevoli, riesce a configurarsi come efficace spaccato sociale e umano. I drammi individuali si inseriscono in un contesto collettivo, contraddittorio e magmatico, dove scontri personali e di classe, miseria ed egoismi sono parte integrante di una società italiana che faticosamente ha superato gli strascichi del secondo dopoguerra e vede l'imminente boom economico come una meta ancora lontana da raggiungere. Il regista, inoltre, sa descrivere con arguzia e amaro disincanto la dissoluzione della famiglia tradizionale, lacerata da conflittualità latenti, incomprensioni, mal celato senso di inadeguatezza, incomunicabilità e sfiducia reciproca.



2. Sedotta e abbandonata (1964)



Dopo il successo di Divorzio all'italiana, Pietro Germi torna ad affrontare con occhio critico e spirito satirico le contraddizioni insolute, le ipocrisie e gli stereotipi di una società arcaica come quella siciliana, legata febbrilmente a un'idea piuttosto obsoleta dell'onore e della rispettabilità. L'unica cosa che conta pare essere la preservazione delle apparenze e del buon nome familiare, indipendente dal grado di grossolanità e di abiezione che si è disposti a raggiungere pur di salvarsi dalle malelingue e dagli altrui sguardi misti di commiserazione e scherno. Anche in questo caso Germi (coadiuvato dagli sceneggiatori Luciano Vincenzoni, Age e Scarpelli) dà il meglio di sé nel tratteggiare una galleria di figure fragili e terribili, grottesche e drammatiche, spregiudicate eppure comiche nel loro essere disperatamente ancorate a un mondo fuori dal tempo e autoreferenziale ma al contempo verace e sanguigno.



1. Divorzio all'italiana (1961)



Svolta improvvisa nella carriera di Pietro Germi che, dopo i successi dei suoi ultimi film drammatici, passa alla commedia firmando uno titoli di riferimento dell'intero genere. Strepitoso e graffiante atto d'accusa contro una società italiana ipocrita e arcaica, ancorata a modelli culturali e sociali ormai vetusti e anacronistici come l'assenza di una legge sul divorzio e il mantenimento dell'articolo 587 del codice penale che regolava il delitto d'onore. Con una carica sarcastica arguta e un'inventiva comica sempre sorprendente, Germi descrive una società siciliana grottesca e drammaticamente arretrata, ma il suo umorismo guarda al particolare rivolgendosi sempre all'universale. Il microcosmo di Argamonte non è un mondo a parte, ma l'emblema di una nazione conformista e cinica in cui il tornaconto personale e l'idea di rispettabilità vanno salvaguardate a ogni costo, anche attraverso l'omicidio. Premio al Festival di Cannes come miglior commedia, Oscar alla miglior sceneggiatura e due nomination per la miglior regia e il miglior attore protagonista. Il titolo del film diede il nome al neonato filone cinematografico della commedia all'italiana.

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