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Scandalo al cinema: 10 scene che hanno suscitato scalpore
«Chi rifiuta il piacere di essere scandalizzato è un moralista.» (Pier Paolo Pasolini)

Cinema e scandalo: un binomio piuttosto frequente nel corso dei decenni. Dai grandi classici ai film minori, sono state molte le opere che hanno segnato la storia della settima arte, suscitando scalpore nel loro esordio in sala, a volte venendo ostracizzati, altre guadagnandosi lo status di cult assoluti.

In occasione del nostro workshop Scandalo al cinema (https://bit.ly/3a88lNL), una panoramica su alcune delle (molte) sequenze che hanno fatto più discutere! Non tutte, ovviamente, saranno allegabili di seguito all'interno dell'articolo, per ragioni di restrizione della visione dei contenuti legata a Youtube. 

KAPÒ (1959) di Gillo Pontecorvo - Il "carrello di Kapò"

Opera seconda di Gillo Pontecorvo a partire da un soggetto firmato da Franco Solinas. Illustrazione di un percorso di caduta e redenzione di una giovane ebrea che cercando di sopravvivere a tutti i costi non si fa scrupoli a usare l'inganno, la sopraffazione e la crudeltà gratuita. Grande successo di pubblico ma anche grandi critiche fin dalla prima proiezione alla Mostra di Venezia: celeberrima la stroncatura dell'allora critico (e futuro regista) dei Cahiers du Cinéma, Jacques Rivette, che accusò il film di abiezione per aver voluto spettacolarizzare la morte, citando la scelta di usare una carrellata in avanti per mostrare il suicidio del personaggio di Emmanuelle Riva. 



ULTIMO TANGO A PARIGI (1972) di Bernardo Bertolucci - La scena del burro

L'isolamento in un appartamento sfitto e la scelta di costruire un rapporto sull'anonimato e quasi esclusivamente sull'attrazione fisica denotano un'inquietudine e un'insofferenza verso le regole di una società percepita come elemento alieno e distante. Ma il gioco costruito dai due amanti non può sopravvivere al di là delle quattro mura e il confronto con la realtà, che preclude pulsioni inconfessabili e ingabbia le libertà più sfrenate, è inevitabile. Un'illusione confinata in un limbo spaziale dove eros e thanatos si incontrano (in una dinamica di attrazione e repulsione sia per il sesso che per la morte) ma non è sufficiente per sfuggire lo squallore e le frustrazioni quotidiane. Confezione formale sontuosa (grazie anche alla fotografia di Vittorio Storaro e alla colonna sonora jazz di Gato Barbieri) e grandiosa la prova dolente e feroce di Marlon Brando, ma la fragile (e sfortunata) Maria Schneider non è da meno. Grande scandalo all'uscita del film in Italia per via delle scene di sesso esplicito, in particolare quella in cui Paul sodomizza Jeanne dopo averle lubrificato il retto con del burro. Da quanto trapelato in seguito, Bertolucci e Brando non avvisaro la Schneider dei loro piani e la sequenza sarebbe stata realizzata senza il consenso dell'attrice, con ripercussioni polemiche che non si sono mai davvero spente. 



L'IMPERO DEI SENSI (1976) di Nagisa Oshima - La castrazione dell'amante

Ōshima firma uno dei film erotici più celebri e iconici di tutti i tempi ma anche uno dei più scandalosi, estremi e sovversivi rispetto al proprio immaginario culturale di riferimento, chiaramente atto a capovolgere ferocemente l'ordine privato degli ambienti domestici nipponici con un elettroshock continuo di perversione e manipolazione, di rapacità erotica e dissoluzione morale. Uno sfregio consapevole e fortemente voluto, quello dell'iconoclasta Ōshima, la cui messa in scena è radicale e insegue una crudele istanza geometrica, dando così corpo a inquadrature rigorose all'interno delle quali inserire pratiche sessuali estreme, dettagli fallici insistiti, coiti reiterati ed esasperati. Il sesso, nel film del regista giapponese, non è un'arma di seduzione ma uno strumento contundente di controllo e di dominio, la chiave per una abisso sempre più mortifero in cui Eros e Thanatos s'intrecciano l'uno dentro l'altro, creando un'intersezione indistinguibile che trasforma i personaggi in misere pedine e rende lo spettatore partecipe, perfino complice, di un abisso morale senza ritorno. Nella versione italiana sono venuti meno più di quindici minuti, la cui assenza è resa evidente da un doppiaggio a dir poco scandaloso, almeno tanto quanto il contenuto del film. La scena in assoluto più scioccante è sicuramente quella in cui Sada, interpretata da Eiko Matsuda, pone fine alla vita del suo amante, Kichizō, soffocandolo durante un gioco erotico e poi castrandolo. 



BASIC INSTINCT (1992) di Paul Verhoeven - L'accavallemento di gambe durante l'interrogatorio

Opera hollywoodiana ad alto budget (49 milioni di dollari stimati) per l'olandese Verhoeven, accomodatosi sulle esigenze dello star system americano con una pellicola diventata di culto che (ri)lanciò il thriller erotico negli anni '90. Porno-soft d'autore, Basic Instinct non è altro che un patinatissimo specchietto per le allodole costruito ad hoc per cercare quello scandalo tanto gradito al grande pubblico. Ma gli ingranaggi sono perfettamente oliati e, per quanto smorzate da una produzione mainstream, le viscerali ossessioni di Verhoeven (sesso, violenza, carnalità) riescono a emergere, incorniciando una pellicola dall'atmosfera torbida e morbosa, scossa da infuocati amplessi randagi e sprazzi di suspense da consumato mystery psicologico. Merito dell'esplosiva carica sessuale di Sharon Stone che, con la scena dell'interrogatorio in cui accavalla le gambe rivelando l'assenza di biancheria intima, si è guadagnata un posto d'onore tra le presenze più conturbanti mai apparse sul grande schermo. 



L'ISOLA (2000) di Kim Ki-Duk - L'esca nella vagina

Proseguendo il discorso sulla solitudine contemporanea iniziato con Crocodile (1996) e The Birdcage Inn (1998), il regista Kim Ki-duk si sposta dal contesto cittadino a un non-luogo sospeso nel nulla, in cui poter radicalizzare la propria riflessione sul cinema e sulla vita. Sull'isola ogni legge è sospesa e, nella mancanza apparente delle istituzioni, si creano nuovi codici (im)morali da seguire. La dimensione urbana viene sostituita da una regressione allo stato brado, fondata sulla “corporalità” come unica modalità linguistica possibile. Attraversato da immagini crude e “per stomaci forti” – pesci smembrati vivi, cani maltrattati, esche ingoiate o inserite nella vagina (una scena che all'epoca, suscitò parecchio scandalo), ami impigliati nelle mani, pestaggi – e cesellato da musiche (composte da Jeon Sang-yun, che collaborerà con Kim anche nel coevo Real Fiction) che alimentano l'inquietudine e lo straniamento, L'isola alterna sangue e sesso, violenza e mistero, momenti di stasi assordanti ed esplosioni di aggressività silente che diventano segni, simboli. 



IRRÉVERSIBLE (2002) di Gaspar Noé - La sequenza dello stupro

Diventato tristemente celebre per la scena dello stupro ai danni di Monica Bellucci nel tunnel della metropolitana, Irréversible è il film che ha dato notorietà (e il marchio di "autore scandalo") a Gaspar Noé, argentino trapiantato in Francia. Dopo Seul contre tous (1998), Noé capovolge (letteralmente) la struttura del revenge movie, facendo procedere gli eventi a ritroso e depotenziando così ogni identificazione del pubblico con il protagonista. L'obiettivo è quello di raccontare, per l'appunto, l'irreversibilità del tempo e delle scelte che compie l'uomo, ma il regista, provocatore ingordo, schiaccia il film sotto immagini di una violenza tanto estrema quanto gratuita: il risultato è un'opera che trasuda il bisogno di scioccare (che fa rima con sensazionalismo), fallendo miseramente l'obiettivo e risultando invece squallida e patetica. 



THE BROWN BUNNY (2003) di Vincent Gallo - La sequenza di fellatio

Opera anomala, estrema nello scarnificare la narrazione e nel portare a un punto di non ritorno l'idea di cinema indipendente del suo autore, The Brown Bunnyrappresenta un compendio ideale del narcisismo di Vincent Gallo, qui regista, sceneggiatore, interprete, direttore della fotografia, montatore e, non accreditato, costumista e scenografo. Road movie radicale che innalza la consueta tematica del viaggio come ricerca di se stessi a caratteristica fondante dell'opera: un film sull'assenza (di emozioni, di dialoghi, di felicità, di rapporti umani) che sfrutta l'onnipresenza del protagonista per concentrarsi sull'insofferenza di un singolo individuo. Il percorso esistenziale di Bud emerge dal paesaggio desolato, dagli sporadici incontri con le altre persone, dal rapporto "fisico" con la motocicletta. Stilisticamente ruvido, sporco e improvvisato, ma esemplare nel fare propri i canoni indie più intransigenti. Inconsistente sul piano narrativo, rimane una coraggiosa operazione capace di far emergere il vuoto assoluto per immagini, gesti, analogie. Celebre la sequenza della fellatio non simulata praticata da Chloë Sevigny a Gallo, all'epoca suo compagno. Presentato in concorso al Festival di Cannes, tra fischi, insulti e polemiche.



A HISTORY OF VIOLENCE (2005) di David Cronenberg - La scena di sesso sulle scale

David Cronenberg adatta A History of Violence, graphic novel scritta da John Wagner ed illustrata da Vince Locke, e realizza un film lucido e raggelante nella sua inesorabile progressione drammaturgica. La mutazione, idée fixe per l'autore canadese, questa volta è solo interiore: l'uomo tranquillo e sottomesso che si trasforma in spietato giustiziere si fa metafora dell'ambiguità di un mondo dominato dalla violenza e impossibilitato alla catarsi. E il sogno americano viene disintegrato, lasciando solo un senso di desolazione che raggiunge il picco nel clamoroso (e solo apparentemente riconciliante) finale, anche se la scena più disturbante e memorabile è sicuramente quella di sesso, consumata sulle scale, tra il Tom Stall (Viggo Mortensen) e la moglie interpretata Edie da Maria Bello. 



ANTICHRIST (2009) di Lars von Trier - La mutilazione genitale

Dopo l'esperimento de Il grande capo (2006), Lars von Trier mette nuovamente a nudo se stesso, tentando di utilizzare il cinema come mezzo catartico. Reduce da un periodo di profonda depressione, l'autore danese si identifica sia con il protagonista maschile, terapeuta e paziente allo stesso tempo, sia con la protagonista femminile, sopraffatta dal senso di colpa e pronta a umiliarsi, perfino a mutilarsi, per espiare i propri peccati e cercare di superare un lacerante senso di frustrazione e impotenza. Un modello di autoanalisi cui von Trier non riesce a dare una forma cinematografica compiuta e soddisfacente, abbandonandosi a simbolismi banali e iconografie pittoriche stucchevoli, cercando di compensare con lo scandalo e l'orrore (il pene da cui esce sangue, il clitoride tagliato) la mancanza di un centro nevralgico narrativo. Anche gli spunti potenzialmente più interessanti (il bosco inteso come luogo dove le più ancestrali inclinazioni umane trovano sfogo) sono trattati in maniera didascalica e poco ispirata.



MEKTOUB, MY LOVE - INTERMEZZO (2019) di Abdellatif Kechiche - La sequenza di sesso orale 
 
Si riparte esattamente da dov’era terminato Mektoub, My Love: Canto uno (2017), straordinario film dal sapore autobiografico con cui Abdellatif Kechiche aggiungeva un nuovo fondamentale tassello alla sua grande filmografia: il timido Amin fotografa la bella Charlotte in una breve sequenza che lascerà poi spazio a due scene lunghissime (prima in spiaggia e poi in discoteca). Il regista franco-tunisino dilata moltissimo le sequenze come da sua abitudine, facendo entrare lo spettatore nelle dinamiche relazionali del gruppo protagonista, dai fitti dialoghi alle danze sfrenate. Kechiche continua a filmare il flusso della vita con uno stile vibrante e di grande energia, che si concede anche un prolungato “intermezzo hard” con un cunnilingus di circa 12 minuti che ha scandalizzato molti: la scena, però, più che eccitante è un momento di grande disperazione, così come buona parte della pellicola che porta con sé riflessioni e spunti profondamente malinconici, del tutto in linea con quella fine dell’estate, a cui fanno più volte riferimento i personaggi in scena, immersi in una danza infinita e martellante.


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