News
Speravo de morì prima: l'uomo che vive all'ombra della leggenda

È nato giocatore, è cresciuto mito, è diventato leggenda… e in Speravo de morì prima viene ridimensionato a semplice uomo.

La serie, composta da sei episodi, si concentra sugli ultimi due anni della carriera di Francesco Totti (Pietro Castellitto) che, diventato ormai una leggenda al culmine della carriera, deve fare i conti con l’inesorabile fuga del tempo e con le scelte tecniche dell’allenatore Luciano Spalletti (interpretato da un eccezionale Gianmarco Tognazzi), il quale continua a lasciare troppo spesso in panchina il capitano. 

Speravo de morì prima è basata sul romanzo autobiografico Un capitano di Francesco Totti e Paolo Condò, distribuita da Sky Atlantic e prodotta da Capri Entertainment, Fremantle, The New Life Company e Wildside.

«Alla mia età può essere tutto finito: il gioco, l’amore e la vita. Perché il pallone per me è quello: il gioco, l’amore, la vita. E vorrei che non finisse mai»



Brillante e originale trovata degli ideatori Stefano Bises e Michele Astori che, con coraggio, mostrano tanta voglia di azzardare e scommettere, sia dal punto di vista dello stile, sia da quello del contenuto, insieme alla regia di Luca Ribuoli, su un prodotto nuovo, con pochissimi precedenti equiparabili, puntando sul racconto epico-grottesco di uno dei calciatori più celebri della storia del calcio.

Nella serie, i numerosi flashback ci porteranno indietro nel tempo per analizzare alcuni episodi fondamentali della sua carriera e per approfondire diverse questioni: la nascita del “dono”, del talento di un campione nato con la palla tra i piedi, del suo rapporto con i tifosi e con i genitori.

La regia riesce a dosare nel modo corretto i diversi registri stilistici, passando da momenti comici a situazioni più drammatiche senza cadere in facili banalità, proprio per rispettare e attenersi all’essenza, alla personalità e all’umorismo tipicamente romano del capitano giallorosso. 

Non mancano le citazioni pop e quelle più dichiaratamente cinefile: memorabile lo scontro di sguardi tra Totti e Spalletti, enfatizzato da una messinscena in stile spaghetti western, e la scena del quarantesimo compleanno del capitano, che riceve in dono da Spalletti un modellino della DeLorean, la macchina del tempo di Ritorno al futuro (per rimarcare la sua ossessione legata al ravvicinato addio al calcio). 

Il colpo di genio probabilmente consiste nella realizzazione delle esilaranti sequenze oniriche che permettono di entrare nel profondo della psiche del personaggio: uno sguardo nella sua interiorità. Rievoca spesso il suo ex-compagno di squadra Antonio Cassano (Gabriel Montesi), il quale, con la sua esuberanza, cerca di convincerlo dei tanti lati positivi riscontrabili dopo il ritiro dal mondo professionistico. 

Gli scontri verbali con il villain, Luciano Spalletti, sono coinvolgenti e spassosi, seppur non rappresentino la corretta contrapposizione tra eroe e antagonista, siccome il vero nemico di Francesco Totti è il tempo: fattore che sottolinea maggiormente quanto siano poco utili i conflitti tra individui, poiché le reali problematiche dell’essere umano sono quelle che lo costringono a dover lottare unicamente con sé stesso, con le proprie paure e le proprie inquietudini.
Dopo aver passato quarant'anni di vita giocando a calcio, “Checco” (come lo chiama Spalletti) comincia ad abbandonarsi a vaneggiamenti esistenziali, riflettendo sulla sua persona, consapevole di essere pur sempre fatto di carne e di ossa, nonostante sia venerato come un Dio da tifosi romanisti talvolta così sfegatati da rimanere in prigione per altri dieci giorni, in attesa della visita di Totti per poter scattare una foto insieme. 

“È nato giocatore, è cresciuto mito, è diventato leggenda” recita lo speaker nella sigla iniziale che osanna Francesco Totti in quanto grande calciatore, opponendosi all’intento reale della serie che è proprio quello di mostrare un’umanità caduca, come quella di chiunque altro, ricca di contraddizioni, di nostalgia, di malinconia e di difficoltà nel prendere decisioni importanti. 

Tutti noi lo conosciamo come calciatore dopo aver assistito alle sue memorabili imprese nell’arena dei gladiatori. Speravo de morì prima, invece, ci conduce in un affascinante viaggio dietro le quinte, spiando nell’intimo il calciatore romano alle prese con la sua ossessione riguardo all’amaro addio, poiché, come ripete più volte nella serie, senza il calcio c’è un insopprimibile timore di perdere la propria identità.

Il rettangolo di gioco non è l’ambiente protagonista della serie; bensì lo spogliatoio, il soggiorno, la camera da letto, la casa dei suoi genitori e i ristoranti assumono un ruolo predominante, aumentando il livello di familiarità.

È proprio questo processo di umanizzazione di una leggenda intoccabile che permette allo spettatore di avvicinarsi, di stringere un legame ancora più forte con la figura di Francesco Totti, dopo essere riuscito a percepire, attraverso la finzione, alcune verità riguardo ai sentimenti angosciosi provati da questo semplice uomo, indissolubilmente legato alla sua grande passione, a cui non riesce a rinunciare, faticando a pronunciare la fatidica parola “fine”.

La moglie Ilary, interpretata dalla bravissima Greta Scarano, è la voce della sua coscienza e tenta di elargire ragionevoli consigli su come affrontare la situazione, rimanendo ben salda sulle sue convinzioni, mostrando tenacia e determinazione. La loro è una coppia solida, che si è costruita una famiglia sotto il brusio e i pregiudizi dei giornali gossip, pronti a scommettere su l’ennesimo fallimento di un cliché dello showbiz: la velina e il calciatore. 

È sorprendente come Pietro Castellitto sia riuscito a restituire egregiamente lo stato d’animo, la psicologia e tutta l’essenza di Francesco Totti, arricchendo il personaggio con la perfetta ironia, con un timbro vocale azzeccatissimo e con espressioni in grado di trasmettere le ossessioni e le angosce del capitano della Roma, seppure, fra i due, non ci sia una strabiliante somiglianza.

La pubblicazione dell’autobiografia Un Capitano è diventato il punto di partenza per una successiva produzione audiovisiva che ha ampliato l’universo transmediale del calciatore: prima con il grandioso documentario di Alex Infascelli, Mi chiamo Francesco Totti, reso originale grazie alla scelta della voce narrante di Totti con il fine di instaurare un dialogo con lo spettatore, e successivamente con Speravo de morì prima funzionale per entrare, ancor più, nei panni del giocatore romano e assumere il suo soggettivo punto di vista sul corso degli eventi. 

Curioso come si sia venuto a creare, in pochi anni, un unicum di prodotti mediali basati sulla storia di Francesco Totti, seppur diversi dal punto di vista stilistico (romanzo, documentario e serie tv), assimilabili, contenutisticamente, grazie alla comune volontà di svelare un’umanità errante, ma ricca di sana ironia e genuini valori condivisi da un idolo venerato dalle folle: un calciatore che ha apparentemente raggiunto tutto ciò che un uomo sogna nella vita (successo, denaro, famiglia), il quale desidera, con malinconia, poter ritrovare quella normalità sottrattagli fino a impedirgli di passeggiare libero per le vie della città eterna. Una città, o meglio un popolo, che l’ha reso re e al contempo prigioniero del suo regno.

Matteo Malaisi

Maximal Interjector
Browser non supportato.