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Studio Ghibli: l'universo d'incanto creato da Miyazaki e Takahata 35 anni fa
«C’era una volta un ragazzo giapponese che sognava di diventare un aviatore...»: è giusto iniziare così il racconto sulla nascita dello Studio Ghibli, come si fa con le favole classiche, quelle più belle, quelle immortali. Il ragazzo in questione, ça va sans dire, è Hayao Miyazaki, la cui miopia gli ha impedito di coronare il suo sogno di divenire pilota di aerei, una passione forte, che ricorda in ogni opera dello Studio, che prende il nome dall’aereo di Caproni (Ghibli, che però si pronuncia ‘Gibli’), l’aviatore italiano omaggiato dal regista nella sua opera più intima, Si alza il vento.



C’era una volta un animatore giapponese di straordinario talento, Isao Takahata, che erroneamente viene spesso dimenticato e messo all’ombra di Miyazaki, ma che ha rappresentato per lo Studio l’anima più temeraria, coraggiosa nella ricerca di nuovi stili espressivi, di tecniche animate anche minimali ma non per questo meno efficaci e poetiche, come La storia della principessa splendente. Due autori, due visionari, due anime complementari che nel 1988 hanno regalato due opere divenute in breve tempo simbolo: Il mio vicino Totoro (che simbolo lo è letteralmente) e La tomba delle lucciole, speculari nel raccontare la sofferenza patita durante l’infanzia, più dolce e leggero il primo e decisamente crudo e pessimista il secondo. Artisti segnati dall’esperienza della guerra mondiale (Takahata è del 1935, Miyazaki del 1941) e di quella atomica con disastro nucleare che tanto sarà decisivo nella poetica adottata dallo Studio: l’ecologia, la guerra e gli adulti come esseri negativi e carnefici a discapito dei bambini, creature salvifiche e custodi dell’ultimo barlume di meraviglia rimasto al mondo. 



Il primo incontro tra i due avviene alla Toei Doga: nel 1968 Takahata è alla regia de La grande avventura del principe Valiant, mentre Miyazaki si occupa dei fondali. La collaborazione tra i due prosegue con la Nippon Animation, per la quale realizzano serie anime per il piccolo schermo destinate ad entrare nella storia, oltre ad influenzare lo stile animato dello Studio che sarà: si tratta di Marco, Anna dai capelli rossi e Heidi. Sono gli anni ’70 e mentre Takahata dirige Panda! Go, Panda!, Miyazaki sente il desiderio di realizzare un’opera personale, un lungometraggio più complesso, che inizi a mostrare i punti cardine di ciò che sarà la sua poetica: Lupin III – Il castello di Cagliostro. All’inizio degli anni ’80 pubblica un manga fondamentale: Nausicäa della Valle del vento, dove compare la prima protagonista femminile delle sue opere, oltre ad un esplicito messaggio ambientalista riportato anche nel film omonimo del 1984. Miyazaki e Takahata sono ormai celebri, ma non c’è ancora alcuno studio d’animazione che possa garantire loro lo spazio e la qualità artistica richiesta per mantenere alto il livello delle loro opere e quindi, il 15 giugno 1985, Hayao Miyazaki, il produttore Toshio Suzuki e Yasoushi Tokuma (editore di Nausicäa) fondano lo Studio Ghibli: benché sia figura imprescindibile, Takahata non ha mai ricoperto alcun ruolo dirigenziale. 



Il primo film ad essere a tutti gli effetti prodotto dallo Studio è Laputa – Castello nel cielo, il primo di 21 lungometraggi (saranno 23 con le prossime opere di Miyazaki e di suo figlio Goro) caratterizzati da una poetica autoriale ben precisa e delineata, che si fonda su tre punti cardine: il volo, l’ecologia, le protagoniste femminili. Opere che in poco tempo diventano fondamentali in Oriente, tanto che Akira Kurosawa, parlando di Miyazaki, dirà: «Talvolta lo paragonano a me. Mi dispiace per lui, perché lo abbassano di livello». Per quel che riguarda l’occidente, ci sarà tempo per scrivere la storia: precisamente nel 2002, quando La città incantata riceve l’Orso d’oro a Berlino e l’Oscar al miglior film d’animazione, consacrando definitivamente un regista che riceverà un Leone d’oro alla carriera nel 2005 e un Oscar alla carriera nel 2015. 



C’era una volta lo Studio Ghibli, che da anni annuncia la chiusura, per poi ritrattare. C’era una volta un regno incantato, in cui le immagini sono amplificate dalle note evocative di Joe Hisaishi. C’era una volta, e per fortuna, da 35 anni, c’è ancora.

Lorenzo Bianchi
Maximal Interjector
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