XIII emendamento

13th

Anno

Paese

Usa

Generi

Durata

100

Regista

Gli Stati Uniti detengono il record mondiale delle incarcerazioni: pur essendo solo il 5% della popolazione mondiale, presentano sul proprio territorio il 25% di tutta la popolazione mondiale che si trova dietro le sbarre. 1 carcerato su 4, insomma, si trova negli USA: un dato che molto deve alla criminalizzazione degli afroamericani. 

La regista Ava DuVernay, a partire da quest’assunto inquietante, realizza un documentario denso e accorato che, attraverso il contributo di studiosi, attivisti e politici, ricostruisce in maniera puntuale come la Storia statunitense sia stata marchiata a fuoco dall’odio razziale verso la popolazione di colore. Il tredicesimo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, da cui prende il titolo il documentario di Ava DuVernay e approvato nel 1865, afferma: «Né schiavitù o servitù involontaria, eccetto che come punizione per un crimine per cui il soggetto dovrà essere debitamente incarcerato, esisterà sul suolo degli Stati Uniti, o in ogni altro luogo soggetto alla sua giurisdizione». Un principio fondamentale che si poté violare considerando di fatto gran parte della popolazione nera alla stregua di pericolosissimi criminali: un “processo dell’immaginario”, anzitutto, di cui il documentario ci mostra inesorabilmente la genesi e la meccanica a partire da Nascita di una nazione (1915) di D.W. Griffith, esempio di cinema al servizio della Storia redatta dal punto dei vista dei bianchi, in cui i neri venivano rappresentati alla stregua di animali degradati, di cannibali e stupratore alieni a qualsiasi forma di umanità e in quanto tali da perseguitare senza sosta. Precise anche le accuse alle amministrazioni presidenziali di Nixon e Reagan e al sistema di giustizia americano, per il modo in cui, in scia al sistema di segregazione di Jim Crow, criminalizzò eccessivamente il crack, droga dei sobborghi americani di colore, rispetto alla sostanzialmente equipollente cocaina, equiparandolo al terrorismo con pene tassative e a tempo record e strappando un numero incredibile di cittadini di colore alle proprie famiglie e comunità per troppi e ingiustificati anni. Efficace anche il j’accuse alle formule mediatiche più bieche (i neri “super predatori”) e la forma, seppur a tratti eccessivamente standardizzata nell’uso di didascalie, sovrimpressioni e grafiche comunque foriere di denunce necessarie, colpisce nel segno. Il discorso poteva sicuramente essere ancora più ampio, ma rimane una visione caldamente raccomandabile, esemplare e pedagogica, che si estende oltretutto fino alle colpe della legge Clinton del 1994, accusata di aver peggiorato la situazione degli arresti dei neri. Nell’ultima parte spazio anche alla figura dell’attivista afroamericana Angela Davis e alla disumanizzazione delle carceri come luogo concentrazionario, in relazione sia alla dimensione visiva che a quella dello sfregio dei corpi. 
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