Allonsanfàn
Durata
115
Formato
Regista
Durante la Restaurazione, il nobile Fulvio Imbriani (Marcello Mastroianni) partecipa a un tentativo di rivolta, ma viene imprigionato e accusato di tradimento. Scagionato, torna a vivere nella tenuta di famiglia ed è raggiunto dall'amante Charlotte (Lea Massari) e dai confratelli superstiti. Incapace di allontanarli, li tradirà avvisando l'esercito del loro sbarco nel Sud.
I Taviani riflettono sui limiti del singolo essere umano posto di fronte alla Storia e alla rivoluzione, tema frequente nella loro filmografia: la chiave di lettura è quasi grottesca, sia nell'esplicito ballo finale che nella delineazione di gran parte dei caratteri. Marcello Mastroianni è comunque bravo a restituire la riluttanza e insieme la rassegnazione a un destino nel quale ormai non crede più. Il difetto principale della pellicola è probabilmente quello di perdere il confronto inevitabile con San Michele aveva un gallo (1972), con il quale ha molti spunti in comune. Proprio i due lungometraggi, insieme a Un uomo da bruciare (1962), formano una specie di “trilogia delle rivolte fallite”, alla fine delle quali ai protagonisti non resta che un suicidio più o meno consapevole per recuperare una dignità compromessa dal proprio tradimento agli ideali. Il titolo (corrispondente al nome del giovane rivoluzionario interpretato da Stanko Molnar) è una storpiatura delle prime parole della Marsigliese, che i sediziosi intonano nel viaggio verso sud.
I Taviani riflettono sui limiti del singolo essere umano posto di fronte alla Storia e alla rivoluzione, tema frequente nella loro filmografia: la chiave di lettura è quasi grottesca, sia nell'esplicito ballo finale che nella delineazione di gran parte dei caratteri. Marcello Mastroianni è comunque bravo a restituire la riluttanza e insieme la rassegnazione a un destino nel quale ormai non crede più. Il difetto principale della pellicola è probabilmente quello di perdere il confronto inevitabile con San Michele aveva un gallo (1972), con il quale ha molti spunti in comune. Proprio i due lungometraggi, insieme a Un uomo da bruciare (1962), formano una specie di “trilogia delle rivolte fallite”, alla fine delle quali ai protagonisti non resta che un suicidio più o meno consapevole per recuperare una dignità compromessa dal proprio tradimento agli ideali. Il titolo (corrispondente al nome del giovane rivoluzionario interpretato da Stanko Molnar) è una storpiatura delle prime parole della Marsigliese, che i sediziosi intonano nel viaggio verso sud.