L'educazione di Rey

La educación del Rey

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96

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Reynaldo, detto “el Rey” (Matías Encinas), è un giovane che vive ai margini della società argentina. Allontanato dalla casa materna ritrova il fratello Josué, legato a un pericoloso criminale di Mendoza. Coinvolto in un rischioso furto, nel corso della propria fuga Rey piomba nel giardino della vecchia guardia giurata Carlos Vargas (Germán de Silva), il quale gli propone un accordo: il giovane dovrà ricostruire la serra distrutta e in cambio non sarà denunciato. Tra i due nasce presto un rapporto padre-figlio, ma al di fuori delle mura domestiche di Carlos la criminalità organizzata vuole vendicarsi sul giovane Rey, apparentemente colpevole di tradimento.



Esordio nel lungometraggio dell’argentino Santiago Esteves, già montatore di registi suoi connazionali come Pablo Trapero, Juan Villegas e Mariano Llinás, L’educazione di Rey è un’ordinaria vicenda di (de)formazione criminale, che sposa in tutto e per tutto lo sguardo sperso e imbambolato di un giovane ragazzo senza certezze. Per poi intavolare, di soppiatto e senza grosso preavviso, un rapporto paterno inaspettato, che sboccia a partire da premesse tutt’altro che prevedibili e si sviluppa secondo traiettorie decisamente non canoniche. Lo stile del regista trentaseienne mostra una discreta padronanza nell’armonizzare i generi, dal dramma al thriller passando per lo spaccato sociale, ma col passare dei minuti la narrazione perde un po’ di mordente e sconta più di un passaggio ridondante e indubbiamente acerbo, fino ad arrivare a una seconda parte più sfiatata e meno carica di premesse avvincenti e spunti d’interesse (a convincere di più è senz’altro il primo segmento della narrazione, più dinamico e centrato, oltre che declinato con maggiore sicurezza). La sensazione finale è comunque quella di un’opera prima dalla mano non banale, che riesce oltretutto a tratteggiare con buona padronanza dei propri mezzi un legame sotterraneo e sfaccettato come quello tra Rey e Carlos. Un vincolo che sembra provenire da lontanissimo ma al contempo da un luogo imprecisato, tutto fondato su silenzi carichi di senso e su un’afasia aliena da ogni sentimentalismo, che oltre a poggiare gli occhi su un microcosmo precario e problematico sa farsi specchio di una precisa visione del mondo.
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