La vera storia di Waris Dirie (Liya Kebede). All'età di 13 anni fugge dalla famiglia nomade per scampare a un matrimonio forzato; aiutata dalla nonna a Mogadiscio, viene inviata a Londra dove diventa una serva dell’Ambasciata Somala. Si guadagna da vivere con lavori umili, finché un giorno il fotografo Terry Donaldson (Timothy Spall) la convince a posare.

Arrivato nelle sale italiane con sette anni di ritardo, il biopic ispirato all’omonima autobiografia di Waris Dirie (scritta con Cathleen Miller; “Fiore del deserto” è proprio il significato del nome Waris) è un filmetto scritto con un piattume degno di un prodotto televisivo. Purtroppo, perché una storia straordinaria come quella della Dirie, supermodella ma soprattutto portavoce che ha sensibilizzato il mondo contro la terribile pratica della mutilazione genitale femminile (subita da Waris a soli 3 anni), avrebbe meritato ben altro respiro. Il fascino visivo delle sequenze somale è innegabile e il crudo realismo nella scena dell’infibulazione denota coraggio, ma i personaggi macchiettistici e l’ombra di retorica rendono il film dell’americana – naturalizzata tedesca – Sherry Hormann più indigesto che emozionante. Waris è interpretata dalla modella e attivista etiope Liya Kebede, mentre il personaggio impersonato da Timothy Spall è ispirato al vero fotografo Terence Donovan.
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